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Data: 26/04/2018 06:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - È sufficiente il passaggio di mano del denaro contante per un importo superiore alla soglia prevista dalla legge antiriciclaggio (oggi fissata in 3.000 euro) per far scattare le sanzioni economiche a carico dei due soggetti coinvolti.
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Appare all'uopo irrilevante sia la liceità del negozio sottostante, sia chi abbia la disponibilità finale della somma utilizzata per realizzare l'operazione di trasferimento. Potrà dunque essere punito il bancario che funge da "corriere" prelevando in contanti dai conti del prestanome per trasferirli al vero dominus.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 9881/2018 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di un uomo ingiunto dal Ministero dell'Economia delle Finanze a pagare una somma di quasi 340mila euro a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria per aver trasferito denaro contante senza osservare la normativa antiriciclaggio (art. 1, comma 1, d.l. n. 143 del 1991 convertito nella l. n. 197 del 1991). La vicendaIl destinatario dell'addebito è un impiegato di banca che, come emerso dagli accertamento della Guardia di Finanza, aveva, in numerose occasioni, trasferito denaro contante a un ex dirigente in pensione e poi consulente della banca stessa.
Il denaro trasferito proveniva da conti aperti presso l'Istituto di credito, intestati a soggetti compiacenti, i quali consentivano, in cambio di una parte dei guadagni, l'apertura di conti a loro nome, ma destinati a essere di fatti gestiti da altri.
In Cassazione, la difesa sottolinea come l'impiegato si limitasse a prelevare il denaro su istruzioni dei superiori, ma senza trasferirlo da un soggetto a un altro; questi, infatti, semplicemente lo portava materialmente negli uffici della direzione senza farlo uscire dalla banca e senza consegnarlo a soggetti diversi, ma solo ad un collega.
Denaro che, peraltro, non veniva nemmeno prelevato, ma rimaneva nella piena disponibilità dei singoli correntisti, sino a quando costoro non lo dividevano con l'ex dirigente, a totale insaputa del ricorrente che neppure era tenuto a segnalare l'anomalia delle operazioni, sia perché non aveva alcun modo di accorgersene, sia perché non aveva alcun accesso al sistema delle segnalazioni.
Inoltre, il ricorrente, sottolinea di non aver avuto alcun potere di rifiutare le prestazioni che il datore di lavoro gli assegnava, perché queste non apparivano illecite, secondo la diligenza in concreto esigibile. Antiriciclaggio: sufficiente il passaggio di mano del denaro sopra soglia per far scattare le sanzioniSi tratta di una tesi che gli Ermellini respingono in toto in quanto il trasferimento di denaro risultava pienamente provato e pacificamente ammesso in sede di dichiarazioni alla Guardia di finanza sia dal ricorrente che dal soggetto "prestanome" che aveva ricevuto il denaro trasferito. Inoltre, l'entità dei prelievi superava la soglia antiriciclaggio, all'epoca fissata in 12.500 euro.
L'impiegato provvedeva ai prelievi di denaro contante, previa esibizione ai cassieri di ordini di pagamento precedentemente firmati in bianco dai titolari dei conti e dallo stesso compilati. Una volta incassato il denaro, questi lo trasferiva all'ex dirigente brevi manu o in alternativa lo depositava in una cassetta di sicurezza nella disponibilità esclusiva di questi.
Sulla base di tali circostanze, la condotta dell'impiegato integra certamente l'illecito contestato, trattandosi di operazioni bancarie la cui irregolarità e abnormità era tale che gli era certamente nota, essendo tra l'altro un dipendente dell'istituto.
Sul punto, la Cassazione si allinea all'orientamento già espresso nella sentenza n. 1645/2017 secondo cui, in tema di normativa diretta a limitare l'uso del contante nella transazioni ed a prevenire l'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, il divieto, posto dall'art. 1, comma 1, del d.l. n. 143 del 1991, conv., con modif., dalla l. n. 197 del 1991, riguarda il trasferimento di denaro "a qualsiasi titolo" tra soggetti diversi.
Pertanto, ai fini della sussistenza dell'illecito, è sufficiente che si realizzi la semplice "traditio" del denaro tra soggetti diversi che, per ciò solo, si rendono entrambi responsabili della violazione, a nulla rilevando la finale disponibilità della somma per realizzare operazioni di trasferimento e la liceità del negozio sottostante.
Confermata la decisione impugnata e rigettato il ricorso, l'impiegato viene condannato al pagamento delle spese processuali e al raddoppio del contributo unificato.
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