Data: 16/09/2018 06:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Chi paga gli stipendi in contanti rischia di incorrere in una doppia sanzione: non solo una multa da 1.000 a 5.000 euro, ma anche quella da 3.000 fino a 50.000 euro per violazione del divieto d'uso del contante.

Questo è quanto precisato dall'Ispettorato Nazionale del Lavoro nella nota n. 7369 (qui sotto allegata) del 10 settembre 2018 che fornisce indicazioni operative al personale ispettivo, facendo seguito alla precedenti note (nn. 4538 e 5828 del 2018), in ordine alle modalità di verifica dell'osservanza degli obblighi introdotti dalla Legge di Bilancio (art. 1, commi 910 - 913, L. n. 205/2017) e dell'effettività dei pagamenti realizzati mediante gli strumenti ivi indicati.

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Nella nota, l'INL sottolinea le modalità di svolgimento delle verifiche ispettive che "sono, innanzitutto, volte ad escludere la corresponsione della retribuzione in contanti direttamente al lavoratore, attraverso l'acquisizione di prove anche documentali attestanti l'utilizzo degli strumenti di pagamento di cui al comma 910".

Nell'ipotesi in cui risulti dubbia l'effettiva corresponsione della retribuzione attraverso tali strumenti, spiega l'Ispettorato, gli organi di vigilanza possono procedere a ulteriori controlli che si differenziano in base alle modalità di pagamento adottate.

Stipendi in contanti: doppia sanzione per somme superiori a 3.000 euro

L'Ispettorato ha già in una precedente nota chiarito che i trasgressori, che violino l'obbligo in questione, rischiano una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro. L'applicazione della sanzione prescinde dal numero di lavoratori interessati dalla violazione: si rischiano, quindi, tante sanzioni quante sono le mensilità per cui si è protratto l'illecito.
A titolo esemplificativo, spiega l'INL, qualora la violazione si sia protratta per tre mensilità in relazione a due lavoratori, la sanzione calcolata ai sensi dell'art. 16 della L. n. 689/1981 sarà pari a euro 1666,66 (importo sanzione mensile) x 3 (mesi di violazione) = euro 5.000.
Nel documento, l'Ispettorato evidenzia anche che, laddove il personale ispettivo riscontri pagamenti in contanti per un importo stipendiale mensile complessivamente pari o superiore a € 3.000, si configura, altresì, la violazione dell'art. 49, comma 1, del d.Lgs. n. 231/2007.

La violazione, in sostanza, è quella correlata alla normativa antiriciclaggio che prevede sanzioni pecuniarie salatissime per i trasgressori che vanno da 3.000 fino a 50.000 euro. I datori di lavoro che non rispettano la legge, dunque, potrebbero vedersi assoggettati a una doppia sanzione.

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La violazione alla normativa antiriciclaggio andrà segnalata, ai sensi del successivo art. 51, comma 1, alle Ragionerie Territoriali dello Stato competenti in base al luogo ove è avvenuto il pagamento o, se ignoto, in base al luogo di accertamento, ai fini della contestazione, da parte degli organi competenti, dell'illecito amministrativo di cui al successivo art. 58.

Somme a diverso titolo per cui è consentito il pagamento in contanti

Il divieto di pagamento in contanti, rammenta l'INL, riguarda ciascun elemento della retribuzione e ogni anticipo della stessa. Il pagamento con gli strumenti elencati alle lettere da a) a d) del comma 910, (bonifico, strumenti di pagamento elettronico, ecc.) si riferiscono soltanto alle somme erogate a titolo di retribuzione.

Invece, non è obbligatorio l'utilizzo di detti strumenti per la corresponsione di somme dovute a diverso titolo, quali ad esempio quelle imputabili a spese che i lavoratori sostengono nell'interesse del datore di lavoro e nell'esecuzione della prestazione (es: anticipi e/o rimborso spese di viaggio, vitto, alloggio), che potranno, quindi, continuare ad essere corrisposte in contanti.

Per quanto riguarda l'indennità di trasferta, in considerazione della natura "mista" della stessa (risarcitoria e retributiva solo quando superi un determinato importo e abbia determinate caratteristiche), si ritiene comunque necessario ricomprendere le relative somme nell'ambito degli obblighi di tracciabilità, diversamente da quello che avviene rispetto a somme versate esclusivamente a titolo di rimborso (chiaramente documentato) che hanno natura solo restitutoria.


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