Data: 28/10/2018 19:30:00 - Autore: Roberto Cataldi
di Roberto Cataldi - Il filosofo François de La Rochefoucauld aveva scritto che "Per conoscere bene le cose, bisogna conoscerne i particolari: e siccome questi sono quasi infiniti, le nostre conoscenze sono sempre superficiali e imperfette".
Un principio che, traslato al complesso mondo delle leggi e delle sentenze, mette in luce la necessità per il legislatore e per ii magistrati di compiere ogni sforzo possibile nel tentativo di colmare le distanze tra i principi generali e le fattispecie singole.
Tenendo conto proprio della complessità della materia, una riforma dell'affido condiviso non può essere liquidata in modo frettoloso e confuso. Specialmente se consideriamo che essa non si limita a incidere su interessi meramente economici ma sulla vita persone: genitori e figli. Dovremmo partire dunque da una premessa: si sta mettendo mano a norme alla cui base ci sono "interessi umani" che costituiscono una realtà superiore ad ogni altra astratta teorizzazione.
La fretta dovrebbe dunque lasciare il posto alla dovuta riflessione che un tema di tal portata ci impone e occorre dare ampio spazio al dialogo e al confronto costruttivo.
Spesso le istanze che sono alla base un intervento del legislatore sono legate una sorta di "modello tipo". Ad esempio, nel diritto di famiglia, una o più coppie divorziate che nella loro esperienza hanno evidenziato l'inadeguatezza del sistema e lo hanno quindi messo in discussione.
Il pericolo di questo approccio metodologico è che si vada a costruire un nuovo impianto normativo solo sulla base di ciò che non ha funzionato, sulla singola eccezione e non sulla enorme varietà dei casi. Insomma si rischia di non tenere conto della molteplicità della casistica proprio in un ambito in cui le eccezioni sono pressoché la regola.
Che ci piaccia o no, sappiamo che il legislatore non può occuparsi troppo del "particolare" ma deve limitarsi a indicare i principi di carattere generale all'interno dei quali sarà poi compito del magistrato esercitare il suo potere discrezionale e rendere così una giustizia calibrata sul caso singolo.
E' vero che ancora oggi sono tanti, forse troppi, gli errori giudiziari. Ma questo è un problema diverso e che richiede altre soluzioni. Dovremmo invece concordare sul fatto che non ci sarà mai la possibilità di indicare normativamente una soluzione che possa "calzare" perfettamente a ogni singola fattispecie. Solo il magistrato avrà la possibilità di calarsi dentro la specificità di quel dramma umano che si sta consumando dinanzi a lui e in relazione al quale dovrà assumersi la responsabilità di una scelta che sia frutto della propria coscienza e della propria preparazione.
Ma veniamo all'attualità. A volere fortemente un disegno di legge di riforma dell'affido condiviso è l'associazione dei padri separati che, grazie alla firma del Senatore Simone Pillon, arriva in Senato per "riscrivere" la legge del 2006.
Il DDL è stato fortemente contestato perché ritenuto troppo sbilanciato in favore dei padri, incapace di comprendere la situazione reale delle donne in Italia, e "distratto" nel considerare il contesto culturale italiano e gli approdi giurisprudenziali che sono il frutto di anni di pronunce.
Il disegno di legge si snoda attraverso 5 punti essenziali:
  • L'introduzione della mediazione civile obbligatoria in presenza di figli minorenni;
  • L'adozione di tempi paritari per assicurare la permanenza del figlio con entrambi i genitori
  • Il mantenimento in forma diretta
  • Il contrasto dell'alienazione genitoriale
  • L'impossibilità di risiedere nella casa familiare per il genitore che non è proprietario o titolare di altro diritto

