Data: 26/10/2018 14:00:00 - Autore: Francesca Trotta

Avv. Francesca Trotta - L'articolo 28 della Carta Costituzionale è norma preposta ad affiancare alla responsabilità diretta della pubblica amministrazione quella di suoi dipendenti per danni cagionati a terzi oppure alla stessa pubblica amministrazione.

La responsabilità dei dipendenti della P.A.

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La norma prevede che: I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.

La ratio della disposizione è quella di garantire al danneggiato un più agevole conseguimento del risarcimento del danno.

Per lungo tempo dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sull'esatta estensione dell'articolato normativo, ovvero se l'articolo 28 Cost. interessasse solo i dipendenti pubblici in senso stretto, legati dunque alla p.a. da un c.d. rapporto di impiego oppure prevedesse l'estensione della responsabilità anche ai danni causati da soggetti estranei all'amministrazione danneggiata ma ad essa legata da c.d. rapporto di servizio.

Il rapporto di servizio

Quest'ultimo si configura ove una persona fisica (o giuridica) viene inserita a qualsiasi titolo nell'apparato organizzativo pubblico e investita della possibilità di svolgere un'attività puramente amministrativa. In virtù dell'estensione della concetto di responsabilità, anche in considerazione della sua progressione dall'atto al rapporto, si propende per la soluzione volta a far rientrare sotto la copertura normativa entrambe le fattispecie.

Nella configurazione della responsabilità amministrativa un ruolo centrale assume il pregiudizio subito alle finanze pubbliche della p.a., in tal senso la responsabilità del dipendente pubblico è nota come responsabilità per danno erariale.

Danno erariale: la definizione

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Pertanto è possibile definire il danno erariale come la conseguenza subita dall'amministrazione per effetto della condotta di un proprio dipendente in violazione degli obblighi di servizio o di impiego.

Attualmente il requisito dell'ingiustizia del danno è inteso in una duplice accezione sia materiale che dinamica.

L'ingiustizia del danno

In una accezione materiale il danno si sostanzia nel pregiudizio al pubblico patrimonio, che secondo la teoria di matrice tedesca c.d. differenz theorie, sia da intendersi come la differenza tra la consistenza patrimoniale prima e dopo l'evento dannoso. Nell'accezione dinamica invece, la nozione di danno non comprende il solo pregiudizio patrimoniale ma ogni lesione del pubblico interesse giuridicamente protetto . La sintesi tra le due accezioni di danno determina la creazione di un danno unico e quindi di un danno pubblico in quanto tale atto ad incidere sulle sostanze della p.a.

I requisiti del danno erariale

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Quanto ai requisiti del danno la giurisprudenza sembra essersi sempre mostrata a favore dell'attualità, dell'effettività e della certezza del danno. Il danno può definirsi "certo" quando il pregiudizio risulta incontestabile nella realtà materiale, si definisce "attuale" ove si concretizzi in un fatto volto a determinare un pregiudizio attuale e non futuro, ed infine può definirsi "effettivo" ogniqualvolta il pregiudizio sia derivato da un determinato comportamento lesivo .

Il danno subito dalla p.a. non sempre risulta essere frutto di un comportamento diretto del dipendente pubblico (danno diretto), potendo talvolta dipendere dalla condanna della p.a. in un' altra sede, sia essa civile o penale, a seguito di una condotta del dipendente pubblico. In tal caso la p.a. subisce un "danno indiretto" in quanto a sua volta risulta essere chiamata a risarcire il terzo danneggiato da un proprio dipendente.

Il danno erariale ha inoltre subito un' ulteriore estensione in base al disposto di cui all'articolo 1 della l. 20/1994 il quale ne prevede la risarcibilità anche nell'ipotesi in cui il danno sia cagionato da una amministrazione diversa dal quella di appartenenza, in tal caso ricorrerebbe l'ipotesi di danno obliquo.

