Data: 13/02/2019 11:00:00 - Autore: Gianfranco Apollonio

di Gianfranco Apollonio - Con l'ordinanza n. 3643 del 07.02.19 (sotto allegata) la Cassazione ribadisce che laddove il giudice civile non intenda attribuire alcuna efficacia probatoria alla c.d. sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione.

Il caso

Durante l'esecuzione di lavori di potatura, un lavoratore, posizionato all'interno di un cestello agganciato al braccio della gru collocata su di un autocarro, manovrata dal suo datore di lavoro, cadeva a terra da un'altezza di circa 6 metri, riportando gravi lesioni.

Secondo la prospettazione dell'infortunato, la causazione del sinistro era da attribuire ad una errata manovra del suddetto braccio; di qui, la richiesta di risarcimento danni non patrimoniali nei confronti del datore convenuto.

Quest'ultimo resisteva in giudizio contrapponendo una diversa ricostruzione dei fatti, sostenendo che il sinistro si era verificato per colpa esclusiva dell'infortunato, caduto da una scala nel vivaio della ditta.

Al rigetto della domanda seguiva l'appello del lavoratore il quale lamentava, in particolare, la mancata valutazione da parte del giudice tribunalizio della sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti del convenuto in ordine ai reati di cui agli artt. 184 e 389 d.P.R. n. 547/55, applicati ratione temporis (poiché in qualità di titolare dell'omonima azienda agricola aveva effettuato il sollevamento di persone con attrezzature di lavoro ed accessori non conformi a legge), e 590 c.p. (in quanto, mediante la violazione di cui alla predetta contravvenzione ed a causa della sua errata manovra, aveva determinato lesioni personali gravi, consistite nella paraplegia degli arti inferiori).

La Corte d'appello respingeva il gravame proposto ritenendo che l'asserita responsabilità del datore convenuto nella causazione dell'evento non poteva basarsi unicamente sulla sentenza di patteggiamento, non essendo ravvisabili presunzioni gravi precise e concordanti a conferma della dinamica assunta da parte appellante.

La decisione della Corte

Secondo i Giudici di legittimità la sentenza deve essere riformata essendo stata ivi negata ogni valenza probatoria al comportamento processuale osservato dal convenuto in sede penale con la richiesta di applicazione della pena, seguita, poi, dalla sentenza di c.d. patteggiamento ex artt. 444 e ss. c.p.p.

La statuizione in parola rappresenta, infatti, un'importante elemento probatorio per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscerne l'efficacia, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (così Cass. SS.UU. n, 17289/06).

La sentenza di patteggiamento, pur non potendosi tecnicamente configurare come un provvedimento di condanna, anche se è a questo equiparabile a determinati fini, presuppone pur sempre una ammissione di colpevolezza che esonera la controparte dall'onere della prova (come, altresì, affermato da Cass. n. 9358/05).

D'altro canto – prosegue la Corte – in base al principio di unitarietà dell'ordinamento giuridico, cui almeno in astratto devono tendere le previsioni di diritto positivo, per lo stesso fatto possono ammettersi differenti e contrastanti decisioni giudiziali soltanto in presenza di valide giustificazioni, debitamente argomentate, pur nell'autonomia dei relativi giudizi, assicurata e disciplinata da norme di rango costituzionale e di natura processuale.

La sentenza di patteggiamento, del resto, presuppone non solo il consenso delle parti (imputato e P.M.) ma anche l'assenza di elementi che possano portare ad una pronuncia di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p., oltre che la corretta qualificazione giuridica del fatto.

Ciò detto, la Corte arriva poi a precisare che in tema di prova per presunzioni il giudice è tenuto a seguire un procedimento che si articola in due momenti valutativi: quello iniziale, caratterizzato da una valutazione analitica degli elementi indiziari al fine di dare esclusiva rilevanza a quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; e quello successivo dove si impone una valutazione complessiva di tutti gli elementi come sopra individuati al fine di accertare se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuno di essi.

Alla luce di quanto sopra, quindi, la sentenza va parimenti censurata nella parte in cui il giudice di merito si è limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, seppur singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento.

Di qui l'accoglimento del ricorso ed il conseguente rinvio alla Corte di appello.


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