Data: 06/03/2019 15:00:00 - Autore: Angelo Casella

di Angelo Casella - Verità elementari: imporre l'austerità in momenti di recessione, accresce il regresso e comporta una immediata conseguenza: la riduzione delle spese per il c.d. welfare (scuola, sanità, previdenza, assistenza, ecc.), con conseguenti tensioni, disagi sociali e riduzione del reddito medio.

Del tutto corretta, quindi, la nota manovra economica del governo per il bilancio 2019, con la previsione della erogazione di un reddito di cittadinanza ad ampie fasce della popolazione, in funzione di uno stimolo, oggi quanto mai necessario, all'economia nazionale.

Sono noti, invece, i contrasti insorti in proposito con la Commissione europea, conclusi con un ridimensionamento importante della spesa in questione, che ne ha in buona parte sterilizzato gli effetti positivi.

Nessuna obiezione, invece, è stata avanzata dalla stessa Commissione per gli esborsi destinati ai salvataggi bancari, (60 miliardi dal 2011 al 2018; 31 miliardi solo negli ultimi tre anni). A livello europeo, in soli tre anni, sono stati regalati alle banche europee in difficoltà prestiti in titoli pubblici per l'incredibile cifra di 3 trilioni di dollari. Denaro dei contribuenti sottratto allo sviluppo e ad investimenti produttivi quanto mai necessari, che avrebbe potuto far ripartire speditamente l'intera economia dell'area.

Il nostro Paese – in tal modo - è stato consapevolmente danneggiato. Soprattutto, gli è stato inibito il diritto di provvedere a salvaguardare i propri interessi nazionali.

Purtuttavia, questo è proprio ciò che la burocrazia europea pretende di imporre, dettando direttive contrarie all'interesse del nostroPaese, in base ai "Trattati" che hanno dato vita a questa anomala struttura chiamata "Europa unita".

Perfino dagli Usa (non certo patria dell'ortodossia sociale), provengono osservazioni pesantemente critiche: "Lo spietato programma economico a cui è stata sottoposta l'Europa, ha minato gravemente la democrazia. Ed è stato particolarmente devastante per i paesi più deboli. Le politiche rigoriste nei periodi di recessione sono economicamente distruttive e non hanno alcun senso dal punto di vista economico. Ne hanno invece nella prospettiva di una guerra di classe, perchè arricchiscono le grandi banche e sfasciano lo stato sociale. Credo anzi che questo sia il vero fine: smantellare il welfare state, la maggiore conquista dell'Europa dopo la seconda Guerra mondiale" (Chomsky, Venti di protesta, Ponte alle Grazie). Che effettivamente sia presente un deliberato intendimento di ridimensionare tutta la spesa sociale, è stato anche provato scientificamente (v. M. Weisbrot, Failed: What the Global Experts Got Wrong, Oxford Press, 2015). A detta di Arlacchi (I padroni della finanza mondiale, Chiarelettere), l'Ue è diventata uno "strumento dei poteri finanziari euroamericani, che hanno compromesso le possibilità di crescita dell'industria, dell'occupazione e del benessere dei suoi Stati membri".


La nascita dei Trattati

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Vediamo di chiarirne gli aspetti essenziali.

Questi pseudo "Trattati", che hanno realizzato una inedita concentrazione e dominio del potere economico adottando le pseudo-teorie liberiste, sono stati sottoscritti dal governo allora in carica, accettando un testo già scritto, compilato da un gruppetto di amanuensi incaricato da una ristretta élite politica franco-tedesca in diretto contatto con i vertici della finanza mondiale. Non sono stati quindi "trattati", cioè oggetto di appositi negoziati, bensì solo accettati acriticamente.

Nessun mandato popolare, nessun coinvolgimento dei cittadini europei, privati, ex abrupto, del loro diritto all'autodeterminazione. Nessun cittadino, in nessun Paese europeo, ha dato incarico al governo di regalare – in violazione della Costituzionela propria sovranità e indipendenza, sottoscrivendo "Trattati" il cui contenuto era, al tempo, del tutto ignoto e che nessuno si era preoccupato (ovviamente) di illustrare e rendere chiaro e intelligibile.

Sono stati solo diffusi degli slogan, ad arte mistificatori e vuoti, che prospettavano la necessità di "entrare in Europa" (?) come di una opportunità unica per un futuro radioso.

E si è visto quale. Dopo l'entrata in vigore dei "Trattati", il Paese (e complessivamente tutta l'area europea) è entrato in una pesante stagnazione, con un abbassamento sensibile del livello di benessere medio, un aumento della disoccupazione ed una drammatica assenza di prospettive di lavoro.

Privato della possibilità di gestire, in funzione anticiclica, della politica monetaria e fiscale, il Paese non è riuscito a risollevarsi e il reddito medio è sceso ai livelli di dieci anni fa. L'ortodossia economica liberista, imposta con i "Trattati", intende – tra l'altro – sostituire l'assistenzialismo alle fasce povere della popolazione con l'assistenzialismo di Stato alle banche.

Però, a demolire i pilastri fondamentali della pseudo-teoria economica liberista, è bastato un semplice laureando dell'Università del Massachussetts (Thomas Herndon) il quale ne ha dimostrato i banali e perfino imbarazzanti errori, ridicolizzando il testo sacro dei vati del liberismo (Reinhart e Rogoff), per i quali, "quando il debito pubblico raggiunge la soglia del 90% del Pil diventa un ostacolo insuperabile alla crescita". Clamorosamente falso.

Le deviazioni

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Un progetto, abbiamo detto, costruito a beneficio di interessi particolari. Ma reso vincolante per tutta la popolazione. Per i relativi titolari, la realizzazione, in pratica, dell'ideale assoluto: imporre a tutti i propri comodi e interessi, senza fastidiose interferenze.

