Data: 20/04/2018 10:44:00 - Autore: Daniela dAdamo

di Daniela d'Adamo - La legge n. 24 del 2017, nel perdurante tentativo di porre fine agli irriducibili fenomeni di medicina difensiva, cercando allo stesso tempo di bilanciare le istanze di tutela della sfera operativa del medico con quelle di protezione del bene primario della salute, ha dato vita ad un sistema che ha posto rilevanti profili di innovazione rispetto al precedente decreto Balduzzi: se da un lato è stato abbandonato il riferimento alla gradazione della colpa ai fini dell'esonero dalla punibilità, d'altro canto è stata esplicitamente limitata l'esclusione nell'applicazione della sanzione alle ipotesi d'imperizia, contraddicendo dunque l'orientamento sviluppatosi negli ultimi periodi di vigenza della normativa precedente, con il quale la Cassazione aveva cercato di affermare l'estensione della causa di non punibilità alle ipotesi di negligenza ed imprudenza, sulla scorta non solo di istanze di ragionevolezza, ma soprattutto in virtù della conclamata difficoltà di distinguere tra linee guida comportanti incidenza solo sull'imperizia e raccomandazioni che viceversa toccassero anche profili di prudenza e diligenza.

La novella legislativa ha, peraltro, inciso anche sul rilievo da attribuire alle linee guida nel meccanismo di imputazione della responsabilità colposa in capo al medico mediante la previsione di un esplicito meccanismo di formalizzazione delle medesime. Se tale innovazione è stata salutata favorevolmente da chi ha sottolineato come realmente un simile assetto possa contribuire a contrastare il fenomeno della medicina difensiva, aiutando a rendere più incisivi i parametri di determinatezza che fondano l'imputazione soggettiva colposa, d'altro canto qualcun altro ha sottolineato come la suddetta soluzione applicativa possa dar luogo a meccanismi di deresponsabilizzazione e spersonalizzazione dell'attività del medico e del rapporto sanitario-paziente, rischiando di comportare la creazione di una sorta di medicina di Stato. Tale pericolo è tuttavia stemperato dalla previsione contenuta nell'art. 6 della predetta legge, in cui viene sottolineata la necessaria pertinenza della medesima linea guida rispetto al caso di specie. Questa previsione è, come è evidente, volta ad aprire il sistema a margini di recupero della punibilità del medico, anche nel caso di rispetto della linea guida, ove le peculiarità del caso concreto richiedano di discostarsene. Un tale assunto risponde all'esigenza di garantire l'effettiva personalizzazione dell'attività terapeutica nonché a quella di evitare fenomeni di meccanicizzazione nella tutela del diritto alla salute, ottenendo dunque, l'effetto contrario rispetto a quello volto ad evitare i fenomeni di medicina difensiva.

La sentenza Tarabori e la sentenza Cavazza

Dopo l'entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, numerose sono state le questioni oggetto di riflessione nella giurisprudenza di legittimità, interrogativi duplici e sicuramente tutti interconnessi tra loro, incentrati su un comun denominatore: la natura giuridica dell'esclusione della punibilità cui ha dato vita la novella nell'art. 590-sexies.

Le questioni sorte, in particolare, hanno riguardato anche problematiche relative all'efficacia della legge penale nel tempo ed ai susseguenti rapporti tra il decreto Balduzzi e la nuova legge Gelli-Bianco, cercando di individuare il regime più favorevole e districando dunque le problematiche in termini di quale disciplina debba applicarsi ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore dell'attuale normativa. Inoltre, ulteriore quesito, centrale negli interrogativi concernenti l'ambito operativo della nuova legge, è stato quello concernente l'esatta area applicativa dell'esclusione della punibilità nel caso di imperizia e di effettivo rispetto delle linee guida pertinenti rispetto al caso concreto. In particolare il dubbio ha riguardato i momenti diagnostici e terapeutici diversi rispetto a quello dell'individuazione della linea guida corretta, e, soprattutto, l'interrogativo si è focalizzato sull'operatività della esclusione della punibilità in caso di errore nella fase esecutiva, di applicazione di una linea guida pertinente ed adeguata all'ipotesi specifica.

