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Data: 12/09/2018 20:00:00 - Autore: Carlo Casini dott. Carlo Casini - Tante sono le cose che si sentono sulla professione forense. Molte sono vere, altre no. In un connubio tra realtà e mito, dati obbiettivi possono esserci forniti dal Censis, che ha presentato il suo rapporto sull'avvocatura del 2018. La ricerca è stata commissionata dalla Cassa forense, al fine di monitorare la professione tanto tra chi la svolge, quanto tra chi ne usufruisce. Rapporto Censis avvocatura: la fine di un cicloUn dato impossibile da ignorare è che siamo alla fine di un ciclo di crescita: dati alla mano [Fonte Censis: Rapporto avvocatura 2018), il tasso di professionisti iscritti tra il 1995 ed il 2017 è stato pari al +192%, se invece prendiamo in rassegna solo gli ultimi due anni censiti (si dispone di 2016 e 2017) il dato scende vertiginosamente ad un timido aumento dello 0.4%. E i numeri non sono destinati ad invertirsi, perchè se andiamo a consultare una ricerca parallela dello stesso ente sulle facoltà universitarie di legge, noteremo anche in questo caso che gli immatricolati in Giurisprudenza sono calati di circa 23.000 unità negli ultimi cinque anni. La questione di genere: avvocatura sempre più rosaUn secondo dato che merita attenzione, è la questione di genere. Anche in questo caso è utile un rapido raffronto tra il 1990 (53.027 iscritti all'albo di cui solo il 10.5% era costituito da quote rosa) mentre nel 2017, su un totale di 242.796 iscritti il 47,8 % era rappresentato da donne, segnando il passaggio da un rapporto di 1 donna avvocato per 10 avvocati uomini a 1 su 2. A confermare questo dato e ad esaltarlo deve considerarsi che lo scorso anno il 78.4% degli avvocati che hanno iniziato il proprio percorso professionale era costituito da donne. Con i dati suindicati è plausibile aspettarsi un rapporto del Censis per il 2019 che indichi la totale parità -salvo stravolgimenti-, per la prima volta dalla istituzione della professione, tra uomini e donne. L'avvocato è una professione sempre più rosa. Distribuzione geograficaVeniamo ora alla distribuzione geografica degli avvocati in Italia, la media è di 4 avvocati ogni 1000 abitanti, un dato che però non è effettivo perchè frutto della media tra regioni come Valle d'Aosta e Tretino Alto Adige dove la media è di 1,2 e 1,4 ogni 1000 abitanti e regioni come il Lazio, la Campania e la Calabria dove il rapporto può toccare i 7 avvocati per 1000 cittadini. Un altro dato che deve preoccupare è la notevole differenza organizzativa e di guadagni che c'è tra studi legali del Nord Italia e quelli del Centro-Mezzogiorno. Infatti il saldo ricavato dalle dichiarazioni IRPEF dei colleghi del Nord è in calo rispetto all'anno precedente del 14,9%, mentre per i colleghi del Mezzogiorno raggiunge il 25,9%. Basti pensare che la media più bassa di reddito è in Puglia (22.630) mentre la più alta in Lombardia (67.382), il Lazio è in una posizione intermedia (47.155). Sotto il profilo organizzativo, nel Sud ci sono staticamente studi più piccoli, meno articolati e di conseguenza con meno volume lavorativo, al Nord invece c'è una predisposizione maggiore per i grandi studi con più professionisti associati. Probabilmente questo è uno dei fattori che aiuta a spiegare il dato suindicato. La ricerca mostra indiscutibilmente un Mezzogiorno debole, dove l'unico soggetto a poter effettuare una perequazione è lo Stato. Prospettive e idea sulla professioneLe donne e i giovani avvocati sono più possibilisti rispetto a un miglioramento mentre il pessimismo dilaga all'alzarsi dell'età e del reddito. Mentre i primi sono convinti nei prossimi anni di guadagnare di più, i secondi sconsigliano vivamente la scelta della professione ritenendo più gratificanti e remunerate altre occupazioni. Non deve stupire che i giovani sposano con maggior entusiasmo le riforme di questi anni, -equo compenso, rimozione dell'incompatibilità tra professione e lavoro dipendente, la forma societaria-, pur richiedendo maggiore attenzione e garanzie per le fasce più deboli, ancora non tutelate a dovere per la maggioranza degli intervistati, tra le figure più a rischio, spiccano i collaboratori di studio. Differenze in base all'età e al genereQuesto a parere dello scrivente è il dato più interessante e al contempo più preoccupante. Il Censis è riuscito a stilare una tabella, in base all'età e al genere, recante i valori di reddito medio per fasce d'età uomo/donna e il relativo differenziale tra i due sessi: RMD--> Reddito Medio Donne RMU--> Reddito Medio Uomini DVA--> Differenza in Valore Assoluto [Fonte: Censis] 