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Data: 16/04/2018 18:30:00 - Autore: Valentina Mastropasqua Avv. Valentina Mastropasqua - La pronuncia di legittimità n. 5784/2018, recentemente depositata dalla Sez. III della Cassazione (sotto allegata), offre l'occasione per svolgere una breve riflessione in ordine alle problematiche applicative dell'istituto della messa alla prova, nella complessiva disciplina introdotta dalla legge 28 aprile 2014 n. 67, che ha contribuito ad ampliare il novero delle cause di estinzione del reato, con il palese intento della decongestione processuale e penitenziaria. L'articolato normativo in materia di messa alla prova, infatti, consta di numerose disposizioni, inserite tanto nel codice sostanziale, quanto nel codice di rito e nelle relative disposizioni di attuazione che, infine, nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale di cui al D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313. Nello specifico, le questioni sottoposte al vaglio dei giudici di legittimità hanno ad oggetto da un lato, la sussistenza o meno, in capo al giudice, dell'autonomo potere di modificare e/o integrare il programma di trattamento già elaborato, in assenza del consenso dell'imputato, dall'altro, la necessità o meno che la sospensione del procedimento con messa alla prova sia subordinata all'integrale risarcimento del danno. Tale questione viene affrontata – e negativamente risolta relativamente ad entrambi gli interrogativi – nella sentenza in esame. A questo punto, conviene ricostruire i termini della vicenda sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità. La vicendaNella fattispecie in esame, l'imputata veniva tratta in giudizio dinanzi al Tribunale di Isernia per rispondere del reato di cui all'art. 10 ter D. Lgs. 74/2000 per avere, quale amministratrice di una società per azioni, omesso di versare l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale. In accoglimento dell'istanza presentata dalla stessa, il Tribunale disponeva la sospensione di tale procedimento, con messa alla prova per nove mesi, al fine di consentire l'esecuzione del programma di trattamento predisposto dall'Ufficio Esecuzione Penale Esterna. Il Tribunale di Isernia disponeva, altresì, la restituzione, da parte dell'imputata, del debito tributario maturato, comprensivo di interessi, entro il termine massimo di sospensione del procedimento, pari a due anni. Avverso tale ordinanza, l'imputata ha proposto ricorso per cassazione in ordine a due motivi. Con un primo motivo, ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art. 464 quater, comma 4, c.p.p., relativamente alla modifica del programma di trattamento in assenza del consenso dell'imputata (modifica avvenuta, come detto, attraverso l'inserimento, ad opera del giudice, della previsione della restituzione di una somma pari all'importo evaso, oltre interessi) evidenziando, altresì, come la società fosse ancora nei termini per chiedere, ai sensi del D.L. n. 193 del 2016, la c.d. "rottamazione" della cartella di riscossione emessa nei suoi confronti relativamente alle somme in questione. Con un secondo motivo, l'imputata ha lamentato l'errata applicazione dell'art. 168 bis c.p. da parte del Tribunale, laddove subordinava la messa alla prova all'integrale risarcimento del danno, richiamando, sul punto, l'orientamento interpretativo di legittimità secondo cui l'indicazione contenuta nell'art. 168 bis, comma 2, c.p., ha carattere prescrittivo ma non assoluto, con la conseguenza che la mancanza dell'integrale risarcimento del danno non sarebbe ostativo all'accesso a tale istituto. Messa alla prova: illegittimità modifica programma trattamentoLa Cassazione, investita del ricorso dell'imputata, ha sin da subito fugato ogni dubbio in ordine all'illegittimità della modifica del programma di trattamento elaborato ai sensi dell'art. 464 bis, comma 2, c.p.p., disposta dal giudice senza la consultazione delle parti e in assenza del consenso dell'imputato. In tal senso, la Suprema Corte ha fatto proprio quell'orientamento giurisprudenziale già affermatosi in tema di sospensione del processo a carico di imputato minorenne, precisando come, stante l'analogia delle forme previste per la modifica del programma, si tratti di un principio estensibile anche alla messa alla prova per adulti di cui all'art. 168 bis cod. pen. Secondo i giudici di legittimità l'art 464 quater, comma 4, c.p.p., consente al giudice di integrare o modificare il programma di trattamento esclusivamente con il consenso dell'imputato. La Corte perviene a tale conclusione, in virtù, da un lato, dell'inequivoco tenore letterale della disposizione in questione, dall'altro, della struttura dell'istituto, rimesso all'iniziativa dell'imputato e nell'ambito del quale il programma di trattamento deve essere elaborato d'intesa con l'ufficio esecuzione penale esterna. Ne discende che, in caso di mancanza di consenso alle modifiche o integrazioni, il programma, così come elaborato d'intesa tra l'imputato richiedente e l'ufficio esecuzione penale esterna, non può essere modificato. Il giudice sarà, quindi, tenuto a decidere su di esso nella sua originaria