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Data: 01/02/2006 - Autore: Mario Pavone A pochi giorni dalla entrata in vigore della Legge 251/2005(c.d. ex Cirielli),la controversa normativa continua ad essere colpita da numerose censure di incostituzionalità. Merita di essere segnalata,in proposito,la recente Ordinanza del Giudice Monocratico del Tribunale di Bologna pubblicata in calce, che ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale ravvisando la incosti tuzionalità dell'art.10 co. 3 l. n. 251/05 nella parte in cui esclude, per i reati puniti con la pena edittale massima di 6 anni e in relazione al cui processo non sia stato aperto il dibattimento alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 251, il termine allungato di prescrizione, come più favore volmente stabilito, rispetto alla disciplina pregressa, dagli artt. 157 co. 1, 160 co. 3 e 161 co. 2 c.p. nel la versione novellata dall'art. 6 della l. 251 cit.. Secondo il Giudice felsineo,l'art. 10 per un verso collega l'entrata in vigore al giorno seguente la pub blicazione,per altro verso prevede che, laddove per effetto delle nuove disposizioni i termini di prescri zione risultino più brevi, le disposizioni stesse si applichino ai procedimenti e ai processi pendenti, salvo che si tratti di processi pendenti in appello, avanti la Corte di Cassazione o che vi sia stata in primo grado la dichiarazione di apertura del dibattimento. Tale impostazione risulterebbe viziata da legittimità atteso che la c.d. Legge ex Cirielli avrebbe delimitato l'area applicativa della nuova disciplina della prescrizione, ove più favorevole, fissando nell'intervenuta apertura del dibattimento di primo grado lo spartiacque rispetto all'applicazione della normativa precedente così determinando situazioni nelle quali, come nel caso in esame, il superamento del menzionato momento processuale avvenuto prima dell'8.12.05 determinerebbe addirittura il raddoppio del termine prescrizionale allungato. La ratio del legislatore, in base al dibattito che ha animato gli sviluppi del disegno di legge nell'immi nenza dell'approvazione, appare riconducibile alla dichiarata esigenza di fissare un criterio selettivo che eviti di porre nel nulla una massa qualificata di ?prodotto semilavorato processuale?, massa realizzata nel rispetto della vecchia disciplina sulla prescrizione. Se è ben chiaro che l'art. 10 cit. sottende l'esigenza di raccordare alla novella una parziale salvaguardia dei processi in corso, occorre chiedersi se il criterio di selezione adottato sia rispettoso del principio costituzionale di uguaglianza o comunque se implichi un necessario sacrificio del principio di uguaglianza in funzione del principio, pur esso di rango costituzionale, di buona ammini strazione. La disparità di trattamento introdotta dall'art. 10 della l. 251/05 si rapporta ovviamente all'art. 2 co. 3 c.p. atteso che l'art. 10 limita l'efficacia di sopravvenute disposizioni più favorevoli all'ipotetico reo, escludendone tutti coloro per i quali il dibattimento di primo grado risulti aperto prima dell'8.12.05. Il rilievo di diritto sostanziale della normativa concernente la materia in esame (essendo, non a caso, la prescrizione una causa estintiva del reato) appare concettualmente sedimentato nella giurispru denza. Persino quando il legislatore è intervenuto indirettamente sull'estensione dei termini prescrizionali (come ha fatto quando ha ridisegnato ? con il d.l. 99/74 e con la relativa l. 220/74 ? la disciplina delle circostanze del reato), il riflesso sostanziale ex art. 2 co. 3 c.p. che le novità normative più favorevoli all'imputato dovevano avere riguardo alla più breve prescrizione risulta acutamente puntualizzato dalla Cassazione,senza oscillazioni, a partire dalla sentenza delle SS.UU. dep. il 7.12.79 (cfr. le massime nn. 10623 e 10624 del 1979). Ciò premesso-secondo il valente Magistrato- il sacrificio del principio di uguaglianza appare, per il modo in cui è stato legislativamente articolato, del tutto irrazionale e rimesso a criteri di selezione assolutamente distonici rispetto alla ratio dell'istituto della prescrizione, quale permane anche dopo la novella. In buona sostanza, se il legislatore della novella ha ridimensionato ?a regime? (come per il reato di cui al presente processo) dei ?termini ultimi? di prescrizione, con ciò ha inteso escludere il permanere dell'interesse punitivo dopo il decorso di quel dato tempo dal fatto/reato e ha inteso attribuire proprio al decorso di quel ridimensionato tempo massimo efficacia estintiva del reato a prescindere dalla qualità e dalla quantità degli avanzamenti processuali. Su queste premesse appare incomprensibile la ragione per la quale lo stato d'avanzamento del processo alla data dell'8.12.05 possa determinare, a parità di data di commissione del reato, in alcuni casi un interesse dello Stato a perseguire un reato entro 15 anni dalla commissione di esso e in altri il medesimo interesse nel limite di 7 anni e 6 mesi. In realtà i 15 anni costituivano nella previgente normativa quel termine dalla commissione del reato che non poteva essere oltrepassato mediante avanzamenti processuali di sorta in quanto segnava il superamento della soglia temporale di sensibilità dell'ordinamento al disvalore penale di quel fatto criminoso. Attraverso la nuova disciplina ?a regime? della stessa materia il legislatore, riducendo per identici fatti criminosi il termine quindicennale a 7 anni e 6 mesi e continuando a ritenere irrilevante anche per detto ultimo termine ogni genere di avanzamento processuale, ha abbreviato l'arco temporale di oggettiva sensibilità dell'ordinamento al disvalore dei reati di quel comparto prescrizionale. Chiarito che con la vecchia e con la nuova disciplina a regime, allo spirare del termine allungato, l'estinzione del reato per prescrizione matura non per la stasi o per la lentezza procedimentale/processuale, bensì esclusivamente per la cessazione del disvalore penale, appare indifendibile, sotto il profilo della razionalità, qualsiasi differenziazione dei termini di prescrizione allungata per fattispecie criminose che siano identiche sotto il profilo sostanziale e diverse solo nel risvolto dell'avanzamento processuale. Si può affermare, esprimendo in altro modo lo stesso concetto, che nella materia in esame l'esigenza di salvaguardare processi in avanzato stadio non può razionalmente valere come temperamento al principio di uguaglianza quando i processi la cui sopravvivenza si intenda tutelare riguardino vicende criminose che la sensibilità aggiornata del legislatore ritiene ormai ?estinte? sotto il profilo del disvalore penale. Essendo tipicamente il procedimento/processo penale ?strumento? finalizzato all'accertamento di quel disvalore, non pare aver senso logico istituire fasce di salvaguardia sul ?mezzo? senza raccordare quella salvaguardia a un razionale perseguimento del fine. Poiché,inoltre.è stato mantenuto in vita da parte del legislatore della novella, il sistema della prescrizione allungata, non può non prendersi atto che detta tipologia di estinzione del reato è ancorata a elementi di valenza sostanziale. Gli sviluppi processuali possono ostacolare il corso ordinario della prescrizione, ma soltanto nella cornice ed entro quel ?tempo massimo del reato? che era e resta il limite oltre il quale, consumandosi l'interesse punitivo e maturando conseguentemente l'estinzione del reato, non può essere ragionevolmente difeso l'interesse alla salvaguardia di un processo anziché di un altro in ragione del differente avanzamento di essi all'entrata in vigore di una legge. Tanto determina una evidente disparità di trattamento con indubbi riflessi di incostituzionalità della normativa sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale. |
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