Data: 13/11/2018 14:00:00 - Autore: Emanuela Foligno

Avv. Emanuela Foligno - L'assegnazione della casa coniugale è regolamentata da una specifica disciplina applicabile sia per le ipotesi di crisi del vincolo matrimoniale, che della convivenza more uxorio in presenza di figli.

Assegnazione casa familiare: la disciplina

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Difatti l'art. 337 sex c.c. stabilisce che il godimento della casa familiare viene attribuito tenendo conto dell'interesse dei figli e, come noto, l'intervento della Corte Costituzionale ha esteso anche ai figli nati fuori dal matrimonio il diritto all'assegnazione della casa familiare.

Si è discusso, e si discute tutt'ora, in dottrina e giurisprudenza sulla funzione assistenziale o economica della casa familiare, da intendersi quest'ultima come l'assegnazione orientata a tutelare il coniuge economicamente più debole fornendogli la possibilità di chiedere l'assegnazione in luogo (sostitutivo-integrativo) dell'assegno di mantenimento.

Con la riforma del 2006, l'art. 155 quater c.c. è confluito nell'attuale 337 sex c.c. che "tiene conto dell'interesse dei figli", quindi, tale è il criterio decisionale primario, che esclude tutele al coniuge economicamente più debole.

Non pare chiaro però se tale "criterio assistenziale" dei figli abbia carattere esclusivo o preferenziale.

L'interrogativo se in presenza di figli minori, o maggiori non economicamente autosufficienti, il coniuge economicamente debole possa chiedere al Giudice di soddisfare il proprio diritto al mantenimento mediante l'assegnazione della casa familiare, è sempre attuale.

Assegnazione casa familiare: la giurisprudenza

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Sul punto sono intervenuti i Supremi Giudici (Cass. Civ., 12309/2004) i quali rigorosamente hanno posto quale criterio esclusivo di assegnazione della casa familiare la tutela dei figli.

Secondo gli Ermellini l'assegnazione della casa familiare deve essere finalizzata a evitare un traumatico allontanamento dei figli dall'ambiente familiare e sociale nel quale sono cresciuti.

E' quindi fermo e impregiudicato che l'assegnazione in assenza di figli non può essere disposta a favore del coniuge non proprietario anche se economicamente più debole.

La casa familiare, essendo un bene immobile, ha un proprio valore economico, di cui il Giudice terrà (o dovrebbe tenerne) conto nella regolamentazione dei rapporti economici tra i genitori ex coniugi o ex conviventi.

In altri termini, nella determinazione dell'importo del mantenimento - dovuto da un coniuge all'altro e/o ai figli - si considera anche il valore economico dell'assegnazione della casa familiare.

Nello specifico: se la casa familiare è di proprietà di entrambi i coniugi, o di uno di essi, il Giudice dovrà tenere conto di un valore corrispondente a quello del canone locativo dell'immobile (in quota piena o pari-quota, a seconda dei casi di proprietà esclusiva o comproprietà tra i coniugi e/o conviventi).

Se la casa familiare è in locazione, il coniuge assegnatario succede nel contratto di locazione e diviene obbligato in via esclusiva al pagamento del canone.

Anche di tale onere il Giudice deve tenere conto nella regolamentazione dei rapporti economici.

Casa familiare in comodato d'uso

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Un caso particolare si profila, invece, nel caso in cui la casa familiare sia in comodato d'uso.

Sul controverso punto si è pronunziata due volte la Cassazione a Sezioni Unite.

In caso di comodato la situazione è sensibilmente diversa perché l'immobile è dato gratuitamente dal comodante allo scopo di fornire una utilità a una determinata persona.

Nel caso di crisi della coppia, ove l'immobile adibito a casa familiare sia in comodato d'uso, l'assegnazione della casa familiare viene imposta al comodante attraverso la continuazione del rapporto contrattuale a seguito della crisi familiare, magari nei confronti del coniuge che lo stesso non aveva prescelto.

Sul piatto della bilancia si pongono quindi: 1) l'esigenza di conservare l'ambiente familiare a tutela della prole; 2) l'interesse del comodante a ottenere la restituzione del bene, soprattutto quando lo stesso non riveste la qualità di coniuge, ma di terzo.

Il primo intervento delle Sezioni Unite risale al 2004 (13603/2004) con il quale si è chiarito che la destinazione a casa familiare nel comodato costituisce una sorta di vincolo di destinazione dell'immobile alle esigenze della famiglia e che, quindi, il termine di durata è da considerarsi collegato all'interesse dei figli.

L'immobile potrà essere pertanto restituito quando cesserà la destinazione d'uso a casa familiare (figli maggiorenni autosufficienti), e non rilevano le crisi familiari o coniugali.

Tale impostazione è stata ribadita dieci anni dopo (SS.UU. 20448/2014).

La cessazione dell'assegnazione della casa coniugale

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Invece, la cessazione del diritto di assegnazione della casa familiare avviene nei casi di cessazione della permanenza abituale nell'immobile, convivenza more uxorio o nuovo matrimonio. Ovvero, ancora, raggiunta l'indipendenza economica dei figli maggiorenni o la morte dell'assegnatario.

Le ipotesi di cessazione del diritto di assegnazione della casa familiare nel caso di nuove nozze o convivenza more uxorio sono state fortemente criticate sia in dottrina che in giurisprudenza di talché è intervenuta la Corte Costituzionale (308/2008) che ha categoricamente escluso l'automaticità della revoca dell'assegnazione della casa familiare nei due casi sopra prospettati.

I giudici delle leggi hanno chiarito che in caso di nuovo matrimonio, o convivenza more uxorio, la revoca dell'assegnazione della casa familiare avviene solo quando tali eventi risultino concretamente nocivi o diseducativi per la prole e pregiudichino gli interessi degli stessi.

Leggi anche la guida La casa familiare


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