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Data: 09/06/2018 15:30:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Legittimo il licenziamento disciplinare del lavoratore che fa timbrare a un collega il suo badge identificativo attestando falsamente la sua presenza in ufficio. Un tale atteggiamento, infatti, è idoneo a violare i fondamentali doveri scaturenti dal vincolo della subordinazione oltre che a integrare una fattispecie penalmente rilevante (reato di tentata truffa). Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nell'ordinanza n. 13269/2018 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di un lavoratore che era stato licenziato per giusta causa dalla società presso la quale era alle dipendenze. Questi, assieme ad altri due dipendenti, aveva chiesto a un collega di timbrare al suo posto il badge identificativo, di cui aveva preventivamente indicato l'ubicazione, presumendo di poter giungere a lavoro in ritardo a causa di alcuni imprevisti. E infatti, era risultato il suo ingresso in ufficio alle ore 11.35 mentre, invece, il ricorrente aveva effettivamente iniziato la propria prestazione alle ore 12.50. La condotta oggetto di addebito era stata confermata, oltre che dalle testimonianze acquisite, anche dal medesimo ricorrente, in sede di giustificazioni rese all'esito delle contestazioni formulate da parte aziendale. Per i giudici di merito la sanzione irrigata era apparsa proporzionale alla mancanza commessa, idonea a ledere gravemente e irrimediabilmente il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro inter partes. Proporzionalità contestata dal ricorrente in Cassazione, che critica la Corte distrettuale nella parte in cui ha negato rilevanza a una serie di circostanze ed elementi determinanti: tra questi, ad esempio, la portata della patologia di cui il lavoratore soffriva (poliomelite arto inferiore, ansia libera e somatizzata, attacchi di panico), la mancanza di precedenti disciplinari e l'occasionalità dell'evento. Licenziato chi fa timbrare a un collega il proprio badge per assentarsi da lavoroCiononostante, gli Eremellini rammentano come il giudice di merito investito della domanda con cui si chieda l'invalidazione di un licenziamento disciplinare, debba accertatane, in primo luogo, la sussistenza in punto di fatto, dovendo poi verificare che l'infrazione contestata sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo di recesso. In caso di esito positivo di tale delibazione, prosegue la sentenza, il giudice stesso dovrà poi apprezzare in concreto la gravità dell'addebito, "essendo pur sempre necessario che esso rivesta il carattere di grave negazione dell'elemento essenziale della fiducia e che la condotta del dipendente sia idonea a ledere irrimediabilmente la fiducia circa la futura correttezza dell'adempimento della prestazione dedotta in contratto, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore dipendente rispetto all'adempimento dei suoi obblighi". Nel caso di specie, la gravata pronuncia ha accertato nella sua portata oggettiva la condotta assunta dal lavoratore, rapportandola agli standard valutativi insiti nella coscienza generale, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale, e ne ha rimarcato la gravità, rammentando che la falsa attestazione della presenza in ufficio, mediante timbratura del badge identificativo a opera di un terzo, implica la violazione di fondamentali doveri scaturenti dal vincolo della subordinazione oltre a integrare fattispecie penalmente rilevante (reato di tentata truffa). La Corte di merito ha anche considerato i riflessi di natura soggettiva della fattispecie, avendo riguardo alle condizioni personali del lavoratore, portatore di handicap, o al dedotto guasto alla autovettura che avrebbe indotto il dipendente a indurre il collega a timbrare il cartellino in sua assenza. Tuttavia, i giudici hanno ritenuto, all'esito di una ponderata valutazione di tutti gli elementi acquisiti, di ravvisare comunque il requisito di gravità della condotta, idoneo a vulnerare irrimediabilmente il vincolo fiduciario sotteso al rapporto e da giustificare, in quanto proporzionata, l'irrogazione della massima sanzione disciplinare. Alla luce di tali circostanza, il ricorso viene dunque rigettato.
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