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Data: 24/06/2018 11:50:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - È onere dell'avvocato dimostrare di aver svolto l'attività professionale per la quale richiede il pagamento del compenso. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 15930/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sulla domanda di un avvocato che aveva chiesto condannarsi un suo cliente, calciatore professionista, al pagamento dei compensi professionali maturati per l'attività di assistenza legale prestata nell'interesse del convenuto in occasione della stipula del contratto con una società calcistica. Il Tribunale di Roma, tuttavia, aveva rigettando tale domanda ritenendo che, in realtà, l'attività svolta dall'attore andasse inquadrata in quella di procuratore sportivo e non di avvocato, conclusione confermata dalla Corte d'appello. Il calciatore, infatti, aveva sempre ribadito che l'avvocato aveva svolto il suo ruolo di procuratore sportivo e una stessa missiva sottoscritta dal legale qualificava espressamente il credito vantato come derivante da un rapporto procuratorio calcistico, il che deponeva in maniera inequivoca in senso contrario a quanto affermato dall'attore. Nessun riscontro documentale o testimoniale era, invece, stato fornito da parte attrice, secondo i giudici di merito, circa la risoluzione di presunte questioni legali. Non avendo fornito prova dell'attività svolta, dunque, l'avvocato non avrebbe maturato il diritto al compenso preteso. L'avvocato deve provare di aver svolto l'attività di cui chiede compensoAd analoga conclusione giunge la Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sulla vicenda a seguito del ricorso dell'avvocato. Nella decisione, correttamente la Corte d'Appello ha richiamato il principio (cfr. Cass. n. 9254/2006) secondo cui l'onere di provare lo svolgimento dell'attività professionale per la quale si richiede il pagamento del compenso incombe sullo stesso professionista, principi che appaiono suscettibili di estensione anche allo svolgimento dell'attività legale. Sul punto, gli Ermellini chiariscono che la parcella predisposta dal professionista è priva di rilevanza probatoria nell'ordinario giudizio di cognizione, costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista assistita da una presunzione di veridicità. Questa, pertanto, può essere posta a fondamento della decisione solo laddove le "poste" o "voci" in essa elencate non siano interessate da specifiche contestazioni del cliente. Nel caso in esame, dunque, incombeva sull'avvocato l'onere di dimostrare l'effettivo svolgimento dell'attività svolta nell'interesse del convenuto e la sua corrispondenza a quanto riportato in fattura, la quale intanto può assumere una presunzione di veridicità in quanto risulti dimostrata l'effettiva sussistenza di un mandato professionale riconducibile ad un incarico di natura legale. Il cliente, invece, aveva sempre fermamente contestato l'esistenza di un rapporto di assistenza legale, riconducendo l'attività svolta al diverso rapporto di procuratore sportivo, conclusione alla quale hanno inteso aderire i giudici di merito, secondo il loro insindacabile apprezzamento in fatto. |
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