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Data: 18/04/2018 17:10:00 - Autore: Law In Action - di P. Storani di Paolo M. Storani - Il nostro Quotidiano giuridico deve ringraziare sentitamente i Colleghi Avv.ti Francesco Lauri e Gianluca Nervegna del Foro di Roma per l'estensione dell'interessante ed inedita pronuncia n. 4296/2018 pubblicata il 28 febbraio 2018 dalla Sez. XIII del Tribunale Civile di Roma, con cui il Giudice Unico, Dott.ssa Vittoria Amirante, stante la carenza probatoria (l'attrice aveva prodotto solo i referti e non i radiogrammi sui quali si appuntava la censura verso il personale di radiologia) ha rigettato la domanda di condanna al risarcimento dei danni formulata da una paziente nei confronti dei sanitari e della struttura sanitaria in conseguenza dell'omissione diagnostica e nel ritardo nel trattamento di una formazione nodulare. Analizziamo i vari filamenti in cui si è articolato il processo capitolino. 1. Inquadramento 4. Epilogo del processo civileInquadramento
Oggetto del processo è il risarcimento dei danni da responsabilità professionale in conseguenza dell'omissione diagnostica e del ritardo nel trattamento di una formazione nodulare alla mammella sinistra, nonostante l'espletamento dei ripetuti controlli ai quali si era sottoposta la paziente sin dal 2005 all'ottobre 2010, epoca in cui venne diagnosticata da altro esperto. La patologia era diagnosticabile sin dal marzo 2009. Talché, il ritardo ha cagionato la progressione e l'aggravamento della malattia, nonché implicazioni di natura psicologica. L'attrice chiedeva la solidale condanna dei convenuti al risarcimento dei danni risentiti, biologico, morale ed esistenziale. Il medico convenuto si costituiva a ministero dei predetti avvocati Francesco Lauri e Gianluca Nervegna contestando, tra l'altro, la sussistenza di ogni profilo di responsabilità "attesa la corretta refertazione degli esami radiografici dei quali peraltro l'attrice si limitava a produrre i referti e non le immagini". Dopo il differimento per la duplice chiamata in causa dell'assicuratore si costituiva UnipolSai per entrambe le posizioni coinvolte dalle domande di garanzia. Natura della responsabilità medico-sanitariaIn ordine alla ripartizione dell'onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione, sollevata da uno dei convenuti, la Dott.ssa Vittoria Amirante, per prima cosa, affronta per prima la questione della natura contrattuale della responsabilità sia della struttura sanitaria che dei convenuti medici. Il giudicante ricorda che la fonte della responsabilità contrattuale è da ricollegare al momento dell'accettazione del paziente nella struttura nosocomiale, con cui si genera un contratto di prestazione d'opera atipico di spedalità. Quanto al medico dipendente il Tribunale romano si ricollega al rapporto medico-paziente in termini di contatto sociale, richiamando espressamente Cass., 22 gennaio 1999, n. 589, mentre per la struttura sanitaria si rinviene ulteriore conforto nella pronuncia delle Sezioni Unite Civili, 11 gennaio 2008, n. 577, in ordine agli obblighi verso il fruitore dei servizi sanitari. Tale inquadramento giuridico non è venuto meno - stando alla pronuncia in disamina - neanche a seguito dell'introduzione della Legge n. 189 del 2012, c.d. Legge Balduzzi, a tacer del carattere irretroattivo della disposizione di legge. Con riguardo all'inciso dedicato all'art. 2043 c.c., l'interpretazione del Giudice Unico capitolino va nel senso di non ritenere una qualificazione giuridica della responsabilità del sanitario di tipo extracontrattuale. Si ricorda nella pronuncia che anche la recentissima Legge di riforma n. 24 dell'8 marzo 2017, inapplicabile alla fattispecie ratione temporis, ribadisce che la struttura sanitaria risponde ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., mentre afferma che i sanitari rispondono del loro operato in base all'art. 2043 c,c., a meno che non abbiano agito nell'adempimento di una obbligazione direttamente assunta con il paziente. Osserva, infine, il Magistrato decidente che è pacifico in giurisprudenza che "la responsabilità professionale del sanitario possa essere ritenuta sussistente