Data: 14/09/2021 06:00:00 - Autore: Lucia Izzo

Reato di incendio doloso: com'è punito

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L'art. 423 del codice penale (Incendio) punisce chiunque cagiona un incendio con la reclusione da 3 a 7 anni. Il secondo comma stabilisce che la disposizione si applica anche nel caso di incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per l'incolumità pubblica.

Tale fattispecie rientra nei delitti contro l'incolumità pubblica, disciplinati dal Libro II, Titolo VI del Codice Penale: sono quei reati di pericolo che si contraddistinguono per la diffusività del danno, ovvero per l'idoneità della condotta a minacciare un numero indeterminato di persone, non individuabili a priori.

L'incendio rappresenta un reato a forma libera, per il quale è ipotizzabile anche la forma omissiva qualora sul soggetto gravi un obbligo giuridico di impedire l'evento.

Elemento oggettivo del reato di incendio

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Ai fini dell'integrazione del delitto, la giurisprudenza, nell'individuazione dell'elemento oggettivo, ha ritenuto necessario distinguere tra il concetto di fuoco e quello d'incendio.

Per la Cassazione, si ha incendio in occasione di un rogo che divampa in vaste proporzioni, diffusivo e non facilmente estinguibile, in maniera irrefrenabile, con fiamme divoratrici che si propagano con potenza distruttrice, ovvero con entità e proporzioni tali da porre in pericolo la incolumità di un numero indeterminato di persone.

Pertanto, non ogni fuoco è di per sè qualificabile come incendio, tale essendo quello in cui le fiamme, non controllate e non facilmente controllabili, assumano i connotati predetti (cfr., ex multis, Cass., n. 2805/1988).
Il relativo pericolo, invece, consiste nella probabilità che le fiamme appiccate abbiano uno sviluppo distruttivo nei termini sopra esposti, da desumersi dalla situazione di fatto verificatasi quanto alle dimensioni e caratteristiche del fuoco (cfr. Cass., n. 14263/2017).

Incendio di cosa propria


La norma prevede due condotte alternative: in particolare, l'incendio di cosa propria richiede anche l'esposizione a pericolo della pubblica incolumità. Si ritiene, dunque, che il secondo comma configuri un reato di pericolo concreto, mentre quella di cui al primo comma un reato di pericolo astratto (o presunto).
La "cosa propria" è intesa dalla giurisprudenza come quella su cui insiste il diritto di proprietà dell'agente, non essendo sufficiente il solo possesso, un diritto reale limitato o la mera detenzione. Tuttavia, l'incendio scaturito dal fuoco appiccato alla cosa propria è punibile solo se ne deriva un pericolo per la pubblica incolumità.
La necessità della concretezza del pericolo, che richiederà consequenzialmente una più pregnante attività valutativa del giudice, deriva dalla volontà del legislatore di conciliare la tutela della pubblica incolumità con il diritto del proprietario di disporre della cosa propria.

Elemento soggettivo del reato di incendio

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L'elemento soggettivo che caratterizza il reato in esame è il dolo, ovvero la coscienza e volontà di porre in essere la fattispecie criminosa. In entrambi i casi previsti dall'art. 423 si tratta, in particolare, di dolo generico, il cui fine è la sola volontà di realizzare tutti gli elementi del fatto tipico, senza che sia richiesto un fine particolare e ulteriore perché il fatto rappresenti reato.
Nel caso di incendio di cosa propria, l'autore dovrà altresì avere la consapevolezza di porre in pericolo la pubblica incolumità. Si ritiene, inoltre, che la fattispecie criminosa sia compatibile il dolo eventuale ovvero quella particolare situazione in cui l'agente si sia rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell'evento e si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di cagionarlo come sviluppo collaterale o accidentale.

Danneggiamento seguito da incendio


La giurisprudenza esclude generalmente il concorso tra incendio e danneggiamento seguito da incendio, fattispecie prevista dall'art. 424 del codice penale: tale norma punisce chiunque, al solo scopo di danneggiare la cosa altrui, appicca il fuoco a una cosa propria o altrui, se dal fatto sorge il pericolo di un incendio.
Se poi alla condotta segue l'incendio, si applicano le disposizioni dell'articolo 423, ma la pena è ridotta da un terzo alla metà. Se, invece, il fuoco viene appiccato a boschi, selve e foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento, segue incendio, si applicano le pene previste dall'articolo 423 bis del codice penale.
L'elemento discriminante tra le fattispecie previste dagli artt. 423 e 424 c.p., viene rinvenuto dalla giurisprudenza nell'elemento psicologico del reato. Nell'incendio il dolo assume la forma del dolo generico, ovvero la consapevole volontà di cagionare un incendio, inteso come combustione di non lieve proporzioni che tende a espandersi e non può essere facilmente contenuta e spenta.
Nell'ipotesi di cui all'art. 424 c.p., invece, l'elemento soggettivo è quello del dolo specifico, consistente nel voluto impiego del fuoco solo per danneggiare senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche suddette o il pericolo di siffatto evento.
Pertanto, in caso di incendio commesso al fine di danneggiare, quando a detta ulteriore e specifica attività si associa la coscienza e volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni previste dall'art. 423, sarà applicabile quest'ultima norma e non l'art 424 perché, nel quale l'incendio è contemplato come evento non necessariamente coperto dall'intenzione del soggetto agente (Cass., sent. 16612/2013).

