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Data: 27/05/2018 21:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Il padre non può imporre al figlio di abbracciare la nuova confessione religiosa a cui ha aderito dopo la fine della relazione more uxorio. Il giudice può, dunque, impedire al padre di condurre la figlia alle manifestazioni se la minorenne ha manifestato un disagio nel parteciparvi che può turbare la sua crescita emotiva. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nella sentenza n. 12954/2018 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di un padre che aveva reclamato, senza risultato, il provvedimento emesso dal Tribunale in sede di determinazione delle condizioni di affido condiviso della figlia minore. In particolare, il giudice di prime cure gli aveva inibito di condurre con sé la bambina, nata da una relazione more uxorio, agli incontri e alle manifestazioni dei Testimoni di Geova, fede religiosa da lui abbracciata e praticata dopo la fine della convivenza. La bambina, ascoltata dal giudice, aveva manifestato il proprio disagio a partecipare a tali incontri e anche l'espletata CTU psicologica aveva ritenuto pregiudicata l'equilibrata crescita emotiva della minore a causa delle modalità con cui il padre intendeva portarla a conoscenza del proprio credo e a sollecitarla a seguirlo, impedendole di partecipare alle manifestazioni della religione cattolica nella quale la bambina era stata educata e che condivideva con le sue amiche. Il padre non può imporre la religione ai figli se crea "disagio"In Cassazione, l'uomo ritiene lesa la sua libertà di religione e limitato il suo diritto a far conoscere e apprezzare alla bambina la sua nuova religione: infatti, i numerosi principi a tutela di tale diritto, sia a livello costituzionale che sovranazionale, consentono di educare i figli nella propria fede purché, nel rispetto delle loro inclinazioni, questi siano lasciati liberi di scegliere se e in cosa credere. Proprio partendo da tale assunto i giudici ritengono legittimo il divieto imposto al genitore di portare la minore alle manifestazioni della sua confessione religiosa poiché è stato appurato che tale circostanza potesse pregiudicare l'equilibrata crescita emotiva della bambina. Il Collegio ribadisce che il criterio fondamentale cui il giudice deve attenersi nel fissare le modalità dell'affidamento dei figli minori in caso di conflitto genitoriale è proprio quello del superiore interesse della prole, stante il preminente diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata. Il perseguimento di tale obiettivo può perciò comportare anche l'adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti di libertà individuali dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica e lo sviluppo. Pertanto, aderendo a tali principi, si ritiene che il decreto impugnato dal genitore sia immune da censure in quanto adottato nel preminente interesse della bambina, posto che il forzato coinvolgimento nella pratica della religione paterna era risultato agli occhi del CTU pregiudizievole per la minore e la sua crescita emotiva. |
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