Data: 28/05/2018 16:44:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Non riconoscere il diritto all'indennità di maternità al padre adottivo o affidatario che esercita una libera professione rappresenta un vulnus sia del principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore

In tal modo, infatti, si contraddice la ratio degli istituti a tutela della maternità, che non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino.

Lo ha ribadito la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 105/2018 (qui sotto allegata), pronuncia originata dalla vicenda di un avvocato che si era visto respingere dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense il riconoscimento dell'indennità di maternità in riferimento all'adozione internazionale di tre minori stranieri, dopo che la moglie vi aveva rinunciato espressamente.

Dopo essere stata respinta anche dal Tribunale, l'istanza del legale giunge innanzi alla Corte d'Appello di Trieste che rimette alla Consulta la decisione sulla legittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del d.lgs. n. 151/2001 (T.U. in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), nel testo antecedente alle modifiche di cui al D.L. n. 80/2015, promosso dalla Corte d'appello di Trieste.

Il giudice rimettente contesta le norme nella parte in cui "vietano in sostanza l'erogazione dell'indennità di maternità al padre adottivo anche nel caso in cui la madre abbia rinunziato a detta prestazione" ritenendo violati diversi principi costituzionali e CEDU.

Illegittimo non riconoscere la maternità al padre professionista

Tuttavia, la Corte costituzionale ritiene che il rimettente non abbia valutato appieno le implicazioni della precedente sentenza della Consulta n. 385/2005 con la quale il giudice delle leggi aveva già dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del d.lgs. cit. "nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l'indennità di maternità, attribuita solo a quest'ultima".

Essa è pervenuta a tale conclusione sulla base del rilievo che il d.lgs. del 2001 ha riconosciuto il diritto all'indennità al padre adottivo o affidatario lavoratore dipendente e l'ha escluso per quanti esercitano una libera professione.
Tale disparità, per i giudici, rappresenta "un vulnus sia del principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore", contraddicendo la ratio degli istituti a tutela della maternità, che "non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino".
Quest'ultimo, infatti, "va tutelato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità".
L'astensione dal lavoro, nei casi dell'affidamento e dell'adozione, si prefigge di garantire "una completa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia" e l'effettiva parità di trattamento tra i genitori, liberi di accordarsi sull'organizzazione familiare più adeguata, risponde al preminente interesse del minore, come ribadito anche nella sentenza n. 285 del 2010 della Consulta.
In occasione della pronuncia del 2005, la Consulta ha specificato anche che, nel rispetto dei principi sanciti dalla Corte, rimane comunque riservato al legislatore il compito di approntare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre un'adeguata tutela.

Indennità di maternità professionisti: da subito, nonostante l'attesa del legislatore

Sbaglia, però, la Corte rimettente a credere che, in difetto di tale intervento del legislatore, il principio enunciato nella sentenza n. 385/2005 non dispieghi alcuna influenza sulla definizione della vicenda controversa portata alla sua attenzione.
Al contrario, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del d.lgs. n. 151/2001, riguardante i liberi professionisti iscritti a enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza, la regola che preclude al padre adottivo il godimento dell'indennità di maternità, in posizione di parità con la madre, ha cessato di avere efficacia e non può più ricevere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
Pertanto, deve ritenersi che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale corredate dall'addizione di un principio, enunciato in maniera puntuale e quindi suscettibile di diretta applicazione, impongono di ricercare all'interno del sistema la soluzione più corretta, anche quando la sentenza ne ha rimesso l'attuazione al legislatore.
È dovere del giudice, chiamato ad applicare la Costituzione e le sentenze che questa Corte adotta a garanzia della stessa, fondare la sua decisione sul principio enunciato non potendo la Corte pronunciarsi una seconda volta, come invece ha richiesto la Corte d'Appello.
Il principio di parità tra i genitori adottivi conforma, difatti, la disciplina dell'indennità di maternità, che oramai vive nell'ordinamento, innervata dal principio ordinatore che questa Corte ha introdotto, come peraltro affermato anche dalla Corte di cassazione in una pronuncia recente (per approfondimenti: Indennità di maternità: spetta anche all'avvocato padre adottivo).
A tale principio dovrà dunque fare riferimento la Corte d'Appello per decidere della controversia sottoposta alla sua attenzione.

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