Data: 13/04/2018 22:30:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Undici cani costretti nello spazio limitato di una gabbia angusta e tenuti in condizioni igienico-sanitarie deficitarie. Un comportamento che costa all'uomo a cui gli animali erano affidati in custodia una pena di sei mesi di reclusione comminata dai giudici di merito.

Sulla vicenda viene poi chiamata a pronunciarsi la terza sezione penale della Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 16042/2018 (qui sotto allegata) analizza le doglianze dell'uomo condannato per il reato di cui all'art. 544-ter del codice penale.

Nello specifico, l'imputato aveva costretto undici cani di varie razze, che teneva in custodia, all'interno di una gabbia di dimensioni anguste mantenendoli in condizioni igienico-sanitarie gravemente inadeguate, a causa delle quali taluni di essi avevano contratto infezioni e riportato lesioni.

In Cassazione l'uomo contesta con "laconiche doglianze difensive" la mancata esplicitazione da parte dei giudici d'appello, se non in modo apparente, dell'iter logico seguito per configurare la sua responsabilità penale.

È maltrattamento di animali tenere 11 cani in una gabbia angusta

Ciononostante, per gli Ermellini le sue contestazioni appaiono "indeterminate" a fronte di una motivazione del giudice a quo tutt'altro che apparente, in cui sono state enucleate sia le risultanze istruttorie fondanti la configurabilità dell'elemento oggettivo del reato, sia la sussistenza dell'elemento psicologico, ricondotto alla volontarietà e consapevolezza della condotta

Apparente è invece il motivo articolato dalla difesa il quale, omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica ragionata della sentenza oggetto di ricorso, si traduce nella manifesta carenza di una censura di legittimità che necessariamente conduce all'inammissibilità.

La Cassazione rammenta che intanto la motivazione è qualificabile come apparente e, dunque, inesistente in quanto sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere, o di asserzioni apodittiche, o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente.

Nel caso di specie, la motivazione sarebbe stata apparente allorchè il provvedimento si fosse limitato a indicare le fonti di prova della colpevolezza dell'imputato, senza contenere la valutazione critica e argomentata compiuta dal giudice in merito agli elementi probatori acquisiti al processo.

Si tratta di caratteristiche queste del tutto assenti, come già evidenziato, nella sentenza impugnata che ha, invece, espressamente dimostrato come l'uomo avesse consapevolmente mantenuto gli animali in una condizione precaria e difficoltosa, tanto da determinare anche lesioni e infezioni agli stessi rinchiusi in un'angusta gabbia.

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