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Data: 17/09/2018 11:30:00 - Autore: Marino Maglietta di Marino Maglietta - Nel 2006 è stata introdotta in Italia una legge che prevede la parità dei ruoli genitoriali quale diritto indisponibile dei figli a rapporti simmetrici con i due genitori nel riceverne cura, educazione e istruzione. Quanto al mantenimento, per ammissione della stessa dottrina, la forma diretta è quella di legge, mentre l'assegno può essere disposto solo in via residuale, quando indispensabile per consentire a ciascun genitore di fare la sua parte nei confronti dei figli anche quando le differenze di risorse sono forti. Questa "novità" venne pressoché unanimemente salutata come atto dovuto e di grande civiltà. Dovuto, perché questa legge è stata scritta in ossequio ai principi introdotti nel 1948 dalla Costituzione all'articolo 30, che qui si rammenta: " E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio." Difficile vedere in questa formulazione e nella sua filosofia traccia di collocatari, assegni o diritti di visita. Dunque pare a chi scrive del tutto naturale che nel 2006 non ci sia stata alcuna sollevazione, nessuna indignazione e che nessuno abbia considerato la legge 54 effetto di un complotto, di una cospirazione di oscure forze maschiliste. Forse anche perché sarebbe stato ridicola una tesi del genere contro una riforma a favore della quale l'Associazione Donne Separate (ADS, nata ad Agrigento nel 1996) era scesa per le strade raccogliendo – con i mezzi di comunicazione di allora – più di 10.000 firme. In modo del tutto analogo, coerentemente, quando nel 2011-2013 si è a lungo lavorato in Parlamento per rendere effettiva l'applicazione della legge del 2006, le voci discordi sono state del tutto marginali, usando toni e argomenti ben lontani da quelli che oggi hanno per oggetto le proposte del sen. Pillon che, anche se solo apparentemente, sembrano ripetere le proposte precedenti. Certamente non era facile inventare una guerra dei sessi quando il ddl 957 era sostenuto non solo dall'erede di ADS, LADDES Family FVG, ma anche dal Centro Italiano Femminile e dalla Federcasalinghe. Allora perché oggi non esiste confronto, ma scontro, e non tra pareri tecnicamente e genericamente diversi, ma tra eserciti ideologicamente schierati e con il coltello tra i denti? In sostanza – sembrerebbe – padri contro madri, femmine contro maschi. Tutto questo quando, come scritto a chiare lettere al momento in cui venne introdotto l'affidamento condiviso, la riforma separa i buoni dai cattivi genitori, le madri illuminate che invocano la partecipazione dei padri a pieno titolo alla cura e all'educazione dei figli a fianco dei padri che vogliono essere presenti e ne sono impediti dal sistema legale, contro i padri ben felici di potersi defilare dalla stessa parte di madri possessive e vendicative. Questo è il vero, legittimo, spartiacque. Perché, dunque, le velenose, rissose e distorte polemiche attuali? Un fondamento ci deve essere. E non è difficile trovarlo: è il modo in cui il ddl 735 è stato formulato e presentato, ossia aspetti sostanziali dei diritti dei figli e delle madri e la scarsa, se non nulla, attenzione dedicata all'associazionismo femminile e alle sue legittime richieste, per circondarsi di supporters esclusivamente al maschile. Tuttavia, curiosamente, se essere scettici e critici, anche fortemente, nei confronti del disegno di legge è sicuramente più che ragionevole, gli argomenti utilizzati dai suoi attuali oppositori non sembrano cogliere nel segno. Probabilmente perché ci si è attenuti ai proclami della sua presentazione - spesso fraintendendone il significato e le ricadute applicative - senza impegnarsi in una certamente più faticosa analisi dell'articolato. I redattori, infatti, non potevano essere più maldestri nel mettere accanto agli obiettivi di fondo corretti e sostenibili ripetutamente dichiarati nelle sedi ufficiali, affermazioni e rivendicazioni più che discutibili, contraddittorie e a senso unico. Appare quindi