|
Data: 27/06/2018 15:30:00 - Autore: Sara Terpin Avv. Sara Terpin - La Cassazione Civile sez. II, con la sentenza n. 9973/2018 (sotto allegata), si pronuncia ancora una volta in tema di responsabilità sociale di un membro di un consiglio di amministrazione non delegato ai sensi dell'art. 2392 c.c., definendo con chiarezza gli elementi costitutivi della fattispecie [1]. Essi sono:
- la condotta inerte; - il fatto pregiudizievole antidoveroso altrui (ndr del delegato); - il nesso causale tra inerzia e fatto pregiudizievole, nel senso che la tempestività dell'intervento del non delegato avrebbe potuto evitare o limitare il fatto pregiudizievole; - la colpa in capo al non delegato, il quale non si è utilmente attivato per conoscere adeguatamente il fatto altrui e per evitare la verificazione dell'evento dannoso, come invece avrebbe dovuto usando l'ordinaria diligenza del buon amministratore. Egli dunque non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale commesso dai delegati, in ragione del fatto di ricoprire una supposta "posizione di garanzia", ma solo in presenza di un difetto di diligenza nello svolgimento della propria carica. Il casoLa vicenda da cui trae origine la sentenza della Cassazione in esame attiene alle responsabilità di un amministratore non esecutivo indipendente di una società di investimento, che era stato soggetto ad un provvedimento sanzionatorio assunto dal direttorio della Banca d'Italia, ai sensi dell'allora vigente art. 6 del TUF (D. Lgs. 58 del 1998), successivamente confermato con decreto della Corte di Appello di Brescia n.ro 23388 del 17 giugno 2015, avendo ravvisato nei comportamenti del consigliere non delegato la violazione colpevoli dei doveri propri della carica ricoperta ai sensi dell'art. 2381 c.c., e dunque una sua responsabilità ai sensi dell'art. 2392 c.c.. Si pone dunque il problema di individuare quali siano in concreto e precisamente i doveri che sorgono in capo a ciascun membro di un consiglio di amministrazione non delegato, il quale, dunque, non avendo compiti esecutivi, dovrebbe rispondere per atti e operazioni pregiudizievoli alla società compiuti da altri.
La normativa: il combinato disposto degli artt. 2392 e 2381 c.c.
La formulazione ante riforma addossava a tutti i membri del Consiglio di amministrazione non delegati un generico dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione, il quale veniva ricostruito quale controllo continuo ed integrale sull'attività dei delegati: esso così finiva per sfociare di fatto in una responsabilità oggettiva di posizione qualora si fosse riscontrato che i consiglieri delegati avessero agito in difformità dall'interesse sociale, e dunque sfuggendo a tale vigilanza. Ai sensi dell'attuale combinato disposto dell'art. 2392 e dell'art. 2381 c.c., invece, la responsabilità in capo agli amministratori non delegati è sempre e solo una responsabilità per colpa: è responsabile l'amministratore non esecutivo che non abbia correttamente assolto i propri doveri, ossia che non si sia attivato per conoscere adeguatamente il fatto altrui, che sarebbe stato da un amministratore diligente conoscibile, ovvero non si sia adoperato per evitare la verificazione dell'evento dannoso.
Ciò che rileva in primis al fine di predicare la responsabilità dell'amministratore non è dunque l'effettiva conoscenza del fatto altrui dannoso ma la mera conoscibilità dello stesso. "Solo la responsabilità omissiva dolosa presuppone la conoscenza effettiva del fatto illecito o reato in itinere quale elemento essenziale della fattispecie, laddove l'imputazione per colpa richiede la mera conoscibilità dell'evento (mediante la conoscibilità dei predetti "sintomi" o "segnali di allarme". Il punto di criticità della disciplina della responsabilità del consigliere non delegato si rinviene dunque nella identificazione delle circostanze di questa "conoscibilità": quando può ritenersi in colpa il consigliere non delegato per non aver tempestivamente individuato e percepito l'illecita e dannosa gestione altrui?
Il requisito cruciale: conoscenza o conoscibilità?