Il contrasto che ha determinano l'intervento risolutivo delle Sezioni Unite è emerso in due pronunce, le quali hanno sostenuto posizioni tendenzialmente opposte: la sentenza Tarabori e la sentenza Cavazza. La prima pronuncia ha fornito un'interpretazione fortemente restrittiva dell'ambito applicativo in cui viene esclusa la punibilità sulla base della nuova legge Gelli, interpretazione resa necessaria, nell'ottica dei giudici di legittimità, al fine di "salvare" la riforma da potenziali censure di illegittimità costituzionale cui, altrimenti, essa potrebbe andare incontro.

In tal senso, in questa sentenza, gli Ermellini mettono in luce come il nuovo art. 590-sexies non darebbe vita ad una causa di esclusione della punibilità sul piano oggettivo, bensì si tratterebbe di una delimitazione dei confini della responsabilità medica sostanzialmente coerente con i generali principi che connotano l'addebito soggettivo colposo. In questo senso, la nuova disposizione sarebbe sostanzialmente inutile dal momento che il rispetto delle linee guida pertinenti al caso concreto non porterebbero in ogni caso ad un'attribuzione di responsabilità in quanto la condotta posta in essere dal soggetto agente non sarebbe in alcun modo rimproverabile, avendo il medesimo fatto tutto quanto in suo potere per evitare la verificazione dell'evento lesivo. Di conseguenza, i giudici procedono ad un'interpretazione del dettato normativo non coerente con il disposto letterale della riforma: nonostante l'apparenza, la nuova disciplina non avrebbe l'intento di dar vita ad una causa di esclusione della punibilità indipendente dal parametro soggettivo, ma sarebbe meramente il frutto dell'applicazione dei criteri d'imputazione in materia di colpa. Sottolineato ciò, la Tarabori, nel circoscrivere il perimetro dell'art. 590-sexies, mette in luce come, da un lato la nuova disciplina sarà applicabile solo alle ipotesi di imperizia, con la totale esclusione delle ipotesi relative alla diligenza ed all'imprudenza, dall'altro come l'esclusione della punibilità non si potrà avere ove le linee guida scelte non siano pertinenti al caso concreto o quando le specificità terapeutiche avrebbero richiesto la convergente applicazione di più raccomandazioni diverse volte a risolvere i diversi aspetti del processo morboso.

Soprattutto, tuttavia, la suddetta pronuncia esclude che possa esentarsi da punibilità la condotta del sanitario che "pur avendo cagionato un evento lesivo a causa di comportamento rimproverabile per imperizia, in qualche momento della relazione terapeutica abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate; pur quanto esse siano estranee al momento tipico in cui l'imperizia lesiva si sia realizzata"[1]. La ratio di tale enunciato è volta ad escludere che l'esonero della punibilità derivante dalla scelta idonea della linea guida pertinente al caso concreto, possa investire un momento diverso e successivo rispetto all'individuazione della linea guida medesima, quale in particolare quello relativo all'esecuzione della stessa. Ergo qualora il sanitario individuerà la raccomandazione pertinente non potrà aspettarsi che l'esclusione della punibilità investa la fase applicativa della linea guida, fase diversa e successiva pur se afferente al medesimo ambito terapeutico.

Le soluzioni proposte dalla suddetta pronuncia sviliscono sicuramente l'ambito applicativo dell'art. 590-sexies, rendendo pressoché inutile la portata della previsione. Tale approdo è stato giustificato dall'esigenza che una diversa presa di posizione avrebbe sostanzialmente apportato un vulnus alle istanze di tutela sottese al diritto alla salute, nonché una cosciente frizione con il principio di colpevolezza (determinando una inaccettabile esclusione di punibilità rispetto a fatti rimproverabili in un'ottica d'imputazione soggettiva) ed, infine, una situazione di irragionevolezza derivante dall'irrazionalità che ne sarebbe derivata riconoscendo al medico ampi margini di esonero della responsabilità non previsti per altre tipologie di attività professionali altrettanto pericolose ma socialmente utili.

Conseguenza inevitabile di una simile presa di posizione è la qualificazione della disciplina prevista dalla Balduzzi quale maggiormente favorevole poiché quest'ultima, nel limitale la responsabilità alle ipotesi di colpa grave, prevederebbe un'effettiva causa di esclusione della punibilità avente valenza oggettiva, seppur limitata alla circostanze in cui venga in gioco la colpa lieve, per cui, troverà prevalente applicazione alle ipotesi precedenti rispetto alla riforma, alla stregua di quanto previsto dall'art. 2 cp.