LA MEDIAZIONE CIVILE - tempi piu' lunghi e maggiori costi per separarsi

La nuova figura presente in questo disegno di legge è senza dubbio quella del mediatore. Una persona che estranea alle parti dovrebbe essere in grado di "aiutare le parti a " trovare delle soluzioni per chi ha da poco scelto la via della separazione.
Vista così sembrerebbe la figura ideale per preservare tutta la famiglia che si sta scomponendo in nome di una sorta di giustizia individuale che: per i genitori significherebbe tutelare il proprio diritto di essere genitore al 100% e per i figli poter contare su entrambi i genitori in egual misura come se nulla fosse cambiato.
Questo status viene identificato nel disegno di legge come la "bigenitorialità perfetta".
In un mondo ideale questa sarebbe senza dubbio la soluzione, se non fosse che purtroppo viviamo in un mondo reale e imperfetto.
Tanto per cominciare quando si parla di separazioni, prima ancora di arrivare ai sentimenti, ai traumi e al disagio del cambiamento per l'intero nucleo familiare è necessario parlare di costi: triste, venale ma sacrosanta verità.
In una "separazione tipo" in genere ci vogliono 2 avvocati, uno per ogni coniuge. E dato che parliamo di professionisti ovviamente c'è anche un compenso per il lavoro svolto.
Non serve consultare i dati istat per constatare che in Italia c'è un alto tasso di disoccupazione al punto che fin troppo spesso chi nasce povero muore anche povero.
Inserendo nel procedimento di separazione anche il mediatore (a pagamento) si dovranno senza dubbio affrontare costi maggiori per il lavoro che questi andrà a svolgere e le separazioni diventeranno molto più costose.
Per non parlare dell'allungamento dei tempi del procedimento. I provvedimenti immediati ed urgenti disposti dal presidente slitterebbero - infatti - per tempi troppo lunghi, procurando notevoli disagi alla parte debole del rapporto, che potrebbe anche rimanere senza i mezzi necessari per affrontare la separazione sia nei tribunali che nella vita propria.
Sia ben chiaro non ho nulla contro la mediazione in sé. E' l'obbligatorietà che costituisce piuttosto il nodo critico, visto che la mediazione, nel ddl, è condizione di procedibilità della domanda. Mi chiedo peraltro che bisogno c'è di rendere obbligatorio un istituto se questo è davvero in grado di funzionare bene e di aiutare davvero le coppie a risolvere i propri problemi. Dovrebbero essere le coppie stesse a indirizzarsi verso la scelta della mediazione se questa fosse davvero un'eccellenza e una valida alternativa al processo di separazione dinanzi al magistrato.
Alla luce dei fatti le possibili alternative sono tante. Così come sono tante le proposte messe in campo dalle diverse associazioni. Tra queste ne cito alcune:
  • offrire un primo incontro gratuito dal mediatore e lasciare ai coniugi la libertà di decidere liberamente se proseguire o meno dopo essere stati resi edotti anche dei costi del procedimento;
  • fare in modo che tale incontro possa avvenire nel tempo che intercorre tra il deposito del ricorso e l'udienza presidenziale;
  • prevedere che nelle "separazioni critiche" in cui ci siano stati denunciati anche episodi di violenza, la mediazione sia prevista solo in via eventuale e dopo i provvedimenti urgenti garantendo che il giudice possa valutare anche il contesto di pericolosità;
  • prevedere che vi siano ausili di specialisti che devono coadiuvare il magistrato nel comprendere le esigenze del minore (parliamo ad esempio di specialisti psicologi minorili o adolescenziali);
  • In caso di forte conflittualità prevedere anche la figura del legale del minore che cooperi con il magistrato e gli esperti e che sia nominato d'ufficio e in gratuito patrocinio;
  • prevedere in ogni caso la possibilità del patrocinio a spese dello Stato così come già previsto per altre materie in cui la mediazione è obbligatoria";
  • Fare in modo che la mediazione si svolga tra la prima udienza presidenziale (in cui il giudice emette provvedimenti urgenti) e la convocazione delle parti.
Insomma le possibili soluzioni alternative sono tante e non solo queste. Si tratta solo di trovarne una che sia per lo meno "decente" e che tenga conto anche di principi recentemente enunciati dalla Corte di Cassazione che nella sentenza n.13506 del 1 Luglio 2015 ha fatto notare come imporre un percorso psicoterapeutico o di mediazione familiare risulti essere lesivo del diritto alla libertà personale garantito dalla costituzione.

