Data: 26/10/2018 10:00:00 - Autore: Francesco Pandolfi
Avv. Francesco Pandolfi - In occasione di una separazione tra coniugi i nodi da sciogliere non sono pochi.
Un passaggio delicato è quello dell'assegno di mantenimento.
Ebbene, si può essere puniti per il reato previsto dall'art. 570 comma 2 codice penale nel caso in cui si fanno mancare alla moglie e al figlio minore i mezzi di sussistenza, posti a carico del marito in sede di separazione, che è la sede giudiziale dove è stabilito un assegno.
In un caso del genere, se l'obbligato devia dalle disposizioni impartite in separazione e, per esempio, decide in autonomia di autoridurre l'assegno, commette reato.
Si perchè, di base, l'autoriduzione di un assegno regolamentato in sede contenziosa civile non è ammissibile, in quanto la sede propria per l'eventuale modifica dell'assegno rimane sempre il tribunale, da adire con apposito ricorso.
Ultimamente si è occupata del tema la Sesta Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46014 dell'11.10.2018.

Indice:

Il reato ex art. 570 comma 2 c.p.

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Secondo le indicazioni fornite dalla Cassazione, il reato in questione si configura nel momento in cui chi è obbligato alla prestazione economica, invece di rivolgersi al giudice per chiedere motivatamente una riduzione dell'assegno, si attiva da solo e lo autoriduce.
La qual cosa evidentemente non regge, specie se la coniuge con prole versa in uno stato di reale bisogno.
Ad esempio, nel caso affrontato dalla Corte sopra richiamato la moglie, in cerca di un'occupazione, si era trovata nella spiacevole e difficoltosa situazione di riuscire a tenere il passo con un assegno di euro 900,00 -poi autoridotto dal marito ad euro 600,00- cercando di sostenere tutte le spese correlate al non modesto affitto di un'appartamento, non avendo avuto l'assegnazione della casa coniugale, con l'aggiunta ovviamente delle utenze di base.

La funzione della norma penale

Sulla questione la Cassazione è chiara.
Integra il reato ex art. 570 comma 2 c.p. la condotta del genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori e al coniuge, omettendo di versare l'assegno di mantenimento.
Da precisare che non c'è alcuna equiparazione tra fatto penalmente sanzionato ed inadempimento civilistico: si parla di due situazioni diverse.
Qui la norma si riferisce all'inottemperanza volontaria e protratta: in pratica il soggetto agente decide consapevolmente di sottrarsi agli obblighi imposti con la separazione.
D'altro canto, la funzione della norma è semplice: garantire che l'obbligato assista con continuità i figli e gli altri soggetti tutelati.

La corresponsione parziale dell'assegno

Il caso della corresponsione parziale dell'assegno viene sviscerato dalla Corte: qui ci limitiamo ad una sintesi della posizione assunta.
Il ragionamento sul tema porta inevitabilmente ad interrogarsi su che cosa accade, da un punto di vista giuridico, se l'assegno stabilito in sede civile viene corrisposto parzialmente.
Ora, in linea di massima si deve escludere a priori che ogni inadempimento civilistico, quindi dell'obbligo stabilito dal giudice civile, faccia di per sè scattare l'applicazione della sanzione penale.
Questo non può accadere.
Escluso ciò, rimane tutto l'insieme delle altre possibili situazioni che il giudice penale è chiamato a vagliare.

In pratica

In pratica le linee guida, ribadite dalla Cassazione, sono queste: ai fini della configurabilità del reato nell'ipotesi di corresponsione parziale dell'assegno stabilito in sede civile per il mantenimento, il giudice penale deve accertare se la condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che l'obbligato è tenuto a fornire ai beneficiari, in relazione alla persona del debitore.
In definitiva, c'è violazione degli obblighi di assistenza familiare se la condotta dell'imputato è stata tale da evitare sistematicamente l'obbligazione cui è tenuto, se di sua iniziativa autoriduce l'assegno stabilito dal giudice civile, se non spiega e non dimostra le ragioni che lo avrebbero spinto a comportarsi così.
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