In termini sostanzialmente opposti si era pronunciata la medesima Cassazione nella sentenza Cavazza. La Corte, al fine di non svuotare di contenuto applicativo le nuove disposizioni, e mossa dalla considerazione di quello che è il fine ultimo per cui il legislatore è intervenuto con la legge Gelli-Bianco (ossia quello di contrastare i fenomeni di medicina difensiva) porta avanti un'interpretazione maggiormente aderente alla lettera di quanto previsto dal nuovo art. 590-sexies cp. In tal senso, gli Ermellini mettono in luce come la previsione abbia dato vita ad un'effettiva causa di esclusione della punibilità in senso stretto, che esonera da punibilità fatti tipici, antigiuridici e colpevoli, in virtù di un bilanciamento di interessi che valorizza le istanze volte ad evitare i fenomeni di medicina difensiva, determinando la non applicazione della sanzione in virtù di ragioni d'opportunità.

In aderenza a tale postulato, la Corte ritiene che la causa di non punibilità si applichi anche a fronte di errori esecutivi avvenuti nell'applicazione di una linea guida correttamente individuata. Ma vi è di più: i Giudici ritengono che sia proprio questo l'ambito applicativo dell'esonero della punibilità, in quanto se è evidente che non si possa essere puniti in caso di corretta individuazione di linee guida pertinenti al caso concreto (sulla base dei principi che reggono l'imputazione colposa), l'oggettivo margine applicativo della non punibilità non può che riferirsi a qualcosa di diverso dalla scelta della stessa linea guida, ergo quest'ultimo sarà quello relativo alla dinamica volta all'esecuzione della raccomandazione. Per cui, l'unica ipotesi residuale di applicazione della pena a fronte di imperizia sarà quella in cui vi sia una non corretta scelta della linea guida in relazione alle peculiarità del caso concreto.

Circa la potenziale frizione di una simile interpretazione con il principio di cui all'art. 32 Cost., la Corte sottolinea come un sistema di tal guisa non possa che giovare alle istanze di tutela della salute: tale interpretazione è infatti conforme alla ratio che ha portato il legislatore ad emanare la legge Gelli-Bianco, ossia quella di evitare il deprecabile fenomeno della medicina difensiva. Una tale impostazione dunque, non fa che approntare una maggiore protezione al bene salute, cercando di evitare i meccanismi di chiusura in una trincea operativa da parte del sanitario, tipici degli ultimi anni.

Una simile interpretazione dunque porta a ritenere che la novella debba considerarsi necessariamente più favorevole rispetto alla previgente disciplina, almeno con riferimento alle ipotesi di imperizia, non essendovi più la limitazione dell'esclusione della punibilità alle ipotesi di colpa lieve, essendo venuto meno il parametro della gradazione della colpa. Diversa sarà l'ipotesi di colpa lieve in relazione alla negligenza ed all'imprudenza, in cui residuerà, come è evidente, l'applicazione delle disposizioni previgenti.

L'intervento delle Sezioni Unite: la reintroduzione della colpa lieve

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza 8770 del 2018 pongono fine all'annoso dibattito che era sorto, cercando di definire la natura e l'ambito applicativo della nuova disciplina.

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Dapprima i giudici valorizzano la scelta di formalizzare il meccanismo di produzione delle linee guida, in quanto il sottoporre le medesime a meccanismi di etero normazione ne accentua l'attendibilità, potendo sia il medico in fase di scelta delle raccomandazioni idonee che il giudice durante l'accertamento della responsabilità colposa, basarsi su linee guida omogenee e aventi una base normativa, determinando il venir meno dello scetticismo giudiziale nell'utilizzo delle medesime al fine di parametrare l'imputazione soggettiva. D'altro canto, un fenomeno di questo tipo risponde perfettamente all'esigenza di tassativizzare le componenti su cui basare il rimprovero in termini di responsabilità colposa, attribuendo maggiore determinatezza ai criteri sui quali basare il giudizio di prevedibilità ed evitabilità in materia di applicazione delle regole cautelari. Peraltro la Corte tiene a sottolineare come non vi siano contrasti interpretativi in relazione a quella che è la natura delle linee guida. A sconsacrare il rischio di dar vita ad automatismi e spersonalizzazioni nell'esercizio dell'attività medica i Giudici di legittimità mettono in evidenza come le raccomandazioni in esame non sono regole cautelari scritte, e non sono dunque in grado di generare ipotesi di colpa specifica. Questo dato è inconfutabile proprio in virtù della natura elastica, flessibile ed adattabile al caso concreto delle linee guida in esame. Ergo, risulta evidente come non si possa riporre sulle stesse la speranza di coprire l'intero panorama delle regole che compongono l'arte medica, dovendo, peraltro il sanitario sempre ponderare la rispondenza delle stesse alle singole peculiarità del caso concreto, pena gravosi immobilismi nel progresso medico-scientifico nonché inaccettabili ripercussioni negative sulla tutela del bene salute dei pazienti. La Corte dunque tende a sottolineare l'importanza rivestita dal cd. giudizio di adeguatezza che il medico deve svolgere nel ponderare la rispondenza della raccomandazioni al caso concreto, proprio perché esso è lo strumento mediante il quale il sanitario recupera l'autonomia necessaria nell'espletamento della propria attività lavorativa. Inoltre risulta fondamentale che, in sede giudiziale, la valutazione della sussistenza del giudizio di adeguatezza venga sempre effettuata ex ante, considerando tutte le circostanze esistenti al momento del fatto che il medico conosceva o avrebbe dovuto conoscere. Importante è dunque evitare di dar vita a presunzioni di non adeguatezza della regola scelta, sulla base di una valutazione ex post, dopo che l'evento lesivo si è verificato.