formulazione. Nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte, il consenso espressamente richiesto ai sensi dell'art. 464 quater, comma 4, c.p.p., da parte dell'imputato alla modifica posta in essere dal giudice non vi è stato. I giudici di legittimità, pertanto, in accoglimento del ricorso, hanno ritenuto sussistente la violazione di legge denunciata dalla ricorrente nel primo motivo, essendo stata disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputata sulla base di un programma di trattamento avente contenuto parzialmente diverso rispetto a quello elaborato d'intesa con l'ufficio esecuzione penale esterna (che non contemplava la suddetta prescrizione di pagamento) in assenza del consenso dell'imputata. Quanto al secondo motivo d'impugnazione, la Corte ha ribadito che l'indicazione contenuta nell'art. 168 bis, comma 2, cod. pen., secondo la quale la messa alla prova comporta "ove possibile" il risarcimento da parte dell'imputato, del danno cagionato, ha natura prescrittiva, ma non assoluta. La sospensione del procedimento con messa alla prova non deve ritenersi, pertanto, necessariamente subordinata all'integrale risarcimento del danno. Secondo i giudici di legittimità, infatti, il giudice dovrà dapprima verificare se, in concreto, sia o meno possibile risarcire il danno, se l'eventuale impossibilità derivi da fattori oggettivi estranei alla sfera di dominio dell'imputato, o se essa discenda dall'imputato stesso. In tale ultimo caso, dovrà valutare, altresì, se l'impossibilità sia relativa o assoluta e riconducibile o meno a condotte volontarie dell'imputato medesimo, potendo l'impossibilità ritenersi ingiustificata, e quindi potenzialmente ostativa alla ammissione alla messa alla prova, solo in tale ultima ipotesi. Messa alla prova: i poteri del giudiceLa sentenza in commento stimola alcune riflessioni, contribuendo la stessa a definire i contorni relativi al potere del giudice in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, consolidando gli approdi ermeneutici cui è pervenuta la Cassazione sul punto, già in materia di sospensione del procedimento penale minorile. Come noto, infatti, l'art. 464 quater, comma 4 c.p.p., attribuisce al giudice un ruolo attivo nella concreta determinazione del programma di trattamento. Secondo la disposizione in questione, infatti: "Il giudice, anche sulla base delle informazioni acquisite ai sensi del comma 5 dell'articolo 464-bis, e ai fini di cui al comma 3 del presente articolo può integrare o modificare il programma di trattamento, con il consenso dell'imputato". In tale contesto normativo ed esegetico, come evidenziato dalla Suprema Corte, il testo della norma è chiaro e non ammette deroghe, il potere del giudice è subordinato al consenso dell'imputato ed appare anche evidente la ratio sottesa. La necessità del consenso dell'imputato, in questa fase, in merito ad integrazioni o modifiche poste in essere dal giudice al programma di trattamento risponde, infatti, ad un duplice ordine di ragioni: da un lato, quello di far sì che l'imputato abbia piena contezza dell'impegno che si trova ad assumere, dall'altro, quello di evitare che lo stesso si trovi nella condizione di dover adempiere obblighi che, di fatto, non è in grado di rispettare. Un esito negativo della prova darebbe luogo, invero, alla preclusione di cui all'art. 168 bis, comma 4 c.p., a mente del quale "la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di una volta". E' appena il caso di precisare che, la suesposta ipotesi di integrazione/modifica "iniziale" del programma di trattamento da parte del giudice che richiede, come detto, necessariamente la consultazione delle parti ed il consenso dell'imputato, nulla ha a che vedere con la diversa ipotesi di modifica "in itinere" disposta dal giudice, ai sensi dell'art. 464 quinques, comma 3 c.p.p. Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, infatti, il giudice può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, senza che sia all'uopo necessario il consenso dell'imputato. Il giudice può, infatti, adottare provvedimenti di modifica anche d'ufficio, con il solo obbligo di sentire previamente imputato e pubblico ministero e con l'unico limite della congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità sottese alla messa alla prova. Quanto alla seconda doglianza esposta dalla ricorrente, la Suprema Corte ha colto l'occasione per ribadire l'ulteriore principio per cui la sospensione del procedimento con messa alla prova non deve essere necessariamente subordinata all'integrale risarcimento del danno, evidenziando come la locuzione "ove possibile" di cui all'art. 168 bis, comma 2, c.p. abbia natura prescrittiva e non assoluta. In conclusione, la pronuncia in questione si inserisce nel solco di un'interpretazione ormai consolidatasi già in tema di sospensione del processo e messa alla prova dell'imputato minorenne. Il dettato normativo sul punto, effettivamente, appare piuttosto chiaro ed in linea con la ratio sottesa all'istituto in esame. Avv. Valentina Mastropasqua Studio Legale Mastropasqua Via Appia Nuova, 666 00179 Roma v.mastropasqua@alice.it |
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