Data: 12/10/2018 12:03:00 - Autore: Redazione
di Redazione - Unioni civili, il cognome comune prescelto dalla coppia non vale per l'anagrafe. È quanto annunciato dalla Corte Costituzionale chiamata a valutare per la prima volta la legittimità della disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso per quanto attiene al "cognome comune" scelto dalle parti dell'unione civile.

La q.l.c.

La questione è arrivata alla Corte tramite il tribunale di Ravenna, relativamente a un procedimento promosso dall'Avvocatura per i diritti Lgbti-Rete Lenford. La vicenda riguardava una coppia di uomini che, uniti civilmente nel 2016, avevano scelto un cognome comune, prima annotato sui documenti e poi cancellato, dopo l'emanazione del decreto attuativo della legge Cirinnà.

Per il giudice remittente, la modifica della situazione anagrafica poteva configurare una violazione dei diritti al nome, all'identità e alla vita privata e familiare come tutelati dalla Costituzione e dalla Cedu.

La decisione della Corte

La Corte ha ritenuto che "la funzione del «cognome comune» − come cognome d'uso senza valenza anagrafica − non determini alcuna violazione dei diritti al nome, all'identità e alla dignità personale".

È pertanto legittima la disposizione dell'articolo 3 del D.lgs. n. 5 del 2017, là dove prevede che la scelta del «cognome comune» non modifica la scheda anagrafica individuale, nella quale rimane il cognome precedente alla costituzione dell'unione. Resta fermo che la scelta effettuata viene invece iscritta negli atti dello stato civile (ex art. 63, primo comma, lettera g-sexies, del DPR n. 396 del 2000).

Per i giudici della Consulta, ciò realizza "il coerente sviluppo dei principi posti dalla legge delega n. 76 del 2016, attraverso l'adeguamento delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile alle previsioni della legge sulle unioni civili, e in particolare a quella del suo comma 10. Da ciò consegue la legittimità dell'annullamento delle modifiche anagrafiche intervenute prima dell'adozione del D.lgs. n. 5 del 2017". La dichiarata transitorietà del DPCM n. 44 del 2016 e la brevità del suo orizzonte temporale portano ad escludere – in sostanza – "che le novità introdotte da tale fonte di rango secondario abbiano determinato l'emersione e il consolidamento di un nuovo tratto identificativo della persona".


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