Passando al nodo focale delle questioni affrontate dalla Suprema Corte, risulta centrare mettere in luce come la stessa cerchi di recuperare margini di verità ed operatività sia dalla pronuncia Tarabori che dalla Cavazza, provando, allo stesso tempo, a stemperarne le reciproche estremizzazioni, e individuando un bilanciamento tra le opposte esigenze valorizzate nell'una e nell'altra sentenza: da un lato tutelare in termini effettivi il diritto alla salute, non dando vita a frizioni con il dettato costituzionale e dall'altro evitare il riprovevole fenomeno della medicina difensiva, recuperando dunque un concreto significato da attribuire alla legge Gelli-Bianco. Dunque la Corte valorizza la sentenza Tarabori nel suo intento di delineare con cautela l'ambito applicativo della novella, escludendo l'applicazione dell'esonero della punibilità nelle ipotesi in cui venga in gioco la negligenza o la prudenza, nei casi di ambiti non governati da linee guida, nelle circostanze nelle quali le linee guida non siano pertinenti rispetto al caso concreto nonché ove il caso concreto richieda la scelta e l'applicazione di più raccomandazioni. Tuttavia, i giudici ripudiano l'interpretazione eccessivamente restrittiva della sentenza Tarabori, ove essa esclude che l'art. 590-sexies abbia dato vita ad una vera e propria causa di esclusione della punibilità rilevante sul piano oggettivo, e poiché limita l'ambito applicativo della novella al punto da non far residuare nessuno spazio operativo alla stessa, riconducendo quanto in essa contenuto, ai generali principi che reggono il rimprovero colposo.

Specularmente la Corte valorizza il pregio della sentenza Cavazza di aver individuato un concreto margine applicativo della nuova norma mediante l'interpretazione letterale, peraltro coerente con l'intento legislativo; di aver inoltre colto la natura di ciò cui la riforma ha dato vita: una vera e propria causa di esclusione della punibilità in senso stretto. Peraltro, tuttavia, viene sottolineato come tale pronuncia cade nell'errore opposto rispetto alla Tarabori, ovvero quello di rendere troppo ampio il margine di operatività della non applicazione della pena, giungendo in pratica ad affermare una generale totale impunità del medico ove si trovi ad operare in un ambito governato dalla perizia e ove abbia scelto le idonee regole cautelari pertinenti al caso di specie, oltre al fatto che, la problematica difficoltà di distinguere in ambito medico-terapeutico le ipotesi governate da imperizia rispetto a quelle rette da imprudenza o negligenza, porterebbe con sè il rischio di rendere esponenzialmente ampia la sfera di operatività della causa di non punibilità.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte riconoscono a questo punto apertamente che il nuovo art. 590-sexies ha dato innegabilmente vita ad una causa di esclusione della punibilità in senso stretto avente valenza oggettiva e che ha dunque un ambito di operatività che si esplica al di là dei criteri soggettivi d'imputazione colposa. Si perviene a tale conclusione semplicemente in virtù dell'espressa qualificazione, da parte della norma, di quella in esame quale causa di esclusione della punibilità. Del resto, tale soluzione non risulta, di per sé, affatto incompatibile con i principi che reggono l'imputazione colposa né con la tutela del diritto alla salute. Circoscrivere l'area della punibilità del sanitario in virtù di istanze volte ad evitare fenomeni di medicina difensiva rientra pienamente nell'interesse che il legislatore ha portato avanti, proprio al fine, in definitiva, di tutelare lo stesso bene salute, evitando meccanismi di immobilismo di certo deleteri per il suddetto bene. Incompatibile sarebbe certo, una surrettizia creazione di un esonero da punibilità omnicomprensivo e non ancorato a specifici parametri, circostanza tuttavia, che non viene in gioco nella nuova norma, che delimita in termini effettivi l'ambito di operatività dell'esclusione della punibilità.

