Data: 14/11/2018 19:20:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Nelle locazioni di immobili per uso non abitativo non trova applicazione la disciplina di cui all'art 55, L. n. 392/1978 (c.d. termine "di grazia" per il pagamento dei canoni scaduti) che consente di al conduttore di sanare la sua morosità nel pagamento dei canoni o degli oneri in sede giudiziale.

Pertanto, l'offerta o il pagamento del canone che avvengano dopo l'intimazione di sfratto non rendono inoperativa la clausola risolutiva espressa convenuta dalle parti.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell'ordinanza n. 28502/2018 (qui sotto allegata) resa all'esito del giudizio promosso dalla comproprietaria di un immobile che era stato locato a una società a uso negozio e laboratorio.

Il caso

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La conduttrice non aveva adempiuto la sua obbligazione di pagamento della rata anticipata del canone e, pertanto, le era stato intimato lo sfratto per morosità. Il Tribunale aveva dichiarato risolto il contratto di locazione e condannato la conduttrice a rilasciare l'immobile, e ciò nonostante la società avesse offerto "banco iudicis" la somma dovuta alla proprietaria.

La decisione veniva confermata in appello: la Corte territoriale considerava non vessatoria la clausola risolutiva espressa pattuita dalle parti nel contratto con riferimento all'inosservanza dei termini di pagamento dei canoni, pertanto, veniva ritenuta legittima l'intimazione di sfratto volta a far valere l'invocata clausola risolutiva.

Immobili uso non abitativo: è vessatoria la clausola risolutiva espressa?

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Una decisione confermata dalla Cassazione secondo cui non può considerarsi vessatoria la clausola risolutiva espressa inserita nel contratto di locazione di immobili urbani per uso non abitativo e riferita all'ipotesi di inosservanza del termine di pagamento dei canoni.

Questa, infatti, riproduce il criterio legale di predeterminazione della gravità dell'inadempimento di cui all'art. 5 della legge n. 92/1978 (cfr. Cass. 369/2000): quest'ultimo disposto, pur non essendo applicabile direttamente alle locazioni non abitative, è ritenuto utilizzabile come parametro per valutare la gravità dell'inadempimento (cfr. Cass. 1428/2017).
Inoltre, soggiungono gli Ermellini, in una controversia avente ad oggetto la locazione di immobile a uso non abitativo, non vi è incompatibilità, in linea di principio, tra scelta del giudizio sommario di sfratto per morosità e operatività della clausola risolutiva espressa.

Niente "termine di grazia" nelle locazione di immobili per uso non abitativo

Nelle locazioni di immobili a uso diverso dall'abitazione, rammenta ancora la Corte, non si applica la disciplina di cui all'art. 55 della legge 392/1978 relativa alla concessione del c.d. termine di grazia per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento (cfr. SS.UU. n. 272/1999)
Pertanto, se l'offerta o il pagamento del canone vengono effettuati dopo l'intimazione di sfratto, attesa l'insussistenza della persistente morosità (art. 663, terzo comma, c.p.c.) non è consentito, da una parte, l'emissione del provvedimento interinale di rilascio con riserva delle eccezioni (art. 665 c.p.c.).
Ma neppure comportano, nel giudizio susseguente a cognizione piena, l'inoperatività della clausola risolutiva espressa, in quanto, ai sensi dell'art. 1453, terzo comma, c.c., il conduttore non può più adempiere dalla data della domanda, ovvero quella già avanzata ex art. 657 c.p.c. con l'intimazione di sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del contratto (cfr. Cass. 13248/2010).

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