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Data: 05/05/2018 09:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - In materia di assegno divorzile, nell'operare la sua valutazione comparativa sulla situazione reddituale e patrimoniale degli ex coniugi, il giudice deve motivare in ordine alla data di pensionamento della moglie non essendo sufficiente collocarla genericamente nel "corrente anno" senza motivare sul punto. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 10417/2018 (qui sotto allegata) che ha accolto le doglianze della ex che si era vista negare dalla Corte d'Appello l'assegno divorzile. Il Tribunale, nel dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da lei e l'ex marito, le aveva riconosciuto l'esborso nella somma già fissata in sede di separazione. Invece, il giudice di secondo cure riteneva meno sperequati i redditi dei coniugi rispetto all'epoca della separazione. In particolare, il giudice rilevava come la signora, ex dipendente, fosse titolare di un'indennità di mobilità che sarebbe stata sostituita nell'anno corrente alla data della sentenza (2014) da un trattamento pensionistico di circa 1700 euro mensili. Assegno divorzile: va valutata la data di pensionamento della exIn Cassazione, l'ex moglie censura il provvedimento ritenendo che il giudice a quo non avesse considerato nel suo provvedimento le effettive prospettive pensionistiche della stessa, che solo all'età di 67 anni sarebbe andata in pensione, ovvero dal 1° agosto 2024. Un punto che, effettivamente, la Cassazione ritiene oscuro non avendo la Corte territoriale motivato adeguatamente su tale aspetto decisivo nella comparazione delle condizioni patrimoniali e reddituali degli ex coniugi. La Corte, infatti, ha collocato la data del pensionamento della ricorrente nel 2014 ("presente anno" all'epoca della sentenza) senza, tuttavia, darne alcuna giustificazione. Pertanto, la sentenza va cassata con rinvio affinchè il giudice provveda sul punto. Tenore di vita: attesa per la sentenza delle Sezioni UniteAppare inoltre, interessante, come nella sentenza si torni ad accennare al "tenore di vita" goduto in costanza di matrimonio, ma manchi ogni accenno alla sentenza "Grilli" (n. 11504/2017) che aveva ritenuto che tale criterio dovesse essere abbandonato. In particolare, la signora ritiene che i giudici di merito abbiano violato l'art 5 della legge 898/1970 avendo ritenuto che lei fosse pienamente in grado di provvedere a sé con le proprie risorse anche a far data dal collocamento in mobilità, nonché per il futuro. Affermazione che, a detta della ricorrente, contrasta con alcuni elementi di fatto e con il predetto art. 5 da interpretarsi, secondo la giurisprudenza di legittimità, nel senso che, ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, rilevi l'impossibilita di ottenere risorse tali da consentire il raggiungimento di un tenore di vita sostanzialmente non diverso da quello goduto in costanza di matrimonio. Gli Ermellini, sul punto, si limitano a constatare come la Corte d'Appello non abbia affatto negato la necessità di considerare, anche ai fini dell'assegno divorzile, il tenore di vita goduto dai coniugi. La mancanza di una presa di posizione netta sull'argomento potrebbe essere dovuta all'attesa pronuncia delle Sezioni Unite che ben presto dovrebbe fornire chiarimenti sui criteri per riconoscere o meno il diritto all'assegno divorzile in capo al coniuge richiedente. Il Procuratore Generale della Cassazione, Marcello Matera, ha chiesto al Supremo Consesso, infatti, di continuare a prendere in considerazione il criterio del tenore di vita goduto durante il matrimonio al fine di valutare il diritto del coniuge più debole a ricevere l'assegno di divorzio (leggi: Divorzio: la Cassazione ha deciso oggi sull'assegno all'ex). La sentenza è attesa a breve. |
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