Data: 26/11/2018 21:00:00 - Autore: Emanuela Foligno

Avv. Emanuela Foligno - Interessante arresto della Suprema Corte (sentenza n. 17365/2018 sotto allegata) in un caso di demansionamento e atti vessatori nei confronti di un lavoratore a cui è stata riconosciuta causalmente collegata la patologia insorta con conseguente liquidazione del danno biologico permanente.

La vicenda

La Società datrice di lavoro impugna in Cassazione la sentenza resa dalla Corte d'Appello di Cagliari che l'aveva condannata al risarcimento in favore di un proprio dipendente del danno patrimoniale correlato al demansionamento e del danno non patrimoniale a titolo di danno biologico permanente dipendente dal demansionamento e dalle discriminazioni subite dal lavoratore.

La Società veniva anche condannata a reintegrare il lavoratore nelle mansioni e negli orari di lavoro originari.

Nei fatti il lavoratore subiva un immotivato e drastico mutamento dell'orario di lavoro che prevedeva 6 ore di pausa, ma che impediva al lavoratore l'impossibilità di recarsi a casa in quanto molto distante dal luogo di lavoro.

Oltre a ciò il lavoratore, assunto originariamente come manutentore elettrico, veniva adibito a mansioni semplicemente manuali ed escluso dalla turnazione delle manutenzioni.

La Corte territoriale sarda evidenziava sia nel mutamento dell'orario di lavoro, sia nel demansionamento, una condotta illegittima datoriale e, pur tenendo in considerazione il potere imprenditoriale dell'organizzazione del lavoro, stigmatizzava la carenza di giustificazioni da parte del datore di lavoro anche in considerazione del fatto che le modifiche degli orari e l'inserimento di una pausa giornaliera di 6 ore avessero riguardato un solo dipendente.

In particolare la Corte poneva in risalto che l'assegnazione al lavoratore di una pausa di 6 ore - con impossibilità per lo stesso di recarsi a casa - si palesava in una preclusione assoluta di ogni altra attività per il lavoratore.

Demansionamento e discriminazione nell'assegnazione degli orari di servizio causavano una patologia, che in corso di causa veniva dal C.T.U. ancorata causalmente al mutamento delle condizioni di lavoro.

La società datrice impugnava in Cassazione deducendo errata inversione dell'onere della prova a proprio carico, contraddittoria motivazione nel giudizio di discriminazione e vessazione del lavoratore, errata determinazione del demansionamento e del conseguenziale risarcimento del danno.

La decisione della Cassazione

I Supremi Giudici sulla dedotta errata inversione dell'onere della prova richiamano la recente pronunzia n. 1169 del gennaio 2018 secondo cui "quando un lavoratore invoca un demansionamento riconducibile a inesatto adempimento degli obblighi del datore è costui che ha l'onere di provare l'esatto adempimento di cui all'art. 2103 c.c.

Il datore di lavoro deve dimostrare la mancanza assoluta del demansionamento lamentato dal lavoratore, oppure deve dimostrare che tale demansionamento fosse giustificato da motivi aziendali o disciplinari, oppure a causa di una impossibilità della prestazione lavorativa a lui non imputabile.

Viene dunque ribadita la mancata dimostrazione da parte della società di compiti coerenti con il bagaglio tecnico del lavoratore che veniva destinato a incombenze lavorative totalmente generiche e prive di attinenza con quelle precedentemente svolte.

Per quanto concerne la quantificazione del danno gli Ermellini riconoscono che la Corte territoriale ha correttamente applicato i criteri giuridici e allo scopo richiama la pronuncia n. 330 del gennaio 2018 la quale ha statuito in tema di demansionamento "che il giudice di merito può desumere l'esistenza del danno anche determinandone l'entità in via equitativa basandosi sulla qualità e quantità dell'esperienza lavorativa pregressa del lavoratore e all'esito finale della dequalificazione".

I Giudici sardi hanno giustamente evidenziato e valutato che la sostanziale diversità dei nuovi compiti affidati al lavoratore sono totalmente inidonei a consentire il mantenimento del bagaglio di competenze tecniche acquisito dal lavoratore.

Il ricorso della Società datrice viene integralmente rigettato.



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