La compensatio lucri cum damno

Un altro principio caratterizzante la responsabilità erariale è quello della compensatio lucri cum damno in virtù del quale nel giudizio di responsabilità fermo restando, come si vedrà, il potere di riduzione del danno conferito alla Corte dei Conti, deve tenersi conto dei vantaggi conseguiti dall'amministrazione in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità.In tal senso la legge n. 20 del 1994 individua i presupposti di operatività del vantaggio compensativo relazionandolo all'identità oggettiva del titolo - per cui sia il danno sia il vantaggio devono essere conseguenza del medesimo fatto - e alla qualificazione soggettiva dell'ente - per cui sia il vantaggio sia il danno devono riferirsi all'amministrazione di appartenenza, ad altra amministrazione o alla comunità amministrata e non ha differenti entità patrimoniali e finanziari. Si può così precisare che il danno erariale può essere compensato con un vantaggio discendente da un fattore causale diverso purché collegato alla condotta illecita causativa del danno dedotta nel giudizio di responsabilità. Secondo la giurisprudenza l'articolo 1 della legge 20 del 2 del 1994 consente di compensare il danno sofferto dall'apparato di un ente pubblico con il vantaggio conseguito dalla comunità amministrata da un ente diverso , sempre che il vantaggio e il danno si correlino al medesimo comportamento dedotto in giudizio. Da quanto finora affermato si evince che nell'ambito della responsabilità amministrativa e quindi nell'articolo 1 della legge sopra richiamata sembra essere codificata una vera e propria forma di compensatio lucri con damno in larga parte diversa da quella operante nella responsabilità di diritto comune, poiché caratterizzata da un ampliamento delle dimensioni concettuali sia dell'elemento dell'identità oggettiva del titolo dal quale derivano il danno e l'utilità, sia da l'identità del soggetto danneggiato.

Come precisato l'ordinamento contabile attribuisce al giudice il potere di ridurre il risarcimento del danno da responsabilità amministrativa. Per tale ragione accertata la responsabilità e determinato l'ammontare del danno il giudice può procedere ad una riduzione della condanna. Il potere riduttivo è previsto dall'articolo 83 del r. d. 18 novembre 1923 n. 2440 ai sensi del quale il giudice valutate le singole responsabilità può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno arrecato o del valore perduto.

Si tratta di un potere correlato alla funzione della responsabilità amministrativa e finalizzato a calibrare e combinare la giusta sanzione all'autore dell'illecito.

La responsabilità sembra in tal senso assumere carattere sanzionatorio. Il potere conferito al giudice se da una parte viene considerato ampio ,poiché idoneo a limitare il risarcimento del danno spettante all'amministrazione pregiudicata dall'illecito, dall'altra invece è sottoposto ad accurata verifica . In tal senso la giurisprudenza considera rilevanti la verifica di determinati fattori quali : la capacità economica dell'autore dell'illecito, i precedenti del dipendente, l'impegno profuso nel tempo nell'ambito del servizio reso dal dipendente ed infine richiede la verifica della situazione di obiettiva difficoltà organizzativa e operativa in cui versa il danneggiante.

È importante a precisare che fin quanto sinora esaminato non potrà vedersi esteso all'ipotesi in cui l'addebito riguardi una condotta dolosa dell'agente o un comportamento colposo particolarmente grave.

Le caratteristiche del danno erariale

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A seguito dell'esame delle caratteristiche del danno erariale in sé è importante precisare come talvolta la lesione possa derivare non solo da una diminuzione patrimoniale intesa in quanto tale ma anche da un danno legato ad una lesione di un interesse funzionale. Prima di esaminare le più note tipologie di danno erariale ,in termini di danno da disservizio e danno all'immagine, è opportuno richiamare ulteriori ipotesi in cui risulta lesa l'integrità patrimoniale della pubblica amministrazione.

L'articolo 97 della Costituzione tratta del principio del buon andamento dell'attività amministrativa e prescrive che tale fine venga perseguito sfruttando le risorse di cui la stessa dispone. In virtù del principio di efficacia ed efficienza dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sul se fosse o meno lecito "esternalizzare" l'attività dell'amministrazione o meglio rivolgersi a soggetti terzi al fine di investire gli stessi di determinati incarichi.

Attualmente si sostiene che l'esternalizzazione dell'attività amministrativa sia sicuramente ammissibile nella sola ipotesi di oggettiva impossibilità o idoneità assoluta della struttura a svolgere l'attività medesima. La giurisprudenza ha ammesso il ricorso alle esternalizzazioni solo in presenza di specifiche condizioni quali la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare, la carenza di strutture di personale idoneo, il carattere limitato nel tempo e l'oggetto circoscritto dell'incarico o della consulenza.

Di conseguenza la giurisprudenza ha ritenuto illecito e fonte ,dunque, di danno erariale il conferimento di incarichi per attività alle quali risulta possibile far fronte con personale interno all'ente o anche nei casi in cui il ricorso all'esternalizzazione risultasse essere troppo oneroso in rapporto alla disponibilità del bilancio. In questo caso la violazione dei presupposti e delle condizioni di legge per il conferimento degli incarichi rappresenta condotta illecita idonea configurare responsabilità amministrativa ,il cui danno è pari al costo sostenuto dall'amministrazione per un incarico illecitamente conferito. Tuttavia se l'agere amministrativo deve svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza è altrettanto vero che l'affidamento deve altresì rispettare i principi di parità di trattamento, non discriminazione, proporzionalità, pubblicità e di libera concorrenza. Questi principi impongono all'amministrazione contraente di procedere, il più delle volte, alla stipulazione del contratto attraverso procedure di evidenza pubblica governata da regole pubblicistiche volte proprio a individuare il miglior contraente.

