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Data: 14/08/2018 06:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - La dialettica tra avvocati, processuale e non, assume sovente dei toni particolarmente aspri e "fiammeggianti". Tuttavia, le espressioni utilizzate devono sempre essere tenute sotto controllo, non potendosi spingere oltre un determinato limite. In caso contrario, l'avvocato che le ha pronunciate o scritte rischia di incorrere in sanzioni disciplinari, senza potersi giustificare con lo scudo del "diritto di difesa o critica": Avvocati: vietate espressioni offensive e sconvenientiIl codice deontologico forense, all'art. 19, precisa che l'avvocato è tenuto a mantenere nei confronti dei colleghi e delle Istituzioni forensi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà. A questa regola generale seguono, all'interno del codice stesso, una serie di prescrizioni precise inerenti il rapporto di colleganza e i comportamenti da tenere per non incorrere in illeciti disciplinari. L'art. 52 del codice, in particolare, dispone a carico dell'avvocato un divieto di uso di espressioni offensive e sconvenienti, sia negli scritti in giudizio che nell'esercizio dell'attività professionale, nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi. Chi viola tale divieto rischia di incorrere nella sanzione disciplinare della censura. Inoltre, lo stesso codice deontologico chiarisce che "La ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono la rilevanza disciplinare della condotta" (leggi Avvocati: sanzionato chi diffama il collega anche se provocato). Avvocati: diritto di difesa non può scriminare l'offesaSecondo la giurisprudenza (ex multis SS.UU., sent. n. 11370/2016) la norma si sostanzia nell'obbligo all'avvocato, "nell'attività professionale in genere" e a prescindere dalle conseguenze civili e penali, di non usare espressioni sconvenienti e offensive nei confronti, tra gli altri, dei propri colleghi. Quello che viene in rilievo è la "sconvenienza" della fraseologia adottata, a prescindere dalla veridicità dei fatti che hanno dato luogo alla presentazione dell'esposto. Il tema appare essere piuttosto delicato e spesso all'attenzione dei giudici disciplinari, come dimostra la copiosa giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense che si è trovato, molto spesso, a valutare proprio l'uso di espressioni utilizzate dagli avvocati nei confronti dei colleghi all'interno degli scritti difensivi e degli atti giudiziari. Il CNF, infatti, ha ribadito che il diritto-dovere di difesa non giustifica l'uso di espressioni sconvenienti ed offensive. In particolare, violano l'art. 52 le espressioni usate dal professionista che rivestano un carattere obiettivamente sconveniente e offensivo e che si situino ben al di là del normale esercizio del diritto di critica e di confutazione delle tesi difensive dell'avversario. Si tratta delle espressioni che entrano nel campo, non consentito dalle regole di comportamento professionale, del biasimo e della deplorazione dell'operato dell'avvocato della controparte, dovendo peraltro ritenersi implicito l'"animus iniuriandi" nella libera determinazione di introdurre quelle frasi all'indirizzo di un altro difensore in una lettera o in un atto difensivo. Secondo i giudici, il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell'atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell'adempimento del mandato professionale, oltre il quale si prefigura la violazione del codice deontologico, va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore. In sostanza, quando la disputa ha un contenuto oggettivo e riguarda le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni, ma quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo l'esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti Non sempre, dunque, l'avvocato potrà "salvarsi" da una sanzione disciplinare aggrappandosi alla "scriminante" della tutela del diritto di difesa e critica: l'esercizio di tale diritto, infatti, non può tradursi in una facoltà di offendere, dovendo in tutti gli atti ed in tutte le condotte processuali rispettarsi il dovere di correttezza, anche attraverso le forme espressive utilizzate. Avvocati: un "elenco" di cose da non dire al collega!A titolo esemplificativo si riportano una serie di espressioni censurate dalla giurisprudenza disciplinare: Accusare il collega di essere "malizioso"Il Cnf, ad esempio, ha ritenuto di condannare l'avvocato che aveva accusato il collega avversario, difensore della Curatela, di comportamenti volutamente "maliziosi" e diretti non all'esercizio delle sue funzioni di Curatore, ma ad ottenere, a vantaggio del Fallimento, l'adempimento di diritti che (a suo dire) il Curatore sapeva inesistenti (leggi Avvocati: illecito accusare il collega di comportamenti maliziosi). Dare del mediocre cultore del dirittoColpevole dell'illecito deontologico è stato considerato anche l'avvocato che aveva scritto al collega avversario: "ricevo suo ulteriore fax con termine di 3 giorni, i soliti… che lei usualmente concede, essendo un mediocre cultore del diritto" (CNF, sent. 233/2017). Dire che "spilla quattrini" dal clienteStessa sorte per il legale che aveva accusato il collega di controparte di aver agito giudizialmente al fine di "spillar quattrini" al suo assistito (CNF, sent. 231/2017). Dare del credulone e superficialeSanzionato anche l'avvocato che aveva definito il collega di controparte come "professionista superficiale, credulone e poco accorto" al fine di denigralo e renderlo ridicolo agli occhi del giudice (CNF. sent. 207/2017). Dare dell'ignorante e saccenteCondannato anche l'avvocato che aveva affermato che l'iniziativa giudiziaria del collega sarebbe dipesa da "pervicace ignoranza" ed "ignavia", per poter "lucrare sulle spese" (CNF, sent. 63/2017), ma la scure della censura censura è calata anche sull'avvocato l'avvocato che ha dato del "saccente" e "dispotico" al collega di controparte (leggi Avvocati: censurato chi dà del saccente al collega). Chiamare la collega "signora"Il Consiglio Nazionale Forense (sent. 195/2006) ha ritenuto disciplinarmente rilevante anche il comportamento del professionista che, durante l'udienza, aveva privato la collega del dovuto titolo di Avvocato (qualificandola semplicemente "signora") e aveva usato verso la stessa espressioni sconvenienti ed offensive, idonee ad incidere negativamente sulla dignità e sul prestigio dell'avvocato stesso e della classe forense (leggi Avvocati: va sanzionato chi chiama la collega "signora"). |
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