Tentativo di incendio


Il delitto di incendio si consuma nel momento in cui il fuoco provocato dall'agente assume entità e proporzioni tali da porre in pericolo la pubblica incolumità. La giurisprudenza ritiene ammissibile il tentativo di incendio, ma solo di cosa altrui, che consiste nel compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco alla provocazione di un evento incendiario penalmente rilevanti.
In tal senso si ritiene punibile, a titolo di tentativo nel delitto, l'eventuale ricorrenza di un fuoco che viene domato sul nascere, o quando non ha ancora assunto caratteristiche anzidette (vaste proporzioni, tendenza a diffondersi, difficile a spegnersi), se questo avrebbe potuto progredire o diffondersi al punto da porre in pericolo un numero indeterminato di persone
La Corte, viceversa, ha ritenuto non integrabile il tentativo di incendio di cosa propria, tenuto conto della circostanza che, diversamente opinando, si anticiperebbe irrazionalmente la soglia di punibilità, reprimendo il pericolo di un pericolo (Cass., n. 6392/1997).

Circostanze aggravanti


Inoltre, in relazione al delitto di incendio (e di danneggiamento seguito da incendio), il codice penale, all'art. 425, dispone un aumento di pena qualora il delitto incida su specifici beni.

Nel dettaglio, la pena è aumentata se il fatto è commesso:
1) su edifici pubblici o destinati a uso pubblico, su monumenti, cimiteri e loro dipendenze;
2) su edifici abitati o destinati a uso di abitazione, su impianti industriali o cantieri, o su miniere, cave, sorgenti, o su acquedotti o altri manufatti destinati a raccogliere e condurre le acque;
3) su navi o altri edifici natanti, o su aeromobili;
4) su scali ferroviari o marittimi o aeroscali, magazzini generali o altri depositi di merci o derrate, o su ammassi o depositi di materie esplodenti, infiammabili o combustibili.
Si tratta di circostanze aggravanti oggettive, la cui elencazione è tassativa, che possono essere valutate a carico dell'agente solo se dallo stesso conosciute o ignorate per colpa.

Incendio boschivo


Una ipotesi particolare di incendio, prima disciplinata come circostanza aggravante, è quella dell'incendio boschivo che rappresenta attualmente un'ipotesi autonoma di reato punita dall'art. 423-bis del codice penale. In tal modo il legislatore ha inteso fronteggiare in maniera più stringente le ipotesi di danni al patrimonio boschivo provocate dai piromani.
La norma punisce con la reclusione da quattro a dieci anni chiunque cagiona un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. Le pene sono aumentate se dall'incendio deriva pericolo per edifici o danno su aree protette e/o e dall'incendio deriva un danno grave, esteso e persistente all'ambiente. Si tratta di una ipotesi speciale del reato di incendio ex art. 423, dal quale si differenzia per l'oggetto materiale della condotta.
La norma ha subito alcune modifiche ad opera del Decreto Legge n. 120/2021 che ha, in particolare, inciso sulle sanzioni amministrative e penali per il reato di incendio boschivo doloso. Prevista un'aggravante ad hoc qualora il delitto venga commesso con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo svolgimento di servizi nell'ambito della prevenzione e della lotta attiva contro gli incendi boschivi. Pene attenuate, invece, per chi si adopera per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori o provvede alla messa in sicurezza e, ove possibile, al ripristino dei luoghi, nonché nei confronti di chi collabora con l'autorità di polizia o giudiziaria.
Il Decreto Legge ha poi aggiunto gli artt. 423-ter e 423-quater al codice penale riguardanti, rispettivamente, le pene accessorie in caso di commissione di incendio boschivo doloso (tra cui l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego per i dipendenti di amministrazione o enti pubblici) e la confisca in caso di condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti sempre per incendio boschivo doloso.

Legge quadro incendi boschivi

La materia è disciplinata anche dalla Legge quadro in materia di incendi boschivi n. 353/2000: l'art. 2 stabilisce che "per incendio boschivo si intende un fuoco con suscettività a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree".
Il D.L. n. 120/2021 ha inoltre soggiunto la definizione di "incendio di interfaccia urbano-rurale" che identifica quella tipologia di incendi boschivi che interessano zone o aree nelle quali sussiste una interconnessione tra strutture antropiche e aree naturali, laddove il sistema urbano e quello rurale si incontrano e interagiscono, potendo venire rapidamente in contatto, con la possibile propagazione di un incendio originato da vegetazione combustibile.

Differenze tra incendio doloso e colposo

Tanto premesso, appare evidente come l'incendio di cui all'art. 423 c.p. sia punito a solo titolo di dolo, elemento soggettivo che indica l'intenzionalità. L'evento dannoso o pericoloso, in sostanza, dovrà essere dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. Nell'incendio di cosa propria, in particolare, si richiede anche che l'autore sia consapevole di arrecare pericolo alla pubblica incolumità.
Anche l'incendio boschivo di cui all'art. 423-bis c.p. può essere commesso a titolo doloso, ovvero con la consapevolezza di provocare con la propria azione il propagarsi delle fiamme su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui. Tuttavia, la medesima fattispecie è punibile anche se sussiste la colpa dell'agente, come espressamente afferma il secondo comma dell'art. 423-bis che, qualora l'incendio (di boschi, selve, ecc.) sia cagionato per colpa, prevede una pena diversa.
Al di fuori di tale ipotesi, l'art. 449 c.p. stabilisce in via generale la punibilità di colui che cagiona per colpa un incendio.
L'incendio è colposo, dunque, quando la realizzazione del fatto tipico non è voluta dall'agente, ma si realizzi comunque a causa della sua negligenza, imprudenza, imperizia (da valutari in relazione alla qualifica e all'attività concretamente svolta dall'agente) oppure per inosservanza di leggi, regolamenti od ordini.
L'incendio doloso, inoltre, è punito in maniera più grave (reclusione da tre a sette anni e da quattro a dieci anni in caso di incendio boschivo) rispetto a quello colposo (reclusione da 1 a 5 anni, anche in caso di incendio boschivo).
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