Data: 29/09/2018 16:00:00 - Autore: Marco Sicolo
Avv. Marco Sicolo - Chi intende esercitare l'attività di affittacamere all'interno di un condominio deve spesso fare i conti con i malumori degli altri condomini, che non sempre vedono di buon occhio la presenza di estranei all'interno dell'edificio e il conseguente viavai che si viene a cerare con la presenza di turisti.

Tra le lamentele più frequenti legate all'esercizio di tali attività, vi sono quelle connesse alla presenza di rumori molesti e all'uso eccessivo dei servizi comuni, come l'ascensore o la luce nell'ambito di androni, scale e pianerottoli.

Ci si chiede, quindi, se tale malcontento dei condomini possa sfociare in un divieto, da parte dell'assemblea o dell'amministratore, di adibire le singole unità immobiliari ad attività ricettive, come bed & breakfast o affittacamere. La giurisprudenza più consolidata propende per il no: vediamo perché.

Il regolamento condominiale: contenuto e modalità di approvazione

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In linea generale, l'assemblea dei condomini non può imporre limiti alla proprietà privata, per cui una limitazione all'uso dei singoli appartamenti può avvenire solo per espressa previsione del regolamento condominiale.

Ma deve trattarsi, si badi bene, di regolamento approvato dall'unanimità dei condomini oppure di c.d. regolamento contrattuale, cioè quello predisposto dal costruttore e approvato in sede notarile, di volta in volta, dai singoli acquirenti.

Considerata in questi termini, ogni limitazione della proprietà privata viene decisa, in sostanza, dal proprietario stesso di ciascuna unità immobiliare, attraverso il voto espresso in sede di approvazione del regolamento o con il consenso contenuto nell'atto di acquisto dell'immobile.

Il contenuto della clausola

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Per risultare opponibile al condomino che abbia avviato l'attività di affittacamere, la clausola del regolamento condominiale deve avere un contenuto preciso e non generico.

Ciò vuol dire che essa deve essere volta a vietare specificamente lo svolgimento di tali attività ricettive, e non limitarsi, in maniera più generica, a regolare la destinazione d'uso dell'immobile. Peraltro, per giurisprudenza costante, anche l'attività di affittacamere soddisfa il requisito della destinazione ad uso abitativo: si tratta, infatti, di abitazione collettiva, come avviene per pensioni, ostelli o residence.

In definitiva, quindi, se manca una clausola che vieti espressamente e in modo non equivoco la possibilità di adibire il proprio appartamento ad attività di affittacamere, quest'ultima è da ritenersi senz'altro permessa. L'interpretazione del regolamento, infatti, dev'essere improntata ad un canone di restrittività.

Ovviamente, l'attività in oggetto dovrà essere svolta, in ogni caso, nel rispetto della normativa di settore e dei regolamenti degli enti locali di riferimento.

Natura della clausola e opponibilità: la trascrizione

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Anche riguardo ai casi in cui il regolamento condominiale contenga una clausola espressa che vieti l'esercizio di attività ricettive, è comunque necessario fare alcune precisazioni. In particolare, va esaminato il caso in cui un'attività di questo tipo venga posta in essere non dal proprietario originario dell'unità immobiliare, ma da un suo avente causa.

In questo caso, per esplicare la sua efficacia anche nei confronti del terzo acquirente dell'immobile, tale clausola deve risultare oggetto di apposita nota di trascrizione, distinta da quella relativa all'atto di acquisto. Una clausola di questo tipo, infatti, configura una servitù atipica, e ai fini della sua opponibilità ai terzi acquirenti non è sufficiente richiamare il regolamento nell'atto di acquisto.

In definitiva, in assenza di clausola di divieto espressa, l'attività di affittacamere non necessita di autorizzazione condominiale, e ai condomini resta solamente la possibilità di fornire prova specifica che tale attività sia fonte di danno per i loro interessi e diritti (turbative, molestie etc., riconducibili alla presenza e alle azioni di soggetti non residenti in condominio).


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