Tempi paritari per i figli

Sempre in un mondo ideale, garantire tempi paritari per i figli sarebbe l'unica soluzione per tutelarli. Dato che sono proprio loro, quegli esseri innocenti che subiscono, per forza di cose, le scelte dei genitori.
La realtà, però, parla una lingua diversa: giornata di 24 ore, scuola, attività sportiva, amici e senso di appartenenza, chi può dire di non averne sentito almeno una volta la necessità?
Il DDL in esame al Senato propone una "bigenitorialità perfetta" in un "mondo imperfetto" pretendendo una equa divisione di responsabilità (e questo si può capire) ma anche di tempi e di cura da parte dei due genitori separati nei confronti dei figli chiedendo, per gli stessi, anche un doppio domicilio: in pratica con il DDL sarebbe il bimbo a dover fare di continuo le valigie per consentire ai genitori di avere tempi paritari.
E loro, i figli? Chiediamo a loro come si sentirebbero a dover dare due indirizzi agli amichetti che vogliono andare a trovarli, chiediamo a loro come si sentirebbero senza un senso di appartenenza perché se ci si mette nei loro panni anche solo per un attimo è lì che c'è la perdita maggiore: si perde l'appartenenza, alla propria casa, alle abitudini, alle routine quotidiane che per i bambini/ragazzi sono tutto. Gli psicologi lo possono confermare.
L'alternativa? Si può garantire quell'equilibrio nei rapporti con i due genitori in tanti modi. Ma è indispensabile trovare una soluzione che metta innanzitutto al centro non tanto il diritto dei genitori ad avere "tempi paritetici" quanto il diritto dei figli ad avere un rapporto equilibrato con loro. E' è necessario sotto tale profilo evitare di esporre i minori a ulteriori traumi rispetto a quelli che inevitabilmente conseguono alla separazione.

Mantenimento diretto

Cosa vuol dire mantenimento diretto senza automatismi?
Anche in questo caso sarebbe la cosa più ovvia per ciascun genitore se, prima di tutto, si pensasse alle necessità materiali del proprio figlio ma, anche in questo caso, servirebbe una forte dose di buonsenso che, come ogni avvocato che si sia occupato di separazioni e divorzi può confermare, in caso di separazioni molte volte sparisce del tutto.
Che si possa adottare una forma di mantenimento diretto per alcune tipologie di spesa nulla quaestio, ma non possiamo negare che il mantenimento di un figlio è fatto anche di piccole cose. Non si spende solo per la palestra, la danza, la scuola di musica, si spende anche per comprare un pacchetto di caramelle, un gelato, un panino da Mack donalds…
E' vero, a volte, ci sono state delle distorsioni nell'utilizzo del mantenimento per i figli, ma il rimedio per queste eccezioni non può condizionare tutti gli altri casi in cui le cose funzionano in modo più o meno lineare.