Come noto, ai sensi dell'art. 2381.2 c.c., se lo Statuto o l'Assemblea (dei soci) lo consentono, il Consiglio di Amministrazione può delegare proprie attribuzioni [2] a singoli consiglieri o a comitati esecutivi. Anche in presenza di tali deleghe, il Consiglio mantiene tuttavia sempre la facoltà di impartire direttive ai delegati nonché di avocare a sé operazioni rientranti nella delega qualora ne ravvisi l'opportunità, e, in ogni caso, ha l'obbligo di controllare continuativamente l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, esaminare, se elaborati, i piani strategici, industriali e finanziari della società ed infine valutare il generale andamento della gestione, dovendo all'uopo essere periodicamente, e comunque secondo esigenza, informato dagli organi delegati. Il fatto che siano disciplinati specifici obblighi e canali informativi dai delegati ai non delegati, tuttavia, non esime i consiglieri non delegati dal valutare autonomamente la completezza e la veridicità delle informazioni presentate dai delegati al consiglio. Del resto, come stabilito dall'art. 2381.6 c.c., ogni amministratore, anche non delegato, è tenuto ad agire in modo informato, e pertanto ogni amministratore non delegato può, e anzi deve, chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite maggiori informazioni relative alla gestione della società qualora possa ragionevolmente ritenersi che quelle fornite sua sponte dai delegati secondo i canali formali e predeterminati siano carenti, incomplete o infedeli. In altri termini, la conoscibilità di eventuali eventi dannosi non può desumersi esclusivamente alla stregua dei flussi informativi tracciati dalla legge[3]: qualora sussistano "segnali di pericolo" o "sintomi di patologia" quali "indici rivelatori" o "capanelli di allarme" di un possibile fatto illecito materialmente ed integralmente compiuto dai delegati, percepibili con la normale diligenza anche in assenza o addirittura in contrasto con le informazioni rese dall'amministratore esecutivo secondo i canali informativi ordinari, ovvero qualora le irregolarità siano di tal numero e gravità da renderle certamente percepibili da un amministratore attento ed oculato, sussiste in capo al consigliere non delegato un obbligo giuridico di non ridursi a passivo destinatario delle informazioni rese dai delegati, ma di attivarsi per chiarire la portata attuale dell'attività gestoria ed eventualmente intervenire per impedire la verificazione dell'evento dannoso[4]. E tali doveri informativi attivi risultano ancora più pregnanti in caso di consiglieri esecutivi di aziende bancarie, anche alla luce di quanto disposto dalla circolare del 21 aprile 1999 n.ro 229 della Banca d'Italia (Istruzioni di Vigilanza per le banche) e ss.mm., attuativa delle disposizioni di cui all'art. 53 lett. b) e d) del TUB, e del Regolamento congiunto Banca d'Italia-Consob in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio del 29 ottobre 2007 e ss.mm.. In tali ambiti, infatti, a tutti i consiglieri non delegati è imposto un dovere di agire: - con diligenza; - senza conflitto di interesse; - in modo informato; - adempiendo fedelmente a stringenti obblighi di monitoraggio e valutazione della solidità della struttura operativa e di governo societario, nonché di controllo della periodicità e completezza dei flussi informativi e più in generale dell'adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi, contabili, compreso il sistema di controlli interni[5]; secondo la diligenza propria della natura dell'incarico ad essi affidato, per il quale sono richieste dalla normativa di settore specifiche competenze e requisiti di professionalità[6], anche alla luce della rilevanza pubblicistica degli interessi protetti, in ossequio a quanto disposto dall'art. 47 della Costituzione[7]. In ambito bancario e di intermediazione, infatti, i consiglieri non delegati devono possedere ed esprimere costante ed adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni assunte dall'intero consigli (al quale è affidata l'approvazione degli orientamenti strategici e delle politiche di gestione del rischio dell'intermediario), hanno l'obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi in tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter utilmente ed efficacemente esercitare una funzione dialettica e di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi attraverso un costante flusso informativo, al fine di poter esercitare in modo informati i poteri di avocazione loro spettanti[8].
La decisione della Cassazione: la vigilanza attiva e diligente
In conclusione, la Cassazione ha ribadito, e giustamente a parere dello scrivente, che chi assume un incarico gestorio, ancorchè in assenza di compiti esecutivi, deve essere consapevole che la carica assunta gli impone ben precisi standard professionali e comportamentali: egli non può limitarsi ad un vaglio formale delle informazioni che passivamente riceve, in forza degli ordinari e periodici flussi informativi, dai consiglieri delegati, ma deve invece vigilare in modo attivo e con la dovuta diligenza sul loro operato, al fine di percepire tempestivamente eventuali anomalie gestionali e potersi così attivare per adottare tutti i provvedimenti in suo potere atti a evitare l'evento pregiudizievole per la società.
Avv. TERPIN SARA Mail: avv.terpin@terpingrassobiondi.it Studio legale in Brescia, via Diaz n.ro 34 [1]In conformità a quanto già statuito da Cass. Civile Sez. 1 n.ro 22848 /2015 [2]Vd. salve quelle inderogabilmente riservate ex legeal Consiglio nella sua interezza - Art. 2381.4 c.c. [3]Vd. Anche Cass. Civile Sez. 1 n.ro 22848 /2015. [4]Trattasi evidentemente di una responsabilità omissiva , la cui prova può – e anzi deve – essere data per presunzioni[4], secondo una valutazione prognostica: deve infatti dimostrarsi che un consigliere non delegato "diligente" avrebbe rilevato i segnali di allarme ed in conseguenza si sarebbe attivato motu proprio al fine di sollecitare un maggior flusso di informazioni tale da rendere ben identificabile la condotta dannosa in tutta la sua portata e dunque permetterne la sua limitazione. Peraltro, in materia di sanzioni amministrative, e analogicamente a quanto avviene in tema di responsabilità contrattuale dell'amministratore verso la società, la colpa è presunta, ragion per cui da un punto di vista processualistico, una volta addotto l'inadempimento, grava sul presunto responsabile l'onere di provare l'assenza di colpa (come ad esempio nel caso doloso camuffamento dello scorretto operare da parte dei delegati) – Vd. sul punto Cass. n.ro 27432 del 9 dicembre 2013; Cass. n.ro 5239 del 28 febbraio 2008; Cass. SSUU n.ro 10508 del 6 ottobre 1995; Cass. n.ro 1554 del 21 gennaio 2009; Cass. n.ro 13610 del giorno 11 giugno 2007; Cass. n.ro 22890 del 25 ottobre 2006; Cass. 15930 del 13 luglio 2006; Cass. 15598 del 7 luglio 2006. [5]Vd. Cass. n.ro 2737 del 5 febbraio 2013. [6]Vd. Art. 26 del d.lgs. 385 del 1993. [7]Cass. n.ro 2737 del 5 febbraio 2013. [8]Cass. Civile Sez. 1 n.ro 22848 del 9 novembre 2015; Cass. n.ro 2737 del 5 febbraio 2013. |
|