Se è vero dunque che la novella ha dato vita ad una causa di esclusione della punibilità in senso stretto, evidente risulta altresì che essa non può non investire un ambito che va aldilà della scelta della linea guida pertinente, e che investe, di conseguenza l'applicazione della stessa. La Corte sente dunque l'esigenza di "salvare" la norma in esame da un potenziale svuotamento del suo contenuto, valorizzandone l'interpretazione letterale. Allo stesso tempo, tuttavia, gli Ermellini esprimono i timori evidenti cui si presta un'interpretazione di tal fatta: è necessario, perché la causa di non punibilità abbia un siffatto margine operativo, ancorare la suddetta a parametri stringenti ed obiettivi, al fine di evitare che la nuova norma si esponga al rischio di censure sul piano della compatibilità con il principio di ragionevolezza e di tutela della salute.

Al fine di bilanciare le esigenze retrostanti alla questione in analisi, la Corte cerca di individuare un criterio che possa, da un lato rendere effettiva ed obiettiva la causa di esclusione della punibilità, restituendo ai medici la tranquillità d'intervento auspicata, e dall'altro, che riesca a contenere le potenzialità espansive dell'operatività della suddetta: tale parametro viene individuato nel meccanismo di gradazione della colpa. I Giudici mettono in luce come, il fatto che la legge Gelli-Bianco, a differenza del decreto Balduzzi, non faccia più riferimento alla limitazione categorica dell'operatività dell'esclusione della punibilità alle ipotesi di dolo e colpa grave, non implica che il criterio della suddetta gradazione non possa in alcun modo più venire in gioco ed essere preso in considerazione dai magistrati nella affermazione della sussistenza della punibilità. Al contrario, la Suprema Corte ritiene che il legislatore si sia, in sostanza, posto in una linea di tendenziale continuità rispetto alla precedente disciplina, animata anch'essa dalla volontà di circoscrivere i fenomeni di medicina difensiva. Invero la gradazione della colpa permetterebbe di attribuire un margine oggettivo di operatività alla causa di esclusione della punibilità, limitandolo tuttavia alle ipotesi in cui il disvalore del fatto non assume una certa pregnanza anche dal punto di vista soggettivo, al fine di non estendere a macchia d'olio la potenzialità esplicativa dell'esonero dalla punibilità.

La Corte richiama, inoltre, l'art. 2236 del codice civile, sottolineando come lo stesso possa fungere da criterio orientativo ragionevole nel limitare l'ambito operativo della causa di non punibilità in esame. Sono da rigettare, secondo i Giudici del supremo consesso, le tesi che affermano l'incompatibilità della ratio della suddetta norma rispetto alle istanze punitive (e non meramente risarcitorie) che animano il diritto penale, nonché quelle che escludono che la gradazione della colpa possa fungere da criterio selettivo nell'applicazione della sanzione penale (e non meramente quantitativo rispetto alla pena) in quanto, secondo la Corte, coniugare l'art. 2236 cc,nonché i meccanismi di gradazione della colpa, con il necessario rispetto delle linee guida pertinenti, porta ad individuare un utile bilancimento tra opposte istanze che permette da un lato di evitare scomodi indulgenzialismi nella valutazione della punibilità del medico (come avveniva in passato) e dall'altro di limitare il complesso e deleterio fenomeno della medicina difensiva. Nell'interpretazione fornita dai Giudici, risulta pertinente e ragionevole estendere la regola d'esperienza contenuta nell'art 2236 alle ipotesi in esame, attribuendo rilevanza, ai fini del giudizio di punibilità, non solo al rispetto delle linee guida, ma alla valutazione complessiva dei comportamenti del medico, che passano per un inquadramento generale della situazione in cui opera, per una valutazione del grado della colpa e delle particolari difficoltà dei problemi che il medico deve risolvere al fine di ottenere il traguardo terapeutico.

