Data: 05/12/2018 14:00:00 - Autore: Antonio Gerardo

Avv. Antonio Gerardo e Avv. Paola Patrevita - Interessante pronuncia del Giudice del Lavoro del Tribunale di Benevento – Dott.ssa A. Mari - che, nella sentenza pubblicata in data 22.11.2018, ha affrontato la problematica di un licenziamento comunicato ben oltre la cessazione del periodo di comporto previsto dal CCNL di categoria.

La vicenda

[Torna su]

Nel caso sottoposto al vaglio del Giudicante, il ricorrente ha dedotto di essere stato licenziato ad oltre tre mesi dalla cessazione del periodo di comporto e di essere stato, in questo periodo, normalmente" utilizzato dalla datrice per rendere la prestazione lavorativa.

L'esame dell'art. 2110 c.c. e dell'art. 51 CCNL di categoria

[Torna su]

il giudice ha dapprima esaminato l'art. 2110 c.c. e l'art. 51 del CCNL del CCNL applicabile al caso di specie:

"Il CCNL Multiservizi applicato in azienda, prevede che ‘Il diritto alla conservazione del posto viene a cessare qualora il lavoratore anche con più periodi di infermità raggiunga in complesso 12 mesi di assenza nell'arco di 36 mesi consecutivi. Ai fini del trattamento di cui sopra si procede al cumulo dei periodi di assenza per malattia verificatisi nell'arco temporale degli ultimi 36 mesi consecutivi che precedono l'ultimo giorno di malattia considerato.La disposizione di cui al precedente comma vale anche se i 36 mesi consecutivi sono stati raggiunti attraverso più rapporti di lavoro consecutivi nel settore.….Superati i limiti di conservazione del posto, l'azienda su richiesta del lavoratore concederà un periodo di aspettativa non superiore a 4 mesi durante il quale il rapporto di lavoro rimane sospeso a tutti gli effetti senza decorrenza della retribuzione e di alcun istituto contrattuale. Detto periodo di aspettativa potrà essere richiesto una sola volta nell'arco dell'attività lavorativa con la stessa impresa. Decorsi i limiti di cui sopra, l'impresa ove proceda al licenziamento del lavoratore, corrisponderà il trattamento di fine rapporto di lavoro e l'indennità sostitutiva di preavviso e quant'altro eventualmente maturato'.

Le regole dettate dall'art. 2110 c.c. per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali che su quella degli articoli 1256, 1463 e 1464 c.c., e si sostanziano nell'impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (cosiddetto comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso; le stesse regole hanno quindi la funzione di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l'occupazione), riversando sull'imprenditore, in parte ed entro un determinato lasso di tempo, il rischio della malattia del dipendente. Ne deriva che il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso, e pertanto non è necessaria la prova né del giustificato motivo oggettivo, né dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, né della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (così Cass. Sez. L, Sentenza n. 1404 del 31/01/2012, Sez. L, Sentenza n. 1861 del 28/01/2010, Sez. L, Sentenza n. 13624 del 24/06/2005).

In primo luogo il ricorrente ha dedotto la illegittimità del licenziamento in quanto non adottato nella immediatezza della riammissione in servizio del ricorrente. Secondo la giurisprudenza della Cassazione, in tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia del lavoratore, fermo restando il potere datoriale di recedere non appena terminato il periodo suddetto (e quindi anche prima del rientro del prestatore), nondimeno il datore di lavoro ha altresì la facoltà di attendere tale rientro per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all'interno dell'assetto organizzativo, se del caso mutato, dell'azienda. Ne deriva che solo a decorrere dal rientro in servizio del lavoratore, l'eventuale prolungata inerzia datoriale nel recedere dal rapporto può essere oggettivamente sintomatica della volontà di rinuncia del potere di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente (Cass.nn. 18411 e 6697 del 2016, 24899 del 2011).

E' stato altresì più volte affermato che nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia l'interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con un ragionevole spatium deliberandi che va riconosciuto al datore di lavoro perché egli possa valutare nel complesso la convenienza ed utilità della prosecuzione del rapporto in relazione agli interessi aziendali (cfr. ex aliis, Cass. n. 7037 del 2011).

In sostanza, è necessario valutare il comportamento del datore di lavoro dal momento della ripresa del servizio per accertare se la prolungata inerzia sia sintomatica della volontà di rinuncia al potere di licenziamento e tale da ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente (Cass. n. 24899/2011 , Cass. n. 19400/2014)".

Il riparto dell'onere della prova

[Torna su]

Successivamente il giudice ha definito il riparto dell'onere probatorio.

"E' pur vero che il datore di lavoro è tenuto, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza che presidiano le modalità di adempimento del rapporto di lavoro (artt. 1175 e 1375 cod.civ.), ad intimare il licenziamento entro un tempo ragionevolmente circoscritto rispetto alla data di maturazione del periodo di comporto ed alla ripresa dell'attività lavorativa da parte del dipendente. Nel caso, quindi, sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo, il lavoratore – oltre ad allegare e dimostrare l'esistenza del fatto materiale, ossia il decorso del tempo – può dedurre la violazione di regole di condotta, provando che l'asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario alle regole generali di correttezza e buona fede, ed allora sorge per il datore di lavoro l'onere di provare (ai sensi dell'art. 1218 cod.civ.) che l'impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che ha colpito la controparte derivano da causa a lui non imputabile (cfr. Cass. n. 16392/2017)".

Le conclusioni

[Torna su]

All'esito dell'istruttoria è emerso che il ricorrente (nonostante l'azienda gli avesse già in ottobre comunicato la cessazione del periodo di comporto) dal novembre 2016 fino al gennaio 2017 ha lavorato quale addetto alle pulizie. E' altresì emerso che nel mese di gennaio 2017 ha frequentato, per conto dell'azienda, anche un corso di formazione. Alla luce di quanto sin qui osservato, non può revocarsi in dubbio che il datore di lavoro avesse già in ottobre dell'anno 2016 un quadro oltremodo preciso della sequenza degli episodi morbosi del lavoratore, nonostante ciò, ha continuato a ricevere, senza obiezione alcuna, la sua prestazione lavorativa.

Pertanto, conclude il giudice "in definitiva l'intervallo temporale trascorso tra il rientro nel posto di lavoro e la comunicazione del licenziamento, ha interrotto il nesso eziologico e cristallizzato l'affidamento del lavoratore nella rinuncia del datore di avvalersi della possibilità di recedere per superamento del periodo di comporto e, quindi, nella prosecuzione del rapporto".

Vai alla guida Il licenziamento per superamento del periodo di comporto


Tutte le notizie