Data: 21/01/2019 10:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - La "troppa cura" dedicata alla coltivazione della pianta di marijuana tenuta nella propria abitazione non consente di vedersi riconoscere la non punibilità per particolare tenuità del fatto. Ciò in quanto la coltivazione, essendosi concretizzata in comportamenti seriali e spintasi fino alla raccolta delle piante, denota una ripetitività delle azioni.
Tuttavia, l'incompatibilità tra il reato di coltivazione di piantine di marijuana e la causa di non punibilità di cui all'art. 132-bis c.p. non è assoluta: ben può operare qualora la coltivazione si sia esaurita nella germogliazione di un seme e non si sia concretata in ripetuti comportamenti protratti nel tempo.

La vicenda

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A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza n. 1766/2019 (qui sotto allegata) nel rigettare il ricorso di un uomo, giudicato responsabile del reato di coltivazione di una pianta di marijuana (nella forma di cui all'art. 73, co. 5, T.U. Stup.) e condannato alla pena ritenuta equa.

La Corte d'appello non aveva riconosciuto la particolare tenuità del fatto, come da richiesta dalla difesa dell'imputato, ritenendo connaturata al concetto di coltivazione l'abitualità delle condotte, elemento che avrebbe escluso l'applicazione dell'art. 131-bis del codice penale.

Un'affermazione contestata dal difensore, secondo cui il concetto di abitualità valevole ai sensi dell'art. 131-bis c.p. sarebbe tassativo e dunque avrebbero assunto rilevanza soltanto i casi di delinquenza abituale, professionale o per tendenza o l'ipotesi di reato della stessa indole di quelli già commessi.

Tenuità del fatto e coltivazione piante di marijuana

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Gli Ermellini, richiamando l'impianto normativo di cui all'art. 131-bis c.p., rammentano che la la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. La norma si applica per i soli reati nei quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena.

La giurisprudenza, ha già affermato (cfr. sent. n. 30238/2017) che tale causa di esclusione della punibilità non è incompatibile con il delitto di coltivazione di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti e psicotrope quando, sulla base di una valutazione in concreto dei quantitativi ricavabili, delle caratteristiche della coltivazione, della destinazione del prodotto, e più in generale sulla base dei principi soggettivi ed oggettivi ricavabili dall'art. 133 c.p., la condotta illecita sia sussumibile nel paradigma della particolare tenuità dell'offesa.

Quanto al comportamento abituale, si è ritenuto tale quello dell'autore dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza o che abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, è di particolare tenuità.

Inoltre, è stato ritenuto abituale anche il comportamento nei reati aventi ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate, e nei quali, sostanzialmente, l'abitualità rappresenta un tratto tipico: esempi paradigmatici sono il reato di maltrattamenti in famiglia o quello di atti persecutori, ovvero fattispecie che presentano quale tratto comune la serialità, sufficiente a configurare l'abitualità che esclude la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis del codice penale.

Coltivazione e abitualità

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A riguardo del reato di coltivazione, spiega la Cassazione, non constano particolari approfondimenti da parte della giurisprudenza di legittimità della struttura del reato: un indirizzo più risalente ha affermato che la consumazione del reato si ha già con la germogliazione del seme impiantato, e cioè con la sua riproduzione, in qualsiasi terreno o recipiente (Cass. n. 1576/1987)

Il concetto stesso di coltivazione, spiegano gli Ermellini, richiama la messa in esecuzione di pratiche agronomiche, su piccola (coltivazione domestica) o larga scala (coltivazione in senso tecnico), e quindi una serie di atti che si compenetrano in unità sino a quando non concretino una pratica, ovvero una sequenza di atti coordinati verso il conseguimento del risultato, costituito dalla germinazione del seme e dalla crescita della pianta sino alla maturazione dei "frutti".

Anche a voler convenire che il reato è consumato con la germogliazione, non v'è dubbio che esso può constare di ulteriori atti di cura dell'essenza vegetale, che ripetono la condotta tipica. In altri termini, il reato in parola può concretarsi in una pluralità di condotte tutte egualmente tipiche che si ripetono nel tempo.

Coltivazione marijuana non incompatibile con tenuità del fatto

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Nel caso in esame viene dunque ritenuta erronea l'interpretazione data dalla Corte di Appello, che ha posto un rapporto di incompatibilità tipologica ed ontologica tra reato di coltivazione e particolare tenuità del fatto: in realtà, spiega la Cassazione, è ben possibile che le caratteristiche della specifica condotta oggetto di giudizio permettano di qualificarla come di particolare tenuità.

Ciò si verifica nei casi in cui la coltivazione si esaurisce nella germogliazione di un seme e non si concreta in ripetuti comportamenti protratti nel tempo che pure danno luogo alla "coltivazione"; per potersi ipotizzare la particolare tenuità di cui all'art. 131-bis c.p., in sostanza, occorre che la coltivazione non si sia concretizzata in comportamenti seriali.

Nonostante l'errore di diritto nel quale è incorsa la Corte territoriale, nel caso di specie la conclusione sulla colpevolezza dell'imputato va tuttavia condivisa poiché è stato dimostrato che la condotta di coltivazione si è protratta sino alla raccolta delle piante e non vi è, quindi, alcun dubbio sulla pluralità degli atti di coltivazione posti in essere.

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