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Data: 03/08/2018 15:50:00 - Autore: Gabriella Lax di Gabriella Lax – E' incostituzionale la norma primaria nella parte in cui ha consentito alla norma subprimaria di interferire sulla durata della custodia cautelare demandando tale facoltà all'imputato detenuto. A riportare e commentare la decisione in un comunicato è l'avvocato Valeria Chioda, Coordinatore Area Nord Giunta Nazionale dell'Aiga (Associazione italiana giovani avvocati).
Aiga, il commento alla sentenza della Consulta sul processo AemiliaA questa conclusione giunge la Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità dell'art 2 bis della l 146/90 poiché risulta «incostituzionale la norma che consente che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati nel regolare l'astensione degli avvocati nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l'imputato si trovi in stato di custodia cautelare, interferisca con la disciplina della libertà personale dell'imputato».
I fatti prendono il via dal processo Aemilia: il 23 maggio 2017 il Tribunale di Reggio Emilia, solleva questione di legittimità dell'art 2 bis della legge n. 146/90 nella parte in cui consente che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati stabilisca che nei procedimenti penali, in cui l'imputato si trova in stato di custodia cautelare o di detenzione, si possa procedere malgrado l'astensione del difensore stesso se l'imputato lo consente. Secondo il Tribunale, l'imputato a causa delle astensioni cui aderiva il difensore, aveva subito restrizioni della libertà personale per motivi diversi da quelli espressamente considerati dalla legge. Questa disciplina, secondo il giudice, è illegittima in quanto i valori costituzionalmente garantiti (ossia della libertà personale, diritto di difesa dell'imputato in vinculis, giusto processo e garanzia che il processo con imputati detenuti si svolga in tempi compatibili con il principio di non colpevolezza) vengono così considerati di rango inferiore rispetto al diritto di astensione.
Per la Consulta devono proseguire le udienze nonostante lo sciopero degli avvocati difensori nel processo AemiliaLa sentenza della Consulta conferma la decisione presa in precedenza dal tribunale remittente che aveva fatto proseguire le udienze nonostante lo sciopero degli avvocati difensori nel processo Aemilia.. Per la corte di legittimità è possibile ricondurre le censure svolte dal remittente sotto tre profili: in primis, diritto di libertà dell'imputato sottoposto a custodia cautelare garantito costituzionalmente dall'art. 13 della Costituzione; a seguire, il principio della ragionevole durata del processo, previsto espressamente dall'art. 111 della Costituzione, il cui rigore dovrebbe essere maggiore nei casi di imputati detenuti; infine, da valutare la coerenza della disciplina censurata con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Secondo la Corte, le censure debbono essere circoscritte alla fattispecie dell'imputato sottoposto a custodia cautelare e non anche all'imputato detenuto, che ben potrebbe trovarsi in tale situazione per altra causa esterna al procedimento in corso.
Aiga, la posizione subprimaria del codice di autoregolamentazioneRicorda inoltre la Corte che, con la sentenza n.171/1996, l'art 2 legge 146/1990 era stato ritenuto incostituzionale laddove non prevedeva, nel caso dell'astensione degli avvocati, l'obbligo di un congruo preavviso e di una ragionevole limitata durata dell'astensione stessa, nonché nella parte in cui non prevedeva gli strumenti idonei a determinare ed assicurare le prestazioni essenziali durante l'astensione stessa. Dopo questa pronuncia, il legislatore avrebbe dovuto introdurre le misure necessarie ad evitare la compromissione dei beni principali della convivenza civile. La legge 11 aprile 2000 n. 83, invece, ha introdotto nella legge 146 del 1990 il censurato art 2 bis che ha eliminato la possibilità di una regolamentazione legislativa, in tal senso, ed ha coinvolto le associazioni di categoria mediante il richiamo del codice di autoregolamentazione. Così il codice di autoregolamentazione diventa normativa subprimaria, rispetto all'art 2 bis norma primaria, e non di un mero atto di autonoma privata delle associazioni di categoria. Posto che il codice di autoregolamentazione risulta normazione subprimaria, e pertanto valido erga omes, il giudice, ritiene la Corte, dovrà osservarne le disposizioni in quanto conformi alla legge (art 101 secondo comma Costituzione) ed è proprio perchè contrario alla legge che il tribunale remittente ha posto la questione al giudice di legittimità. Da una parte c'è l'art. 13 della Costituzione che sancisce l'inviolabilità della libertà personale, stabilendo i casi e i modi in cui è ammessa la detenzione ed in particolare rimettendo alla legge di stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva (quinto comma). Il codice di procedura penale contiene un'articolata disciplina dei termini di durata della custodia cautelare, attribuendo al giudice una discrezionalità vincolata in merito alla loro sospensione. Dunque solo la legge primaria può modificare i termini della custodia cautelare. A tal proposito c'è la sentenza n. 64 del 1970 con cui la Consulta stessa aveva previsto che solo la legislazione ordinaria determinasse i limiti temporali massimi della carcerazione preventiva. La Corte conclude dichiarando che la disposizione di cui all'art. 2 bis l 146/1990 viola la riserva di legge posta dall'art 13 quinto comma costituzione, posto che permette al codice di autoregolamentazione di incidere sulla disciplina legale dei limiti di restrizione della libertà personale, prevedendo la facoltà per l'imputato di decidere che si proceda nonostante la dichiarazione di astensione del suo difensore qualora lo stesso abbia aderito all'astensione collettiva, con diretta ricaduta sui termini di durata della custodia cautelare. |
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