Sulla scorta dei principi ora enunciati, la Suprema Corte giunge dunque a consacrare la reintroduzione del criterio della gradazione della colpa al fine di ponderare l'applicazione dell'esonero da responsabilità nelle ipotesi di errore esecutivo nell'attuazione di linee guida consone ed idonee al caso concreto, affermando quanto segue: «L'esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da negligenza o imprudenza; b) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l'evento si è verificato per colpa "grave" da imperizia nell'esecuzione di raccomandazioni, di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell'atto medico».

In sostanza dunque, le Sezioni Unite della Cassazione, individuano quale criterio idoneo per realizzare il dovuto bilanciamento tra tutela della salute e rigetto dei fenomeni di medicina difensiva, quello della valutazione del grado della colpa; criterio che, secondo gli Ermellini, non è mai stato realmente abbandonato dal legislatore, il quale lo ha anzi valorizzato e consacrato nel precedente decreto Balduzzi. L'abrogazione del medesimo e la non espressa previsione di un simile parametro nella nuova legge non implica infatti assolutamente un abbandono generalizzato del medesimo, il quale è stato ormai obliterato sia in via giurisprudenziale che legislativa.

Per quanto concerne, infine, il tema dell'individuazione della legge più favorevole da applicare ai fatti precedenti all'entrata in vigore dell'attuale riforma, la Corte sottolinea come, per le ipotesi di imprudenza e negligenza lieve troverà sicuramente applicazione la precedente legge, che non limitava l'esonero della punibilità alle ipotesi di imperizia. In relazione invece a quest'ultima, l'ambito di casi che rientreranno nella sfera operativa sia della previgente legge che di quella attuale è solo quello dell'imperizia lieve. In tal senso, troverà applicazione il decreto Balduzzi, il quale prevedeva una vera e propria ipotesi di esclusione della responsabilità e non meramente della punibilità, come fa l'attuale legge Gelli. Analogo discorso può, del resto, effettuarsi per le ipotesi di errore di attuazione della linea guida connotato da colpa lieve.

Il concetto della colpa medica per la Cassazione

Evidente risulta come lo sforzo della pronuncia in esame, sia stato diretto verso un tentativo di evitare che la nuova norma sia coperta da dubbi di legittimità costituzionale, cercando al contempo di salvare la stessa da un sostanziale svuotamento contenutistico. La soluzione individuata cerca di bilanciare le esigenze suddette attribuendo gli errori nella fase applicativa della linea guida all'ambito operativo della causa di esclusione della punibilità, pur tuttavia cercando di limitarne l'ambito applicativo alle ipotesi in cui, in virtù della natura lieve della colpa e della difficoltà operativa in cui si trova ad operare il medico, risulti "giustificabile" sul piano di un bilanciamento di interessi, la rinuncia all'applicazione della sanzione penale.

Se la soluzione fornita dalla Corte, individua realmente un punto d'incontro tra la necessaria tutela della salute e l'esigenza di evitare fenomeni di medicina difensiva, essa presta comunque il fianco ad una serie di dubbi, che sono del resto gli stessi che si erano posti durante la vigenza del decreto Balduzzi, concernenti le problematiche cui può andare incontro l'utilizzo del criterio della gradazione della colpa per decidere sull'an della responsabilità, interrogativi che concernono il rischio che un criterio così indeterminato e privo di definizione nel nostro panorama penalistico, possa dar vita ad incertezze e irragionevoli disuguaglianze, lasciando in definitiva, alla totale discrezionalità giudiziale la ponderazione della natura lieve o grave della colpa.

Meno complesso e carente di determinatezza risulterà invece il meccanismo d'individuazione della natura complessa delle problematiche oggetto di risoluzione, sulla scorta dell'art. 2236, anche se, del resto, i dubbi sull'applicazione di tale fattispecie nell'ambito penalistico si legavano ad un eccessivo indulgenzialismo cui si andava incontro, dubbi in realtà sopiti ove la sua operatività viene comunque legata all'effettiva individuazione delle linee guida corrette e pertinenti rispetto al caso concreto.

Non resta che aspettare il prossimo futuro per valutare se le soluzioni offerte dalla Suprema Corte possano risultare realmente consone e dirimenti, o se i dubbi di un'eccessiva discrezionalità giudiziale nella ponderazione della gradazione della colpa risulteranno effettivi e fondati.

[1] Cass n. 28187, 20/04/2017


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