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Data: 29/06/2018 09:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Rischia la sospensione l'avvocato d'ufficio che diserta immotivatamente le udienze e richieda denaro ai genitori del minore assistito in qualità di difensore d'ufficio senza, invece, attivare la procedura di liquidazione di cui all'art. 82 del d.P.R. 115/2002. Tanto ha stabilito la Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 16977/2018 (qui sotto allegata) nel respingere il ricorso di un avvocato e confermando nei suoi confronti la sanzione della sospensione per quattro mesi. In particolare, all'avvocato erano addebitate violazioni dei doveri di correttezza, diligenza e lealtà della professione, avendo egli omesso di partecipare ad una serie di udienze, senza addurre giustificato motivo né provvedere alla nomina di un sostituto. Ancora, il CNF nell'impugnata sentenza aveva ritenuto responsabile il legale per essere venuto meno anche ai doveri di probità e decoro poiché, in qualità di difensore d'ufficio di un minore, aveva richiesto un compenso per l'attività professionale, che avrebbe dovuto essere svolta con onorari a carico dello Stato. Sospeso l'avvocato che diserta le udienze senza giustificato motivoIn Cassazione, il professionista si difende sostenendo che le sue assenze ingiustificate erano parte di una precisa strategia difensiva, ma trattasi di una doglianza che non convince gli Ermellini. Il comportamento del difensore d'ufficio che non presenzi all'udienza senza giustificazione idonea, infatti, può integrare la violazione del dovere di diligenza imposto dalla stessa legge professionale (art. 3, comma 3, della legge n. 247/2012), sia nel vecchio (art. 38), che nel nuovo codice deontologico (art. 26). La violazione dei "doveri professionali" viene a concretarsi in ragione dell'inescusabile "mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato", quale locuzione che per i giudici deve intendersi ricomprensiva della necessaria attività processuale del difensore nominato. Difesa d'ufficio: sanzionato l'avvocato che richieda compensi all'assistitoNeppure colgono nel segno le censure al provvedimento nella parte in cui aveva ritenuto che la difesa d'ufficio del minore, per la quale l'avvocato aveva chiesto il pagamento di un compenso, non dovesse essere retribuita. Per la difesa, infatti, vi sarebbe stato un inammissibile sillogismo tra difesa d'ufficio e patrocinio a spese dello Stato, beneficio al quale il minore non avrebbe potuto accedere per ragioni reddituali, né, in ogni caso, l'ammissione del quale era mai stata richiesta. Gli Ermellini rammentano come l'art. 85 del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito nel Capo IV del Titoli I della Parte Terza di detto d.P.R., pone al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato il divieto di "chiedere e percepire dal proprio assistito compensi o rimborsi a qualunque titolo, diversi da quelli previsti dalla presente parte del testo unico" (comma 1); divieto la cui violazione "costituisce grave illecito disciplinare professionale". A differenza dell'estensione contemplata dal precedente art. 116 per la liquidazione di onorario e spese al difensore d'ufficio (da intendersi, per un rapporto di reciproca esclusione tra norme, quello di persona maggiorenne), ammessa solo "quando il difensore dimostra di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali" e, quindi, dopo essersi rivolto (inutilmente) alla parte assistita, la previsione del citato art. 118 del d.P.R. n. 115 impone all'avvocato d'ufficio del minore di avvalersi della procedura di liquidazione di cui all'art. 82 del medesimo d.P.R., dovendo, pertanto, essere l'autorità giudiziaria a provvedere alla liquidazione di onorari e spese. Tale necessaria procedura, consentanea rispetto al "diritto alla retribuzione del difensore di ufficio", prescinde dalla circostanza che il minore possa, o meno, essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato, quale verifica che il d.P.R. prevede a valle del provvedimento giudiziale di liquidazione in favore del difensore d'ufficio. Pertanto, è corretta la decisione del CNF, secondo la Suprema Corte, di ritenere sussisterne la violazione dell'art. 85 del d.P.R. n. 115 del 2002 integrata dalla condotta dell'avvocato che, nella qualità di difensore d'ufficio del minore nel procedimento penale a carico di quest'ultimo, aveva chiesto ai genitori, suoi legali rappresentanti, il pagamento dei compensi per l'attività svolta, senza attivare, invece, la procedura di liquidazione anzidetta, unico necessario strumento per ottenere il compenso a lui spettante, posto soltanto a carico dello Stato. |
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