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Data: 16/08/2018 15:30:00 - Autore: Annamaria Villafrate di Annamaria Villafrate - Nel decreto del 27 luglio 2018 (sotto allegato), il Tribunale di Ravenna chiarisce il concetto di "grave pregiudizio" derivante al creditore dalla procedura di concordato, in grado di giustificarne l'istanza di risoluzione. Secondo il collegio emiliano occorre valutare la dimensione "oggettiva" dell'inadempimento, procedendo al raffronto tra quanto prospettato inizialmente e la possibilità concreta di soddisfare i creditori. Ora, poiché in questo caso, non solo non è stato possibile soddisfare i chirografari, ma neppure pagare interamente i creditori privilegiati, dato che nessun immobile della società debitrice è stato venduto, l'istanza di risoluzione del creditore deve essere accolta. La vicenda processualeCon ricorso una società propone istanza di risoluzione del concordato preventivo di una S.r.l, di cui è creditrice per la somma Euro 8.489,72 oltre interessi. I Commissari Giudiziali hanno espresso parere favorevole all'attuabilità del concordato, anche se hanno rideterminato la percentuale di possibile soddisfacimento dei creditori chirografari, nella misura realistica compresa tra il 18,86% ed il 20,04%. La relazione semestrale del liquidatore ha evidenziato però che "allo stato attuale nessuna unità immobiliare di proprietà della procedura concordataria è stata liquidata … l'attivo concordatario è quasi esclusivamente composto da unità immobiliari … e l'attivo realizzato ad oggi è minimo rispetto ai valori stimati (realizzi effettuati 2,16% del totale" concludendo che "allo stato l'attivo realizzato non è sufficiente neanche al soddisfacimento integrale dei creditori prededucibili." Risoluzione concordato: il grave pregiudizio deve essere oggettivoRiconosciuta la legittimazione attiva della società ricorrente, il Tribunale di Ravenna precisa che il grave pregiudizio "in questa materia non concerne (soltanto) il rapporto bilaterale fra singolo creditore agente e debitore in concordato, bensì una dimensione più ampia quale emerge attraverso la conformazione che sulle obbligazioni anteriori opera il decreto di omologazione. La gravità, quindi, consiste in un pregiudizio rilevante, che riguardi in modo esiziale le stesse obbligazioni discendenti dall'omologazione del concordato, nel senso di riflettersi sull'equilibrio e sul fondamento dell'impianto obbligatorio così come ridisegnato dall'accettazione e successiva omologa del concordato". Quello che rileva, in altri termini, "è la dimensione 'oggettiva' dell'inadempimento, ossia il grado di distonia (che deve essere 'grave') fra adempimento promesso o prospettato e possibilità concreta di soddisfare i creditori". Sotto questo profilo, pertanto, come recentemente scritto in dottrina "la risoluzione potrà e dovrà essere pronunciata anche nel caso in cui l'accertato inadempimento dipenda da fatti non imputabili al debitore, venendo in rilievo il dato oggettivo dell'impossibilità di eseguire il piano e di soddisfare i creditori nei termini promessi". Il Tribunale rileva come la gravità della situazione sia stata evidenziata nella memoria dei commissari giudiziali e, prima di loro, dal liquidatore giudiziale. Non si tratta solo di una variazione delle percentuali di soddisfacimento dei crediti che è possibile ottenere, rispetto a quella prospettata inizialmente, ma di una "radicale impossibilità di dare esecuzione alla proposta di concordato nei termini promessi". Non solo nessun immobile è stato venduto, ma è prevista addirittura una minusvalenza di 938.147,04 euro, che non consente di pagare i chirografari e neppure di soddisfare interamente i creditori privilegiati. Nel caso di specie, ricorre quindi l'ipotesi del grave inadempimento (art. 186 l.f.) da accertare nella sua dimensione oggettiva, che conduce alla risoluzione del concordato preventivo della società debitrice. Vai alla guida Il concordato preventivo |
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