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Data: 27/11/2018 17:30:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - È corretta la revoca della quota integrativa della pensione di reversibilità dovuta per l'iscrizione all'università della figlia del pensionato, laddove la stessa abbia frequentato un istituto universitario estero i cui titoli non risultano riconosciuti nel nostro ordinamento. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 30267/2018 (qui sotto allegata). Il casoLa Corte di appello aveva confermato il rigetto della domanda con cui era stato impugnato il provvedimento dell'Inps di revoca della quota integrativa della pensione di reversibilità spettante alla madre in ragione dell'iscrizione della figlia minore di 26 anni, all'Università. La Corte territoriale, richiamando l'art. 13 del R.D. n 636/1939 in tema di pensione di reversibilità, aveva ritenuto che la norma consentisse il riconoscimento del beneficio solo in caso di frequenza di istituti statali o di enti pubblici territoriali. Nel caso di specie, invece, era pacifico che la ragazza aveva frequentato un istituto di diritto italiano gestito da una società consortile a responsabilità limitata, privo di riconoscimento legale o dotato di corso legale, il quale aveva stipulato una convenzione privatistica con un università inglese, con sede nel Regno Unito, in base al quale al quale era tale università a rilasciare il titolo di studio finale. Per la Corte, la convenzione privatistica esistente tra l'istituto e l'Università inglese non consentiva di pervenire a diverse conclusioni atteso che il riconoscimento di titolo di studio straniero non è automatico in base alla L. n. 148/2002, di ratifica della Convenzione di Lisbona del 1997, ma subordinato a specifiche procedure disciplinate dal DM n 214/2002 non attuate nella fattispecie. Pensione reversibilità: revoca quota integrativa se la figlia è iscritta a istituto non riconosciuto in ItaliaGli Ermellini rammentano che, in base al tenore letterale della normativa (art. 13 R.D. 636/1939), il diritto alla pensione di reversibilità spetta ove i figli a carico infraventiseienni frequentino un "corso universitario", che rilasci dunque, un titolo universitario. La scuola frequentata dalla ragazza, secondo la Cassazione, non può essere qualificata Università, non avendo ricevuto alcun riconoscimento legale o equiparazione in Italia, né essendo abilitata a rilasciare titoli di tal livello, come accertato dalla Corte d'appello. L'istituto neppure può identificarsi con la stessa Università inglese, quale sua sede secondaria. Nonostante quest'utima avesse rilasciato alla ragazza un titolo, questo avrebbe dovuto comunque essere riconosciuto in Italia, ipotesi non realizzatasi nella fattispecie in esame. Errata l'interpretazione fornita dalle ricorrenti circa la Convenzione di Lisbona del 1997 sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all'insegnamento superiore nella Regione europea. Questa, spiegano gli Ermellini, non prevede affatto un automatico riconoscimento dei titoli, ma all'art VI, dedicato al riconoscimento delle qualifiche di insegnamento superiore, al punto 5 stabilisce che "Trattandosi del riconoscimento delle qualifiche di insegnamento superiore rilasciate da un istituto di insegnamento superiore situato sul suo territorio, ciascuna Parte può subordinare tale riconoscimento ad alcune condizioni specifiche della legislazione nazionale o ad accordi specifici conclusi con la Parte di origine di detto istituto". Il ricorso va pertanto rigettato.
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