Data: 31/07/2018 12:30:00 - Autore: Valeria Zeppilli

La funzione rieducativa della pena nella Costituzione

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La funzione rieducativa della pena trova il suo riconoscimento nella Costituzione che, all'articolo 27, sancisce che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

A tale proposito, in dottrina si è osservato che l'utilizzo del verbo tendere renda la rieducazione solo un obiettivo eventuale e non uno scopo essenziale della pena.

Evoluzione storica della funzione rieducativa

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Il principio affermato nella Costituzione è il punto di approdo di un dibattito che ha iniziato a svilupparsi concretamente già nel XVIII secolo ad opera della dottrina giuridica illuminista, sebbene producendo frutti in alcun modo paragonabili a quelli che ha offerto il Novecento. In quegli anni, in particolare, si è sviluppato il netto rifiuto della crudeltà della detenzione, del lavoro sino a esaurimento, delle pene corporali e dell'assenza, nelle carceri, di igiene e luce e, addirittura, di vitto se non per l'opera dei benefattori. Viene superata la promiscuità fra detenuti e vengono introdotte delle celle singole o per poche persone, dotate di luce e igiene.

Venendo allo scorso secolo, la funzione rieducativa della pena, prima dell'emanazione della carta costituzionale, aveva fatto la sua comparsa di alcune innovative circolari, poi confluite nella riforma del regolamento carcerario prevista dal regio decreto numero 393/1922. Tali provvedimenti avevano ad oggetto la disciplina del lavoro svolto dai detenuti nelle carceri, la disciplina dei colloqui, la disciplina della corrispondenza e la disciplina delle case di rigore.

Rieducazione e passaggio dal doppio binario al sistema monistico

Successivamente, il codice penale Rocco del 1930 si era in parte interessato di funzione rieducativa costruendo un sistema cosiddetto "a doppio binario", in forza del quale le pene perseguivano il fine della prevenzione generale e le misure di sicurezza quello della prevenzione speciale. La rieducazione, quindi, era esclusivamente nelle mani di queste ultime.

Tuttavia, l'emanazione della Costituzione e la successiva estensione della funzione rieducativa anche alle pene hanno determinato, gradualmente, il passaggio dal doppio binario a un sistema monistico in cui la sanzione può rivestire la veste di pena o di misura di sicurezza a seconda delle condizioni psicologiche nelle quali il reo si è trovato a delinquere e, più in generale, delle sue condizioni soggettive, perseguendo, in ogni caso, l'obiettivo della rieducazione del condannato.

La rieducazione

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Sostanzialmente, quando si parla di rieducazione si fa riferimento a un'offerta di opportunità al condannato che correggano la sua antisocialità, ne adeguino il comportamento alle regole giuridiche e ne permettano un suo progressivo reinserimento nella società.

A tal fine è fondamentale creare nel reo delle motivazioni che lo inducano a tenere comportamenti corretti e avviarlo a un percorso che crei in lui responsabilità e consapevolezza di quali sono le conseguenze delle azioni che pone in essere.

Il sistema sanzionatorio differenziato

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La funzione rieducativa della pena trova estrinsecazione nella creazione di un sistema sanzionatorio differenziato in forza del quale al giudice è data la possibilità di avvalersi della discrezionalità che gli è conferita dagli articoli 132 e seguenti del codice penale per rendere la pena concretamente adeguata al recupero sociale del condannato.

La premialità progressiva

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In tale contesto si inseriscono due fondamentali strumenti: la previsione di misure alternative alla detenzione e, soprattutto, il sistema della premialità progressiva. Quest'ultimo, nel dettaglio, determina un'attenuazione della pena se e nella misura in cui il condannato dimostri di aver riacquisito le corrette abitudini sociali.

Funzione rieducativa della pena nella legge sull'ordinamento penitenziario

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La funzione rieducativa della pena ha ispirato anche alcune previsioni della legge sull'ordinamento penitenziario numero 354/1975, che rappresenta la massima espressione del finalismo rieducativo.

Ci si riferisce, ad esempio, all'articolo 54 che concede la liberazione anticipata, con una detrazione di quarantacinque giorni per ogni semestre di pena scontata (anche in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare), al condannato a pena detentiva che abbia dimostrato di aver partecipato a un'opera di rieducazione. Il beneficio è concesso "quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società".

Funzione rieducativa e sanzioni sostitutive

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Inoltre, la funzione rieducativa della pena trova la sua espressione anche nella legge numero 689/1981.

Tale intervento normativo, infatti, ha introdotto e disciplinato le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi proprio sul presupposto che le pene brevi, a ben vedere, producono effetti che non sono rieducativi ma, semmai, desocializzanti.

Esecuzione delle pene in luoghi esterni al carcere

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Infine, un più recente strumento teso ad attuare il finalismo rieducativo della pena è quello dell'esecuzione delle pene detentive inferiori a diciotto mesi in luoghi esterni al carcere, introdotto dalla legge numero 199/2010.

Il beneficio non si applica:

  • ai soggetti che sono stati condannati per uno dei delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario;
  • ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza
  • ai detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell'articolo 14-bis della legge sull'ordinamento penitenziario, salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall'articolo 14-ter della medesima legge;
  • quando vi è la possibilità concreta che il condannato si dia alla fuga, quando sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che egli possa commettere altri delitti o quando il domicilio non sia idoneo ed effettivo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.


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