Data: 18/04/2018 19:03:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Diffamare e denigrare gli insegnanti è un comportamento idoneo a ledere la reputazione, l'onore e la dignità degli educatori, in contrasto con valori e principi di rango sia costituzionale che sovranazionale. Ciò in particolare nell'attuale periodo e in considerazione del clima di intolleranza e violenza (non solo verbale), in cui vivono gli insegnanti.
Il genitore che denigra e contesta con violenza la maestra del figlio rischia dunque di essere condannato al risarcimento dei danni provocati dalla sua condotta.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell'ordinanza n. 9059/2018 (qui sotto allegata) accogliendo il ricorso di un'insegnante di scuola elementare che aveva chiesto di essere risarcita dei danni da lei patiti a seguito della condotta gravemente diffamatoria ripetutamente tenuta da un genitore nei suoi confronti. La vicenda
Nel corso dell'anno scolastico 1993-94, la donna era stata ingiustificatamente e violentemente contestata da alcuni genitori, in particolare dal convenuto il quale l'aveva, tra l'altro, descritta come "un mostro" al cospetto degli altri genitori nel corso di una riunione e come un "soggetto poco raccomandabile".
Ancora, il padre dell'allievo aveva inviato numerose lettere alla direttrice didattica dell'Istituto, attribuendo all'insegnante comportamenti particolarmente gravi nei confronti dei bambini e, nei confronti della donna, era arrivato anche un fax, a firma dal figlio (seppur evidentemente attribuibile al padre) in cui l'alunno accusava la maestra di avergli dato del pazzo, di averlo umiliato di fronte ad altri bambini, di aver detto parolacce e di essere bugiarda.
Come conseguenza di tali accuse, l'insegnante era stata sottoposta a valutazione psichiatrica medico-legale e sospesa dal pubblico servizio a causa del procedimento penale (per i reati di cui agli artt. 572 e 582 c.p.) a cui era stata sottoposta e poi assolta per insussistenza del fatto.
Di questa vicenda intricata aveva altresì dato ampio risalto la stampa locale e, pertanto, la maestra era stata trasferita d'ufficio presso un'altra sede. Per tutti questi motivi la donna aveva agito in giudizio, ma sia il Tribunale che la Corte d'Appello respingevano la sua domanda, sottolineando, in particolare, l'insufficienza del quadro probatorio atto a dimostrare il comportamento illecito e lesivo della reputazione dell'attrice attribuito al genitore convenuto. Cassazione: il genitore paga per aver diffamato l'insegnante
Di diverso avviso la Cassazione che, accogliendo l'impugnazione della donna, rileva la contraddittorietà della motivazione adottata dal giudice d'appello, risultando del tutto omessa, nel decisum del giudice a quo, la valutazione necessariamente diacronica e complessivamente sintetica dei fatti di causa.
Se fosse stata condotta una più attenta e approfondita valutazione dei fatti di causa, secondo "un procedimento logico-induttivo fondato sulla complessiva sinergia dimostrativa e sulla necessaria sintesi dei fatti di causa" (percorso ricostruttivo condotta causalità-evento-danno), per gli Ermellini il giudizio si sarebbe sicuramente concluso con una certa affermazione della responsabilità risarcitoria del genitore aver violato la reputazione, l'onore, la stessa dignità dell'insegnante, così ledendo valori e principi di rango sia costituzionale che sovranazionale.
Non è certo compito della giurisdizione, sottolinea la Cassazione, sindacare sul piano etico e sociale il comportamento dei consociati in una determinata epoca storica, poiché il processo civile (e in particolare quello avente a oggetto vicende di responsabilità civile) è funzionale a offrire precise risposte, rigorosamente circoscritte al piano del diritto, a singole vicende che riguardano singole persone che chiedono tutela al giudice.
Tuttavia, per il Collegio è indispensabile valorizzare la vicenda nella sua c.d. "dimensione storica": infatti, il giudice civile, nella valutazione e liquidazione del quantum debeatur, non può e non deve ignorare, il preoccupante clima di intolleranza e di violenza, non soltanto verbale, nel quale vivono oggi coloro cui è demandato il processo educativo e formativo delle giovani e giovanissime generazioni.
Ritenendo, dunque, provato l'accertamento dell'an debeatur (ovverosia l'esistenza del danno provocato dall'atteggiamento del genitore), gli Ermellini rimandano al giudice del rinvio il compito di provvedere alla liquidazione del danno sul piano equitativo, valutando tutte le circostanze emerse nel corso del giudizio, che hanno inevitabilmente cagionato un grave e duraturo sentimento, sul piano sia emotivo che relazionale, di disistima, di vergogna e di sofferenza nel soggetto leso.
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