opportuno a chi scrive delineare una obiettiva analisi delle "nuove" norme, facendo seguire ad essa quella che potrebbe essere una via che con ben più elevata probabilità di successo condurrebbe alla corretta applicazione di una legge dello stato come la 54/2006, accompagnata dai necessari corollari che nel tempo sono apparsi necessari. Iniziando, dunque, con qualche nota esplicativa, la mediazione familiare non è certamente destinata a impedire alle coppie di separarsi, ma ad aiutare le coppie a farlo in modo civile e rispettoso. E' ovviamente ne devono esistere le premesse: ad es., non ha senso sostenere che la donna sarebbe costretta a subire in mediazione contatti pericolosi con ex violenti. La mediazione esclude la violenza; e l'affidamento condiviso pure. Comportamenti violenti sono disciplinati dall'art. 337-quater c.c., non dal 337-ter. Si confondono le prescrizioni di legge con gli errori giudiziari, sempre possibili, in ogni settore del diritto e con qualunque norma. E fa sorridere sostenere che comporterebbe un aggravio di spesa per l'utenza, se si paragona il costo di un percorso di tal genere a una CTU, per non dire a una lite. Allo stesso modo parlare di "mediazione obbligatoria" è pretesa (o protesta) del tutto inverosimile. Tutto ciò a cui si può obbligare è un primo passaggio informativo; poi ciascuno decide liberamente se andarsene o proseguire. Nessuna legge può forzare la mano delle parti perché sottoscrivano accordi. Non può. Però è anche vero che l'idea di conferire ope legisla patente di mediatore all'avvocato che tratti dieci cause all'anno è semplicemente improponibile. Ma questo nessuno dei numerosi commentatori togati lo ha rilevato. Per evidenti ragioni. Per quanto riguarda gli aspetti sostanziali, il peccato capitale del ddl 735 è che dilata a dismisura il potere discrezionale dei giudici, fallendo proprio in quello che da alcuni viene considerato il merito principale, presso i quali gli fa conseguire incondizionato plauso e sostegno: quella pretesa rigida pariteticità dei tempi di frequentazione nella quale altri vedono la ripicca di adulti orgogliosi a danno del diritto dei figli a gestirsi liberamente. Due credenze entrambe false. In realtà il giudice può stabilire tempi uguali, ma anche "equipollenti", ossia equivalenti secondo imprevedibili criteri qualitativi che sarà il giudice a stabilire; alla pariteticità si può derogare per accordo dei genitori, anche quando perfettamente possibile e se nessuno la chiede il giudice può limitare la presenza di uno dei genitori a 12 giorni al mese, ma anche questa quantificazione è derogabile in forza di parametri di valutazione non giuridici e del tutto opinabili, come la "trascuratezza", l'"indisponibilità", il "danno psico psico-fisico", ecc.. E si conservano concetti come la "residenza abituale", correntemente utilizzati come il domicilio del genitore collocatario, né si permette al figlio di prendere la parola se il giudice lo considera superfluo. Non diversamente, si sostiene di avere assicurato al figlio la partecipazione di entrambi i genitori alla sua quotidianità (l'obbligo di "cura" di cui al primo comma dell'art. 337-ter c.c.) grazie all'assunzione di capitoli di spesa in luogo della delega a provvedere che un genitore affida all'altro, limitandosi a far trasferire denaro da un conto corrente all'altro. Ma questo non è affatto sicuro. Far decidere al giudice quali spese sono ordinarie e quali straordinarie significa, in forza delle linee-guida del CNF (2017), fargli decidere cosa è compreso nell'assegno e cosa ne resta fuori. Quindi l'assegno può benissimo restare. Di segno opposto un'altra preoccupazione. Qualcuno dice che se ai bisogni dei figlisi provvede direttamente senza bisogno di assegni per i figliche di solito sono percepiti dalla madre collocataria, questafinisce personalmente sul lastrico, muore di fame. Come accusare le donne di distrarre abitualmente a proprio vantaggio risorse a loro non destinate. Irricevibile. Naturalmente questa estrema variabilità, rimessa