Il contrasto all'alienazione genitoriale

Lo psichiatra R.A. Gardner la definisce: "Un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l'altro genitore (genitore alienato). Tuttavia, questa non è una semplice questione di "lavaggio del cervello" o "programmazione", poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. È proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In presenza di reali abusi o trascuratezza, la diagnosi di PAS non è applicabile".
In merito alla PAS di cose se ne sono dette tante. Ma il tema deve essere affrontato in ambito scientifico. Ora però il ddl Pillon introduce questo concetto, stabilendo attraverso gli articoli 17 e 18 che, qualora il figlio rifiuti il rapporto con uno dei genitori o un altro parente, il giudice può, pur in assenza di evidenti condotte dell'altro genitore, limitarne o sospenderne la responsabilità genitoriale, o disporre il collocamento provvisorio del minore in una casa-famiglia, in attesa che i servizi sociali o gli operatori della struttura indichino un piano per il pieno recupero della bigenitorialità.
Secondo il DDL, quindi, uno dei due genitori potrebbe essere "per legge" vittima del sistema stesso visto che non si fa alcun cenno della possibilità che il giudice possa verificare le reali motivazioni del rifiuto da parte del figlio verso il parente, costringendolo a un recupero del rapporto tramite il mediatore.
Anche in tal caso proviamo a calarci nei panni del bambino alle prese con operatori che non si sa neppure se hanno le competenze giuste per affrontare questioni così delicate.
E se il rifiuto fosse motivato da reali violenze o abusi? La presenza del mediatore, in questo caso, soprattutto, risulterebbe molto pericolosa perché pur di "recuperare il rapporto parentale" rischia di indurre i bambini vittime degli abusi al silenzio.

L'impossibilità di risiedere nella casa familiare per il genitore non proprietario

Quale sarebbe la ratio di un provvedimento che vuole negare la possibilità a un coniuge di restare nella casa coniugale con il proprio figlio?
E' vero ci sono casi in cui la casa appartiene a terzi (in genere i suoceri o i nonni) ma allora anche in tal caso vanno tenute distinte le diverse fattispecie ossia quella in cui la proprietà della casa è di terzi da quella in cui è di uno dei due genitori. In tale seconda evenienza l'assegnazione della casa familiare ha la funzione di tutelare in prevalenza gli interessi del minore e la sua ratio è quella di evitare appunto al figlio l'ulteriore trauma a cui verrebbe esposto nel caso di all'allontanamento dall'ambiente domestico.
Sotto il profilo economico, poi, i giudici possono riequilibrare tenendo conto del "valore" dell'assegnazione anche ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento.
Insomma un riforma nell'ambito del diritto di famiglia non si può improvvisare perché c'è la necessità di affrontare le tante sfaccettature e i tanti esempi concreti che possono mostrare talvolta sbilanciamenti ingiusti in favore dell'uno o dell'altro coniuge.
Qualsiasi intervento legislativo dovrebbe in ogni caso mettere al centro (come non sembra stia accadendo adesso) l'interesse primario dei minori anche quando si andranno a definire quelli che devono essere gli aspetti economici.
Evitiamo di ragionare come se le famiglie fossero solo quelle rappresentate dagli spot pubblicitari, le belle famiglie del mulino bianco per intenderci.
La realtà è qualcosa di ben diverso ed è per questo che la discrezionalità del giudice deve essere sempre salvaguardata affiché si possa adattare il principio generale al caso particolare. Il peggiore ostacolo per l'attuazione della giustizia sarebbe proprio quello di porre troppi vincoli alla discrezionalità precludendo la possibilità di rendere una pronuncia giusta che, non lo dimentichiamo, è sempre una giustizia del caso singolo.

Un'ultima considerazione: abbiamo parlato di "interessi umani", di temi delicatissimi e sui quali l'opinione pubblica sarà certamente divisa. Perché allora non lasciare libertà di coscienza anche in ambito parlamentare?
Sarebbe una straordinaria occasione, in questa nuova legislatura, per aprire un dibattito trasversale basato sull'onestà intellettuale di ciascun singolo parlamentare e non solo su un contratto di Governo. Si potrebbe aprire la strada a un dibattito costruttivo e non "vincolato", capace quindi di allargare gli orizzonti della discussione e di approdare così a una soluzione democraticamente deliberata che sia il frutto di un reale confronto di idee e di pensieri anche se diametralmente opposti. Del resto un vero dialogo dovrebbe indurci a non "parteggiare" ma, come ha scritto Paolo Flores d'Arcais, a "esporre se stessi alla forza e al rigore del ragionamento".

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