23-29 anni ->RMD: 10.316 RMU: 12.682 DVA: -2.546 30-34 anni ->RMD: 12.190 RMU: 17.671 DVA: -5.481 35-39 anni ->RMD: 15.928 RMU: 27.942 DVA: -12.014 40-44 anni ->RMD: 20.635 RMU: 40.284 DVA: -19.649 45-49 anni ->RMD: 28.187 RMU: 56.230 DVA: -28.043 50-54 anni ->RMD: 32.535 RMU: 69.389 DVA: -36.854 55-59 anni ->RMD: 36.254 RMU: 79.346 DVA: -43.043 60-64 anni ->RMD: 40.483 RMU: 81.378 DVA: -40.895 65-69 anni ->RMD: 42.269 RMU: 78.698 DVA: -36.429 70-74 anni ->RMD: 33.235 RMU: 65.463 DVA: -32.228 75 e oltre ->RMD: 21.808 RMU: 43.558 DVA: -21.750 MEDIA --> RMD: 23.115 RMU: 52.729 DVA: -29.614 I dati della tabella sopra riportata confermano quanto solitamente si dice sulla "gavetta" perchè è innegabile alla luce di questi dati che le donne negli anni quadruplicano i loro introiti mentre gli uomini possono arrivare perfino a quasi otto volte tanto il valore delle prime retribuzioni. I valori più affidabili sono certamente quelli medi, visto il campione di indagine di circa 1/40 degli iscritti all'albo. Generalmente, gli intervistati per dirsi soddisfatti e realizzati dalla professione sono uomini, over cinquanta e con un reddito che supera i cinquantamila euro annui. Il dato che più deve allarmare è il netto differenziale che c'è a tutte le età, (con ovvie punte sui picchi di guadagno) tra colleghi uomini e donne, se prendiamo ad esempio la fascia d'età 55-59, dove sono stati registrati i maggiori introiti, il differenziale annuo è spaventoso, circa 43 mila euro all'anno (circa mezzo milione d'euro in più in dieci-undici anni di professione). Questo divario è inaccettabile. Ma purtroppo non si può chiedere agli uomini di lavorare meno o alle donne di lavorare di più, serve un intervento mirato dello Stato, unico e grande perequatore. Aggiungo, che seppur la carriera sia necessaria e doverosa come per tutte le professioni, forse nella professione forense è esaltato ai massimi livelli il progredire del reddito con l'età. Questo perchè la ricerca del Censis non può rivelare tanti aspetti connotati alla vita reale, quali ad esempio la impossibilità frequente di mettersi in proprio visti gli alti costi da sostenere per aprirsi uno studio legale proprio, la sottoposizione gerarchica al titolare dello studio per cui si lavora ecc. Deve però anche segnalarsi che ben sette professionisti su dieci ignorano di avere la possibilità di partecipare a bandi nazionali e europei di finanziamento (art. 12 L.81/2017). Basti pensare che sul campione di indagine esaminato solo lo 0,2% è riuscito a richiedere e ad ottenere un finanziamento. Un dato molto rilevante e notevole in un contesto di crisi come si è avuto modo di chiarire sopra, che dovrebbe fisiologicamente spingere verso la richiesta di finanziamenti. Cosa pensano gli italiani degli avvocatiLa fiducia degli italiani è condizionata. E' il contraltare del calo di prestigio della professione. Ciò che la condiziona è il risultato da raggiungere in giudizio, l'onorario da pagare e la trasparenza e la chiarezza che passa soprattutto per l'informazione e la condivisione delle linee di difesa tra avvocato e cliente. Il cliente non è più un soggetto passivo che si affida all'avvocato e:"ne esce sorridente e leggero, convinto di aver riconquistato il diritto di dormire tranquillo dal momento che ha trovato chi si è assunto l'obbligo professionale di passare le sue notti agitato per conto suo", per citare Piero Calamandrei. Sono cambiati molti aspetti negli anni sia in senso evolutivo che involutivo, dalla ricerca emerge chiaramente che servono motivazioni ancor più forti al giorno d'oggi per intraprendere la professione forense, e che comunque, il sostantivo sul quale orientarla, deve essere necessariamente la resilienza. Questo perchè, in itinere professionis, si possono incontrare tante avversità, dallo stress prolungato alle (possibili) difficoltà di guadagno, solo a titolo d'esempio. E' ovvio che una grossa fetta della credibilità, della affidabilità e della lucentezza dell'avvocatura passa necessariamente per un recupero del prestigio che a questa compete, dato il suo valore costituzionale e il ruolo che attende in uno stato democratico. Tutto questo non basta se non viene affiancato da una presa di coscienza da parte del Legislatore e da dei consequenziali interventi legislativi mirati. Lo scrivente a riguardo ha avuto più volte modo di dire: "L'avvocato compie in giudizio, quello che il medico compie in sala operatoria e quello che il poliziotto compie in strada, essendo ogni professione imprescindibile per lo sviluppo e il sostentamento della società". |
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