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Data: 04/06/2018 10:54:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Non è concesso alla pubblica amministrazione fissare in anticipo i tempi che il medico deve dedicare alle visite e agli esami che svolge. Infatti, la durata effettiva della prestazione rimessa alla discrezione del sanitario in relazione alla tipologia e complessità del trattamento, così da garantire un'assistenza coerente con gli standard individuati dai LEA (livelli essenziali di assistenza). L'obiettivo di diminuire le liste d'attesa, infatti, può essere raggiunto con modalità alternative, ad esempio aumentando le risorse umane e strumentali da adibitre al delicato settore della pubblica sanità. Lo ha stabilito il T.A.R. Lazio nella sentenza n. 6013/2018 (qui sotto allegata) accogliendo il ricorso di Sumai (Sindacato Unico Medicina Ambulatoriale Italiana), a cui si era unita anche la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), volto ad annullare un decreto emesso dal Presidente della Regione Lazio. Il provvedimento aveva adottato un "tempario regionale di riferimento delle prestazioni specialistiche ambulatoriali individuate come critiche" il quale fissava, in particolare la durata massima di ogni singola prestazione sanitaria riguardante tutta una serie di esami o visite specialistiche (es. mammografia, risonanza magnetica oppure visite dermatologiche, ginecologiche, cardiologiche, etc.). Le tabelle contenute nel decreto, ad esempio, stabilivano in 20 minuti il tempo da dedicare a una visita neurologica o a una visita oncologica e 15 minuti il tempo per un elettrocardiogramma. Tutto ciò al dichiarato scopo di ridurre il più possibile le c.d. "liste di attesa" a livello regionale. Il sindacato, tra l'altro, lamenta la violazione dell'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, il quale prevedrebbe una riserva di regolamentazione pattizia (contrattazione collettiva) con riguardo alla disciplina del lavoro del personale medico in questione (specialisti ambulatoriali). Visite mediche: niente tempi prefissati dalla PAIn effetti, rileva il T.A.R. dal testo normativo emerge come la materia sia in effetti rimessa in via esclusiva alla disciplina contrattuale collettiva di settore, con ciò escludendo in radice interventi unilaterali della P.A., in subiecta materia, quali quelli che nella specie hanno formato oggetto di specifica contestazione. In sostanza, precisa il Collegio, eventuali modifiche al sistema riguardante numero e durata delle prestazioni erogabili dovrebbero dunque essere unicamente riservate alla contrattazione collettiva tra competente amministrazione di settore da un lato e categorie professionali maggiormente rappresentative dall'altro lato. Nel caso in esame l'intimata amministrazione sanitario non ha affatto osservato questo metodo. Inoltre, non si è tenuto neppure conto di quanto stabilito dall'art. 27 dell'Accordo Collettivo Nazionale di categoria nella parte in cui si prevede una determinata autonomia di giudizio, in capo al singolo professionista, circa la congruità del tempo da riservare alle singole visite. Dalla disposizione in esame si desume che la durata effettiva di ogni singola prestazione dipende da "tipologia" e "complessità" del trattamento (esame o visita) da eseguire e che una siffatta valutazione (sulla durata, ossia, della singola prestazione) debba essere riservata in via esclusiva allo "specialista ambulatoriale" il quale deve osservare tempi di esecuzione comunque idonei a garantire una assistenza sanitaria coerente con gli standard qualitativi individuati dallo Stato con il decreto LEA (livelli essenziali di assistenza). Ne deriva la scarsa propensione alla standardizzazione, in termini di durata, delle singole prestazioni sanitarie, mentre invece l'impugnato decreto aveva previsto proprio un tempo massimo entro il quale la singola prestazione medica avrebbe dovuto essere assicurata e soprattutto terminata. Ciononostante, i giudici del T.A.R. tengono debitamente conto anche del pregevole obiettivo che il gravato provvedimento mira a realizzare, ovvero la riduzione dei tempi di attesa per essere sottoposti a visite ed esami specialistici. Tuttavia, si legge nella sentenza, "un simile obiettivo ben potrebbe essere perseguito con mezzi che non necessariamente debbano coincidere con una riduzione, de facto, del tempo da dedicare ai singoli esami ed alle singole visite (e con conseguente aumento del carico di lavoro per il personale medico attualmente in forza)". A contrario, suggeriscono i giudici, tale scopo potrebbe essere piuttosto concretizzato, a titolo esemplificativo, attraverso un (tanto auspicato) aumento delle risorse umane e strumentali da adibire ad un così delicato settore quale quello della pubblica sanità. Leggi anche Medici: basta con le visite a tempo
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