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Data: 25/04/2018 11:00:00 - Autore: Silvia Rossaro Avv. Silvia Rossaro - Sull'opportunità della consulenza tecnica d'ufficio nel giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di adottabilità del minore si è espressa di recente la Corte di Cassazione, Sez. I, nell'ordinanza n. 21 febbraio 2018, n. 7559 (sotto allegata). La vicendaNella vicenda la ricorrente, richiamati alcuni principi affermati dalla stessa Corte di Cassazione e dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo in tema di adozione, sosteneva che la Corte territoriale avrebbe attribuito alla madre un vero e proprio disturbo comportamentale, desunto tuttavia non già da un accertamento tecnico medico-legale, bensì da valutazioni compiute dai servizi sociali, senza che risultasse la loro specifica competenza tecnica e senza che dette valutazioni fossero raccolte nel contraddittorio o sottoposte ad alcun vaglio critico. Inoltre, si lamentava che la sentenza impugnata neppure si fosse misurata con lo scrutinio della irreversibilità del disturbo diagnosticato alla madre e sulla possibilità di interventi conservativi che potessero porre rimedio alla situazione rilevata, tanto più che, anche ad ammettere una qualche criticità del rapporto genitoriale, ciò non poteva giustificare il definitivo sradicamento del minore della famiglia di origine. La Suprema Corte ha accolto tale motivo di ricorso, ritenendolo fondato nel senso che segue. L'art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (nel testo novellato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149) attribuisce al diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine un carattere prioritario - considerandola l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico - e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare. Ne consegue che, per un verso, compito del servizio sociale non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere con interventi di sostegno a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso, ricorre la "situazione di abbandono" sia in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti sia qualora la vita offerta dai genitori al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psicofisico, cosicché la rescissione del legame familiare risulti l'unico strumento che possa evitargli il più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva (Cass. n. 7115/2011). Al proposito, è stato affermato che il giudice di merito deve, prioritariamente, verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà familiare e, solamente ove sia impossibile prevedere - quand'anche in base ad un criterio di grande probabilità - il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono quale premessa dell'adozione (Cass. n. 6137/2015). Muovendo dal rilievo che il diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dall'art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184, deve ritenersi che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità sia praticabile solo come "soluzione estrema", quando, cioè, ogni altro rimedio appaia inadeguato con l'esigenza dell'acquisto o del recupero di uno stabile ed adeguato contesto familiare in tempi compatibili con l'esigenza del minore stesso (Cass. n. 6552/17). Stato di adottabilità del minore: le linee guidaAlla luce di quanto sopra, con la sentenza in commento, il Supremo Consesso ha individuato le seguenti linee guida per il giudice di merito, nell'accertare lo stato di adottabilità di un minore: a) verificare l'effettiva ed attuale possibilità di recupero dei genitori, sia con riferimento alle condizioni economico-abitative, senza però che l'attività 2 lavorativa svolta e il reddito percepito assumano valenza discriminatoria, sia con riguardo alle condizioni psichiche, queste ultime da valutare anche mediante un'indagine peritale, se del caso; b) estendere tale verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, anche se, allo stato mancanti. È stato ulteriormente ribadito che il giudice di merito deve in primo luogo esprimere una prognosi sull'effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento all'elaborazione da parte dei genitori di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l'aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi altresì dell'intervento dei servizi territoriali (Cass. n. 14436/17). Nel caso in esame, è stato agevole osservare come alla ricorrente venissero attribuite condizioni di fragilità psichica, senza che si fosse proceduto ad un'indagine affidata a tecnici della materia. Ed inoltre, il giudizio riservato alla madre, peraltro esclusivamente fondato su risultanze provenienti dai servizi sociali, in mancanza, come si è detto, di un accertamento esperito a mezzo di consulenza tecnica d'ufficio, pure sollecitata, non si era in alcun modo esteso alla prognosi della recuperabilità della medesima al suo ruolo genitoriale, valutazione che non poteva ritenersi compiuta dalla Corte territoriale neppure per implicito. Per tali ragioni, si è provveduto alla cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla medesima Corte d'appello in diversa composizione perché, attenendosi ai principi di diritto poc'anzi richiamati, effettui i necessari accertamenti come sopra indicati. Silvia Rossaro Avvocato presso il foro di Padova Dottore di ricerca presso l'università degli studi di Padova giurisprudenza
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