Pertanto il mancato ricorso, ingiustificato, ad una procedura di evidenza pubblica potrebbe configurare una deminutio patrimonii a carico dell'ente pubblico, individuandosi così una lesione alla libertà di concorrenza poc'anzi prospettata. Talvolta gli estremi dell'illecito doloso, volto a determina il danno erariale, possono essere ravvisati anche nella condotta pregiudizievole di un dipendente nei confronti di un collega tutte le volte in cui tale condotta presenti i caratteri propri del mobbing.

In tal senso in varie pronunce il giudice contabile ha ravvisato in siffatte condotte l' intenzione diretta di violare i principi costituzionali dell'imparzialità e del buon andamento. In una nota sentenza della Corte dei conti (sez. giurisd. Veneto, 15 dicembre 2015, n. 214), si legge che l' atteggiamento persecutorio, proprio del mobbing, nei confronti del sottoposto venga inteso come " violazione di quegli obblighi di servizio propri della particolare posizione di responsabilità esponenziale ed apicale rivestita nell'ambito dell'apparato pubblico".

Tali tipologie di condotta si pongono altresì in aperto contrasto con l'obbligo di diligenza incombente, in generale, sugli amministratori e dipendenti pubblici .

I Giudici inoltre precisano, circoscrivendo i caratteri della responsabilità, che come sancito dall'articolo 1 della Legge n. 20/1994, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave.

Alle medesime conseguenze è giunta la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Toscana, con la sentenza n. 183, depositata il 18 luglio 2016 in cui si legge che :Il Dirigente che, nell'ambito della gestione del personale a lui demandata, pone in essere atti che integrano il fenomeno del demansionamento e del mobbing, risponde delle somme erogate dall'ente a seguito dell'accoglimento dell'istanza risarcitoria avanzata dal "demansionato".

Il danno erariale inteso come disservizio e danno all'immagine

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Le tipologie di danno finora esaminate sono il risultato di una lettura dettagliata dell'articolo 97 della Cost., tale lettura evidenzia i corollari dell'attività amministrativa e come il mancato perseguimento degli interessi pubblici - da parte dei propri dipendenti- possa ledere in concreto l'integrità patrimoniale della p.a. Tuttavia negli ultimi anni si sono registrati gravi danni a carico dell'amministrazione questi ultimi identificabili in due categorie di danno erariale.

Nel primo caso si esamina un danno in senso stretto, di natura prettamente patrimoniale dipeso dalla "mancata resa del servizio" noto come danno da disservizio, nel secondo caso invece il danno è volto a compromettere la "facciata" della pubblica amministrazione e dunque la sua immagine, c.d. danno all'immagine. Il danno da disservizio si configura nell'ipotesi in cui per effetto della violazione da parte del pubblico dipendente di principi di imparzialità e correttezza, volti a caratterizzarne l'operato , si registra il mancato raggiungimento delle utilità che sarebbero state perseguite ove il servizio fosse stato legalmente espletato.

In tal senso lo spreco qualitativo delle risorse pubbliche è tale da frustrare le esigenze di efficacia ed efficienza proprie dell'azione amministrativa.

Quanto invece al danno all'immagine quest'ultimo si sostanzia nella grave perdita di prestigio e nel grave detrimento dell'immagine della personalità pubblica volto ad incidere in via immediata sul rapporto di affectio societatis , ovvero sulla fiducia che lega la cittadinanza agli amministratori e in via mediata sulla capacità di realizzazione dei fini istituzionali, minando la base del buon funzionamento della pubblica amministrazione. In tal senso dottrina e giurisprudenza descrivono due tipologie di danno all'immagine.

Nella prima ipotesi si registra una lesione "esterna" alla p.a. laddove venga lesa l'immagine quale bene - valore identificativo dell'ente, nell'altro caso invece la lesione è " interna" intesa in termini di lesione all'immagine quale bene - valore coessenziale all'esercizio concreto dei poteri e delle funzioni pubbliche che l'ordinamento assegna all'ente.