al magistrato, potrebbe essere apprezzata dai sostenitori delle decisioni "caso per caso"; il vestito tagliato su misura. Ma è facilmente dimostrabile che l'argomento non è che una colossale mistificazione. I provvedimenti ricalcano cliché del tutto standardizzati, certificati dai prestampati distribuiti nelle cancellerie e/o presenti nel pc di chi confeziona il provvedimento, come è esperienza di chiunque frequenti i tribunali. Tutto deve avvenire seguendo un rigido cerimoniale: il genitore collocatario resterà nella casa familiare (nessuno si chiede se ai figli quel luogo è divenuto odioso) e riceverà un assegno (ogni corte ha la sua stretta "forchetta") e l'altro eserciterà il suo "diritto di visita" con irrisoria variabilità. Questo sarebbe il "caso per caso" tanto gradito al sistema legale. In definitiva, la proposta in esame è profondamente contraddittoria nell'articolato rispetto agli obiettivi che vengono dichiarati nei comunicati stampa e il principio di bigenitorialità risulterebbe ancora più fragile di oggi se venisse approvata. Il risultato sarebbe la proposizione a getto continuo di azioni legali dall'esito incerto, che renderebbero ancora più penosa la vita dei figli. E queste ricadute una legge che dovrebbe essere scritta per essi ha il dovere di prevederle ed evitarle. Invece, nulla è garantito. Ci si deve, dunque, rassegnare a perdere un'occasione di cambiamento così rara e invitante? No, le alternative esistono e sono rappresentate dal ddl 782, identico alla pdl 942, depositati ma non ancora pubblicati, e in gran parte coincidente con il ddl 768 già all'esame della Commissione Giustizia, che propongono un modello sensibilmente diverso, benché tutti mirati al rigoroso rispetto dei principi dell'affidamento condiviso. Ne dà una chiara idea anche una ridottissima sintesi. Dunque: - il modello non è rigido, ma flessibile. Se due genitori sono idonei avranno in sentenza pari diritti e doveri e la previsione di una pari frequentazione dei figli (senza deroghe), ma questo non servirà ad imporre rigidamente al figlio di trascorrere tempi uguali, ma gli permetterà di trattenersi liberamente dove a lui più utile (v. Linee-guida di Brindisi). Nessun problema se alla fine di un certo anno si constaterà che il figlio è stato 7 mesi presso la madre e 5 presso il padre: poteva essere il contrario; l'anno seguente forse lo sarà. Insomma, equilibrio dinamico, "statistico" - il genitore senza risorse che deve lasciare la casa familiare ha diritto ad essere aiutato dall'altro nella soluzione del problema abitativo - la ragazza madre ha diritto ad essere aiutata economicamente dal padre sia in gravidanza che nei primi mesi dopo il parto, anche se il figlio nasce morto - se un genitore è tenuto al mantenimento di due o piú figli il suo contributo deve essere stabilito in modo da non mettere nessuno di essi in condizioni piú favorevoli degli altri, in particolare se appartengono a famiglie diverse - non si censura solo l'alienazione genitoriale, ma ogni tipo di violenza domestica, specie se assistita - gli sconfinamenti del d.lgs 154/2013 vengono sistematicamente eliminati, evitando che sopravvivano modifiche legislative – oltre tutto pessime - introdotte di soppiatto, senza delega - il giudice non può non sentire il figlio se questi lo chiede (in qualsiasi forma, anche una mail, soluzione già adottata, ad es., presso il tribunale di Pistoia) - il potere discrezionale dei giudici viene drasticamente ridotto: ogni volta che si nomina l'opinabile "l'interesse del minore" si fa riferimento anche al suo dirittoalla bigenitorialità, che non può essere scavalcato. Non resta che augurarsi che su un tema "etico" come la tutela dei figli minorenni nel momento della crisi familiare si abbandonino i rigidi vincoli che qualche gruppo politico si è dato, nel comprensibile desiderio di avere regole che moralizzino il comportamento degli eletti, lasciando, viceversa, a ciascuno libertà di sensibilità e di coscienza.
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