Data: 22/05/2018 10:28:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Un sito internet ricco di consigli pratici e istruzioni riguardanti la preparazione e l'uso di materiali esplosivi e di agenti chimici pericolosi, ad esempio attraverso collegamenti del tipo "Costruisci un fumogeno" e una "Bomba facile facile".

Una vicenda che ha dell'incredibile giunta all'attenzione della Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 21948/2018 (qui sotto allegata), non ha potuto far altro che confermare la condanna al titolare del sito internet per reato di cui all'art. 2-bis della legge 895/1967 (Disposizioni per il controllo delle armi).

Attraverso le pagine del suo portale e per ben tre anni, l'imputato aveva fornito file con istruzioni dettagliate riguardante la preparazione di ordigni attraverso l'uso di materiali esplosivi e agenti chimici aggressivi, mettendo così a rischio l'ordine pubblico.

Da qui la condanna a otto mesi di reclusione, contestata in Cassazione dalla sua difesa secondo cui nel caso di specie non vi sarebbe alcuna "serie di atti" trattandosi, invece, della condotta unisussistente di attivazione del sito web contenente le istruzioni per la fabbricazione di materiali pericolosi.

Cassazione: reato dare istruzioni sul web per costruire una bomba

I giudici rammentano come l'art. 2-bis della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (introdotto dall'art. 8, comma 5, D.L. 144/2005 intitolato "Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale"), punisce chiunque, fuori dei casi consentiti da disposizioni di legge o di regolamento e salvo che il fatto costituisca più grave reato, "fornisce istruzioni in qualsiasi forma, anche anonima, o per via telematica sulla preparazione o sull'uso di materiali esplosivi, di armi da guerra, di aggressivi chimici o di sostanze batteriologiche nocive o pericolose e di altri congegni micidiali".

Tale ipotesi di reato, come si evince da una lettura coordinata con altre disposizioni di legge, è posta a tutela dell'ordine pubblico e, più precisamente, a protezione dell'interesse alla prevenzione dei reati e, in particolare, della vita e della incolumità individuale.

Si realizza, quindi, un'anticipazione della tutela penale, punendo non già l'uso di determinati dispositivi ad alto potenziale offensivo, quanto piuttosto la mera divulgazione delle informazioni necessarie per la loro preparazione, secondo il paradigma tipico dei reati di pericolo.

All'interno di tale categoria, come condivisibilmente ritenuto dalla Corte territoriale, rientrano anche talune fattispecie caratterizzate dalla possibilità che, pur realizzandosi l'azione tipica uno actu, si verifichi comunque una durevole compromissione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice (cd. reati "eventualmente permanenti").

Come correttamente rilevato dalla Corte d'Appello, il reato in contestazione rientra nello schema tipico dei reati di pericolo eventualmente permanenti, sicché la sua consumazione, ancorché iniziata al momento del primo verificarsi della situazione di pericolo, si protrae per l'intera durata dell'offesa e, dunque, fino a quando la predetta esposizione a pericolo del bene giuridico tutelato abbia eventualmente a protrarsi.

Infatti, nel caso di specie, il reato è stato integrato uno actu, attraverso il semplice inserimento, nel sito web allestito dall'imputato, di informazioni finalizzate a consentire, a terzi soggetti, la realizzazione di pericolosi ordigni.

Al contempo, tale condotta ha realizzato una prolungata protrazione dell'offesa, tale da consentire di ricondurla ai reati permanenti e, correttamente, il dies a quo del termine prescrizionale è stato individuato, secondo le regole generali, non già nel momento in cui la fattispecie è stata perfezionata, quanto piuttosto nell'ultimo momento, successivo alla pubblicazione del dato, in cui si ha conoscenza del fatto che le istruzioni de quibus fossero ancora visibili.

La consumazione, in queste tipologie di reato, si protrae per l'intera durata dell'offesa e, dunque, fino a quando la predetta esposizione a pericolo del bene giuridico tutelato abbia eventualmente a protrarsi. Le doglianze formulate dal ricorrente devono, dunque, ritenersi manifestamente infondate.


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