|
Data: 14/04/2018 09:23:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Commette accesso abusivo a un sistema informatico il marito che consulta i dati del conto corrente della moglie in mancanza di alcuna autorizzazione. La condotta non è scriminata ex art. 51 c.p. dalla circostanza che i dati sarebbero serviti per difendersi nell'ambito del procedimento di separazione: tale norma non può spingersi, infatti, al punto da giustificare intromissioni indebite nella sfera di riservatezza della controparte processuale, neppure ove si invochi un diritto di difesa particolarmente ampio. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 14627/2018 (qui sotto allegata) rigettando il ricorso di un marito condannato in sede di merito per il reato di cui all'art. 615-ter, comma 1, del codice penale. Questi era ritenuto colpevole per aver, tramite un accesso abusivo a sistema informatico, consultato i dati relativi al conto corrente intestato alla moglie, nonostante gli fosse stara revocata la delega a operare online. Dopo averne preso visione, l'uomo aveva stampato gli estratti conto e li aveva prodotti nella causa civile di separazione. In Cassazione, l'uomo insiste nel prospettare la tesi di una sua ancora effettiva possibilità di legittimo accesso via web al conto corrente della coniuge: ciò in quanto dalla documentazione versata in atti sarebbe emersa la sua perdurante autorizzazione, non solo ad accedere al sistema informativo della Banca, ma anche all'area riservata afferente il conto della ex. Circostanza che l'uomo tenta di confermare richiamando una "chiavetta genera codici" consegnatagli al momento della sottoscrizione del contratto di conto corrente e da lui lecitamente detenuta e utilizzabile. Ancora,, prosegue la difesa dell'imputato, la condotta sarebbe stata scriminata, ex art. 51 c.p., dalla circostanza dell'essere stata funzionale all'esercizio delle facoltà difensive nell'ambito del procedimento di separazione giudiziale. E' reato spiare il conto corrente dell'ex senza autorizzazionePer gli Ermellini, tuttavia, il ricorso si palesa inammissibile per genericità e manifesta infondatezza delle doglianze difensive. Con una diffusa analisi dedicata alla documentazione prodotta, la Corte territoriale ha verificato che di conti correnti ve ne erano due: uno intestato a entrambi i coniugi, al quale era collegata l'unica chiavetta genera codici presente in atti, e l'altro, a cui si riferisce espressamente il capo di imputazione (richiamandone il numero), del quale era titolare la sola moglie. E su quest'ultimo conto l'uomo non aveva alcuna valida autorizzazione a operare: pacifica è la circostanza, infatti, che vede la copia di tale presunta autorizzazione all'imputato priva sia della sottoscrizione della donna che del timbro della banca. Il ricorso è da rigettare anche con riguardo alla tesi della presunta ravvisabilità della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p.: la norma in parola, precisa la Cassazione, non può operare sino a consentire, a chi invochi una pur lata estensione del diritto di difesa, intromissioni indebite nella sfera di riservatezza di una controparte processuale. La condotta di cui si adduce l'irrilevanza penale, conclude la sentenza, per essere scriminata deve pur sempre costituire una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto che si pretende di aver esercitato. Il ricorso viene in toto dichiarato inammissibile.
|
|