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Data: 25/11/2018 17:30:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - L'adesione dell'avvocato a una Convenzione che prevede compensi irrisori costituisce illecito disciplinare, in quanto lesivo del decoro e della dignità della categoria cui appartiene. Lo ha chiarito il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 246/2017 (qui sotto allegata) pubblicata alcuni giorni fa sul sito istituzionale. Il casoIl Consiglio si è pronunciato sul ricorso di un avvocato, sanzionato con l'avvertimento per aver tenuto una condotta contraria all'osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro e diretta all'acquisizione di rapporti di clientela, con modi non conformi alla correttezza e al decoro. Nel dettaglio, professionista aveva sottoscritto con il Comune una convenzione con la quale accettava, per ogni consulenza ante causa e per il patrocinio di cause innanzi al Giudice di pace, un compenso nella misura di 17,00 euro comprensivo di IVA e CPA, così mortificando la peculiare funzione della professione forense e violando i precetti deontologici. Nonostante le rimostranze del professionista, il CNF ritiene che il COA abbia motivato in modo logico ed esauriente la propria decisione, fondata su inequivoche risultanze documentali. Illecito aderire a Convenzioni pubbliche che violano l'equo compensoLa decisione viene integralmente condivisa dal CNF nella parte in cui si ritiene che la sottoscrizione della convenzione ad € 17,00 per ogni affare trattato costituisce "un comportamento gravemente pregiudizievole del decoro e della dignità professionale, mortifica la peculiare funzione della professione forense e costituisce un modo non corretto per l'acquisizione della clientela". Né può ritenersi, secondo il Collegio, che a seguito della prima normativa sulle liberalizzazioni (DL 223/2006) sia venuta meno l'inderogabilità dei minimi tariffari sia comunque consentito usare metodi di acquisizione della clientela che, ledendo il decoro e la dignità della professione hanno un sicuro disvalore deontologico. Del resto, nel caso in esame, lo stesso incolpato, avvedutosi che il proprio comportamento non era in linea con i precetti deontologici, ha cercato di rimediare rinunziando al compenso di €17,00 ad affare e invocando a sua discolpa la gratuità della prestazione. Ma, come correttamente rilevato dal COA nella propria decisione, la gratuità della prestazione, intervenuta comunque in epoca successiva alla sottoscrizione della convenzione, non elimina l'illiceità deontologica del comportamento e la violazione dei precetti contestati all'incolpato. per quanto concerne la sanzione applicata, quella dell'avvertimento appare del tutto congrua, e proporzionata alla fattispecie in esame, tenuto conto che la stessa non appare di rilevante gravità.
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