Data: 13/09/2018 06:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Nel regolare le spese di causa e liquidare i compensi agli avvocati, il giudice deve attenersi ai criteri dettati dal d.m. n. 55/2014 che prevale sul D.M. n. 140/2012 nel rispetto del principio di specialità.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nell'ordinanza n. 21487/2018 (qui sotto allegata)

Innanzi alla Cassazione si era contestata la decisione della Corte d'Appello per aver, in violazione del d.m. n. 55/2014, liquidato il rimborso spese agli avvocati al di sotto del minimo legale, relativamente alla fase di rinvio.

La Corte, non condividendo l'opposta opinione sul punto, ritiene che il citato decreto del Ministero della Giustizia n. 55/2014, nella parte in cui determina un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti (art. 4) possa considerarsi derogativo del decreto n. 140, emesso dallo stesso Ministero il 20/7/2012.

Quest'ultimo, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo art. 1, comma 7, dispone che "In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa".

Compensi avvocati per spese legali liquidati secondo il d.m. n. 55/2014

Tuttavia, rammenta la Cassazione, il d.m. n. 140 è stato emanato allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l'avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l'incarico professionale.

Per contro, il giudice resta tenuto a effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal d.m. n. 55, il quale non prevale sul d.m. n. 140 per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità.
Non è il d.m. n. 140 (evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente) a prevalere, ma il d.m. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa (cfr., Cass. n. 1018/2018).
Nel caso in esame, d'altronde, l'intervento del giudice aveva riguardato il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto. Considerato che la liquidazione effettuata dalla Corte locale per la fase di rinvio si pone al di sotto dei limiti imposti dal d.m. n. 55, tenuto conto del valore della causa e pur applicata la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell'affare , è necessario procedere a una riliquidazione.

Compenso non inferiore ai minimi: il plauso del CNF

La decisione ha raccolto il plauso del Consiglio Nazionale Forense, come confermano le dichiarazioni del presidente, Avv. Andrea Mascherin: "La Cassazione ribadisce il divieto di deroga ai limiti minimi previsti (ora in modo ancor esplicito) dai parametri, considerati norma speciale. Assieme alle prime delibere delle Regioni per l'applicazione dell'equo compenso, si inizia a ricostruire la tutela del compenso decoroso e quindi equo".

Mascherin ha sottolineato come l'ordinanza in oggetto abbia consolidato l'orientamento giurisprudenziale che sancisce l'illegittimità dei compensi ove tali da violare il decoro professionale, affermato già nel 2015 e nel 2016 dalla Corte di Giustizia Europea (sentenza 8/12/2016), dalla Cassazione (sentenza n. 25804/2015, ordinanza n. 24492/2016) e dalla Giustizia Amministrativa (sentenza TAR Sicilia n. 3057/2016, 334/2017 e TAR Lombardia n. 902/2017).


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