Data: 28/04/2018 15:30:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Va assolto per non aver commesso il fatto il primario dell'ospedale che si era limitato ad affidare il paziente, poi deceduto, alle cure dei medici lui subordinati senza mai visitarlo o senza mai essere coinvolto direttamente nella gestione del caso clinico.

Infatti, ove il medico apicale abbia svolto correttamente i propri compiti (di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo) e, ciononostante, si sia verificato un evento infausto causato da un medico della propria struttura, di detto evento dovrà rispondere eventualmente unicamente il medico o i medici subordinati

Non può pretendersi che il medico in posizione apicale di un reparto possa controllare costantemente tutte le attività che ivi vengono svolte, posto che anch'egli svolge attività tecnico-professionale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza n. 18334/2018 (qui sotto allegata) annullando la sentenza impugnata, tra gli altri, dal primario di un ospedale. Questi, insieme ad altri sanitari, era imputato per il decesso di un piccolo di paziente avvenuto per peritonite dopo un lungo calvario.

Gli Ermellini, chiamati a pronunciarsi sulla vicenda, ritengono che nel caso di specie, emerga il tema della
cooperazione colposa tra le condotte dei sanitari, eccetto che per la posizione del primario. Già la Corte d'Appello aveva segnalato che questi non ha l'obbligo di dover valutare tutti i casi che entrano in reparto, a meno che non gli venga segnalata la portata anomala di qualcuno di essi.

Addirittura, nel caso di specie, l'imputato non aveva mai visitato il bambino né era mai stato coinvolto nella gestione del caso dagli altri medici. Ciononostante, il giudice a quo lo aveva comunque ritenuto responsabile, sostanzialmente, per essere venuto meno agli obblighi di vigilanza connessi alla sua posizione.

Gli obblighi del primario del reparto ospedaliero

Sul punto, la Cassazione osserva come il medico in posizione apicale sulla base della disciplina di settore attualmente vigente, abbia, oltre che compiti medico-chirurgici propri, anche l'obbligo di dividere il lavoro fra sé e gli altri medici del reparto e di verificare che le direttive e istruzioni che impartisce relativamente alle prestazioni di diagnosi e cura che devono essere effettuate siano correttamente attuate.

Egli può dunque incorrere in una serie di profili di colpa generalmente riconducibili a due macrocategorie: la c.d. culpa in eligendo e la c.d. culpa in vigilando, ma entrambe non ricorrono nel caso in esame relativamente alla figura del primario che aveva assegnato il paziente a uno dei medici lui subordinati.

Deve escludersi che il medico di vertice abbia effettivamente in carico la cura di tutti i malati ricoverati nel proprio reparto posto che l'organizzazione del lavoro attraverso l'assegnazione dei pazienti (anche) ad altri medici assolve a una funzione di razionalizzazione dell'erogazione del servizio sanitario attraverso la quale vengono suddivisi con precisione ruoli e competenze all'interno del reparto.

Il che, secondo i giudici, risponde anche a esigenze di carattere prettamente cautelare, essendo dei tutto evidente che il singolo paziente potrà ricevere cure più efficaci ed efficienti se ha a disposizione medici specificamente incaricati di seguirne il decorso patologico e diagnostico-terapeutico.

La giurisprudenza della Cassazione, infatti, ha ritenuto che il medico in posizione apicale, con l'assegnazione dei pazienti, operi una vera e propria "delega di funzioni impeditive dell'evento" in capo al medico in posizione subalterna anche se, ovviamente, attraverso detta delega il medico apicale "delegante" non si libera completamente della propria originaria posizione di garanzia, conservando una posizione di vigilanza, indirizzo e controllo sull'operato dei delegati.

Il suo obbligo di garanzia si traduce, in definitiva, nella verifica del corretto espletamento delle funzioni delegate e nella facoltà di esercitare il residuale potere di avocazione alla propria diretta responsabilità di uno specifico caso clinico.

Il medico primario non può ritenersi responsabile "per posizione"

Tuttavia, ove si ipotizzasse un obbligo di controllo tanto pervasivo da non consentire alcun margine di affidamento sulla correttezza dell'operato altrui, si esporrebbe a responsabilità penale il medico in posizione apicale per ogni evento lesivo che potrebbe avvenire nel reparto affidato alla sua direzione.

Ma ravvisare una responsabilità penale del medico in posizione apicale anche in questi casi significa accettare una ipotesi di responsabilità per posizione, in contrasto con quanto stabilito dal principio di responsabilità penale personale , ex art. 27, comma 1, dell Costituzione.

Non può pretendersi, infatti, che il vertice di un reparto possa controllare costantemente tutte le attività che ivi vengono svolte, anche per la ragione, del tutto ovvia, che anch'egli svolge attività tecnico professionale.

Pertanto, deve ritenersi che allorchè il medico apicale abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo e, ciononostante, si verifichi un evento infausto causato da un medico della propria struttura, di detto evento debba rispondere eventualmente unicamente il medico o i medici subordinati.

Ed è quanto avvenuto nel caso in esame in cui emerge che i fatti si svolsero in un ambito temporale ristretto e che il primario non ebbe modo di visitre direttamente il paziente e che nulla al riguardo gli fu segnalato dai medici della struttura. La sentenza impugnata, pertanto, va annullato senza rinvio (non essendo possibili ulteriori approfondimenti) nei confronti del primario per non aver commesso il fatto.

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