La natura del danno all'immagine

Inizialmente vi erano dubbi circa l'esatto inquadramento del danno all'immagine degli enti pubblici. Secondo alcuni tale ipotesi di danno rientrava nell' articolo 2043 c.c. in termini di danno- evento di natura patrimoniale, secondo altri invece assumeva le caratteristiche di un danno diverso, più ragionevolmente riconducibile al disposto di cui all' articolo 2059 c.c. Attualmente alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale (successivo alle note sentenze gemelle n.8827 e 8828/2003) si ritiene che la violazione del diritto all'immagine degli enti, come prerogativa inviolabile della persona giuridica, arrechi delle conseguenze pregiudizievoli al decoro e al prestigio dell'amministrazione che meritano ristoro.Ciò che appare risarcibile non è l'offesa ex se inferta al diritto inviolabile, ma le ripercussioni negative che la stessa produce nella sfera esistenziale della p.a. e alla sua credibilità e operatività. L'orientamento originario della giurisprudenza è stato superato dalla teoria che muove da una nuova lettura dell'articolo 2059 c.c. nel cui ambito si ricomprendono tutte le ipotesi di pregiudizi non patrimoniali derivanti da lesioni inferte a diritti che assumono primario rilievo ordinamentale tra cui il diritto all'immagine. Il comportamento contrario agli obblighi di servizio cagiona oltre che un nocumento di tipo economico, per questo rientrante nell'articolo2043 c.c. , anche un pregiudizio di natura non patrimoniale spesso ancora più rilevante.

L'orientamento giurisprudenziale più recente, pertanto, inquadra il danno all'immagine dell'ente nell'ambito del danno non patrimoniale risarcibile mediante una somma di denaro a titolo di riparazione del vulnus subito come dispone la norma di cui all'articolo 2059 c.c..

Quanto alla liquidazione del danno la giurisprudenza è solita valutare dei parametri di riferimento tra cui: 1)la gravità del fatto; 2) la reiterazione della condotta e l'entità del pregiudizio subito (si pensi ad esempio alle tangenti eventualmente percepite) ; 3) un criterio soggettivo attinente alla posizione ricoperta dal funzionario responsabile con specifico riferimento all'importanza della sua funzione; 4) un criterio sociale relativo alla risonanza dell'opinione pubblica assunta dalla violazione delle regole di legalità. In tal caso ai sensi dell'articolo 1 della legge numero 190 del 2012 : nel giudizio di responsabilità l'entità del danno all'immagine si presume, salvo prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di un'altra utilità illecitamente percepita dal dipendente.

Il Lodo Bernardo

Su tale materia è intervenuta la novella di cui al d.l. 2009 n.78, convertito con la legge n.103/2009 noto come Lodo Bernardo. Tale disposizione prevede che :"le procure della Corte dei Conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001 numero 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui all'articolo 1 comma 2 della legge 14 gennaio n 20 del 1994 è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione e del presente decreto è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide del termine perentorio di 30 giorni dal deposito della richiesta.

Il legislatore della novella ha stabilito, per quanto interessa in questa sede, che un danno all'immagine di una struttura pubblica può sussistere ed essere perseguibile davanti al giudice contabile unicamente se derivante da reato. La promovibilità dell'azione risarcitoria per danno all'immagine davanti al giudice contabile richiede l'esistenza di una fattispecie di rilievo penale al quale sia riconducibile il pregiudizio erariale. Sulla base di tale previsione i casi in cui l'azione del pubblico ministero contabile viene considerata legittima devono ritenersi quelli il cui danno erariale sia connesso ad un delitto contro la pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato. La norma del 2009 ha sollevato numerose critiche specie in punto di legittimità costituzionale, tant'è che si è discusso sul: se costituisca legittimo esercizio della potestà legislativa la definizione delle condizioni e dei limiti dell'azione del pubblico ministero.

La Corte Costituzionale con sentenza n. 355 del 2010 ha escluso l'illegittimità della norma.

Tale decisione ha ammesso la risarcibilità del danno da lesione dell'immagine dell'amministrazione solo in presenza di un fatto che integri gli estremi di una categoria particolare di delitti.

In conclusione bisogna altresì precisare che un'ipotesi di danno all'immagine in cui si prescinde dal previo giudicato penale è quella introdotta dalla c.d. legge anticorruzione art. 1 comma 12 l.190 del 2012 in cui si prevede la responsabilità del dirigente " responsabile anticorruzione" per danno all'immagine in caso di commissione, all'interno dell'amministrazione ,di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato da parte di un altro soggetto.

AVV. TROTTA FRANCESCA

SPECIALIZZATA IN PROFESSIONI LEGALI presso l'Università degli Studi Federico II di Napoli

email trottaf@live.it


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