Data: 21/04/2018 14:50:00 - Autore: Maria Francesca Fortino

Avv. Maria Francesca Fortino - L'art. 3 della L. 604/1966 ha positivizzato la necessaria giustificazione del licenziamento così stabilendo: "" Ne l rapporto di lavoro a tempo determinato, intercorrente con datori di lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 del codice civile o per giustificato motivo".

Nell'ambito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo confluiscono i licenziamenti per impossibilità sopravvenuta della prestazione imputabile a fatto incolpevole del lavoratore nonché i licenziamenti c.d. economici.

Licenziamenti dovuti cioè ad esigenze di riorganizzazione e/o ristrutturazioni aziendale.

Ai fini della loro legittimità è necessario il ricorrere di tre requisiti:

1) la modifica organizzativa di tipo quantitativo o qualitativo effettiva e non pretestuosa;

2) il nesso causale tra la modifica organizzativa e il provvedimento espulsivo;

3) l'osservanza dei precetti di buona fede e correttezza.

In estrema sintesi, sono riconducibili nell'alveo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, le ipotesi di recesso determinate da " ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa".

Stante dette considerazioni, è possibile porsi un interrogativo e, cioè se anche il rifiuto del lavoratore di ridurre il proprio impegno orario possa elevarsi a giustificato motivo di licenziamento.

Secondo un recente indirizzo della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 21875/2015) l'indisponibilità manifestata dal lavoratore di accettare la trasformazione del suo rapporto di lavoro a tempo pieno in parziale non può costituire giustificato motivo di licenziamento, considerato che, ai sensi del D.lgs. n. 61 del 2000, art. 5 comma 1, lett. a), a decorrere dal 25 giugno 2015 – il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in parziale, o viceversa, " non costituisce giustificato motivo di licenziamento".


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