in via di fatto, non tanto per aver instaurato con il paziente un rapporto privatistico da contratto, ma perché la presa di contatto tra il sanitario e la paziente e la sottoposizione della paziente a visita clinica, sono evidenze, che collocano, in via di fatto, il medico all'interno della relazione terapeutica riguardante il paziente...". Viene di conseguenza respinta l'eccezione di prescrizione in quanto non si era maturato il termine decennale, applicabile alla responsabilità di tipo contrattuale. Omessa produzione delle immagini radiograficheVeniamo ora al punto dolente del presente processo: esiste una chiara distinzione, sia normativa che ontologica, tra documentazione iconografica e resoconti radiologici, che consistono nei referti stilati dal medico specialista radiologo e medico nucleare. L'attrice ha sì prodotto i referti, che sono pur sempre atti pubblici fidefacienti, ma mancano agli atti i documenti iconografici, essenziali per stabilire se l'addebito di colpa ai radiologi sia fondato oppure no. "E' evidente - osserva il Giudicante - che la mera produzione del referto che si assume erroneo non è idonea a far ritenere assolto l'onere probatorio gravante sul paziente danneggiato". Soltanto dal confronto tra immagine radiografica e referto sarebbe stato possibile accertare la fondatezza delle allegazioni attoree in ordine all'errore o all'omissione diagnostica. Si tratta, in sintesi, di fatti principali costitutivi del diritto fatto valere. Epilogo del processo civileGli esiti riportati dall'attrice non possono essere, quindi, ricollegabili causalmente alla condotta dei sanitari e della struttura convenuti. La domanda è respinta, con condanna alle spese delle parti convenute. Le massime di LIA Law In Action A) Risarcimento danni da responsabilità professionale medica - onere della prova - non corretta valutazione del documento iconografico – insufficienza della produzione delle sole refertazioni – necessità della produzione delle immagini da parte dell'attore che allega l'inadempimento. B) Laddove la domanda attorea si fondi sulla erroneità della valutazione svolta dal medico specialista radiologo e contenuta nel referto in relazione alla situazione clinica come rilevabile dal documento iconografico, è evidente che la mera produzione del referto che si assume erroneo non è idonea a far ritenere assolto l'onere probatorio gravante sul paziente danneggiato. Solo dal confronto tra immagine radiografica e referto è possibile, infatti, accertare la fondatezza delle allegazioni attoree in ordine all'errore o omissione diagnostica. C) Le radiografie costituiscono documenti aventi ad oggetto la prova dei fatti che nella specie devono essere considerati "fatti principali" ossia fatti costitutivi del credito risarcitorio, dedotto in giudizio, aventi rilevanza fondamentale. D) Risarcimento danni da responsabilità professionale medica - onere della prova – consulenza tecnica di parte - mera allegazione difensiva – escluso autonomo valore probatorio. E) La consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, posto che il contenuto tecnico del documento non vale ad alterarne la natura, che resta quella di atto difensivo, e non può, quindi, essere oggetto di consulenza tecnica d'ufficio (cfr. Cass. n. 16552 del 6.8.2015). Pertanto, quanto riportato nella consulenza non costituisce prova né dei fatti ivi esposti né della responsabilità dei convenuti. F) Risarcimento danni da responsabilità professionale medica - onere della prova – produzione documentale in corso di CTU - inammissibilità. G) Nel corso di una consulenza tecnica si deve escludere l'ammissibilità della produzione tardiva di prove documentali concernenti fatti e situazioni poste direttamente a fondamento della domanda e delle eccezioni di merito, essendo irrilevante il consenso della controparte, atteso che, ai sensi dell'art. 198 c.p.c., tale consenso può essere espresso solo con riferimento all'esame dei documenti accessori, cioè utili a consentire una risposta più esauriente ed approfondita al quesito posto dal giudice (Cass. 27.4.2016 n. 8403; Cass. 2.12.2010 n. 24549). |
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