Certamente, uno sfacciato colpo di mano dai risvolti banditeschi richiedendo, per il successo, adeguate remunerazioni sottobanco. (Tra queste, all'epoca, correvano voci di isolette greche in regalo a certi capi di governo).

Ma il vero, gigantesco regalo, autoprodotto a spese dei cittadini, è stato realizzato con l'introduzione dell'euro.

I proprietari di banche e istituzioni finanziarie (e i loro compagni di merende), prima dell'entrata in vigore della nuova moneta e ben conoscendone tempi, modalità e tasso di cambio, hanno investito tutte le liquidità disponibili (parliamo di centinaia di miliardi), nell'acquisto di valute forti, (dollari, yen, ecc.). Una volta introdotto l'euro, hanno venduto le valute acquistate e comprato la nuova moneta, realizzando così – in poche ore – un profitto di quasi il 50%.

Nel contempo, l'introduzione dell'euro provocava un impoverimento generalizzato per il cittadino comune. Così, per fare un esempio, il caffè al bar, che costava mille lire, ora costa un euro, cioè praticamente il doppio. Ed egualmente, per tutti i beni di consumo, i depositi in banca, gli stipendi, le pensioni, ecc.

Impoverimento aggravato dal contemporaneo calo dei valori immobiliari causato dalle nuove imposte sugli immobili ("ce lo chiede l'Europa...": così si giustificarono). In effetti, l'obbiettivo finale cui punta la c.d. Europa, sbandierando il liberismo architettato dalla grande finanza, è quello di scaricare l'onere fiscale del bilancio pubblico dello Stato interamente sui cittadini, liberandone totalmente le imprese e i redditi da capitale.

Con i detti "Trattati" è stata in effetti creata una entità "esterna", sovranazionale, che si è improvvisamente impossessata della sovranità dei cittadini. A loro insaputa.

Chiarito, per inciso, che la sovranità, per sua intrinseca natura, non è "cedibile,"costituendo l'essenza identificativa di chi la possiede, è da rilevare che i "Trattati" sono stati prevaricatoriamente firmati "a nome dell'Italia" in modo abusivo poiché questa specifica rappresentanza non è mai stata concessa (né successivamente avallata). Un chiaro abuso di potere.

Non spetta ai governi disporre della sovranità del popolo.

Come conseguenza della abusiva appropriazione, in quella sede ed a quel livello, della rappresentanza del Paese, il cittadino italiano è stato privato della sua libertà naturale e deve ora assoggettarsi a decisioni elaborate da entità esterne sulla base di interessi a lui estranei.

I diritti della gente, gestiti con tanta leggerezza, avrebbero dovuto richiedere un mandato specifico. Particolarmente meditato. E invece gli italiani, all'epoca, neppure sapevano che fosse quella strana cosa che chiamavano "Europa" e che veniva loro gioiosamente presentata come il Paese delle Meraviglie (e dovettero anche pagare addirittura una tassa speciale per tanto privilegio, tassa che, venne loro promesso, sarebbe stata poi restituita...). Hanno dovuto accettare il pacchetto a scatola chiusa, sulla base delle assicurazioni del loro governo.

E tuttavia gli impegni proditoriamente assunti erano di enorme portata.

La partecipazione democratica è stata azzerata: nei c.d. "Trattati" la volontà dei popoli europei non è presa neppure in considerazione.

Per cogliere il tipo di impostazione, del tutto autoritaria, che permea i vertici della "Europa unita", è emblematico il caso di Papandreu, Primo Ministro greco. Allorchè costui suggerì, come era suo diritto, di indire un referendum per chiedere al popolo se accettare o meno le misure di austerità ordinate dalla "Troika" (ossia, per vero, dalle banche internazionali, e tedesche in primo luogo), quest'ultima reagì in modo sdegnato e sguaiato, quasi si trattasse di una proposta oscena.

L'entità "Europa" e il dominio globale

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Occorre focalizzare una circostanza non sufficientemente posta in rilievo. I c.d. "Trattati" non prevedono una associazione fra Stati sovrani, per la gestione di interessi comuni o la realizzazione di iniziative di reciproco vantaggio.

Questi "Trattati" (termine peraltro improprio, nel caso), non hanno affatto creato una nuova entità chiamata "Europa", bensì una cornice di regole vincolanti gli Stati membri, attinenti le problematiche monetarie e finanziarie, che sono state in tal modo sottratte alla naturale competenza degli Stati sottoscrittori, unitamente alle materie connesse.

Regole che tutelano e garantiscono esclusivamente gli interessi dei detentori del capitale finanziario.

Questi "Trattati" sono espressione di una strategia globale che utilizza una ben individuata tipologia di "accordi" (difficilmente inquadrabili negli schemi previsti e regolati dal Diritto dei Trattati), che punta a realizzare una sorta di controllo planetario, politico-economico.

Ne sono esempi gli accordi, etichettati "di libero scambio", come il NAFTA, il c.d. Partenariato trans-pacifico (TPP), il CETA e decine di altri analoghi, che hanno per vero scopo, non le relazioni commerciali, ma la concessione di speciali poteri, a multinazionali e grande capitale, sulle risorse e sulle decisioni politiche dei Paesi coinvolti.

Anche questi "Trattati", insomma, sono orientati a istituire una sostanziale dittatura della finanza (ma in modo assai più penetrante), che, grazie ad essi, può ora effettivamente fare ciò che vuole in Europa, senza più l'interferenza della volontà dei popoli soggetti. Una dittatura molto estesa, in quanto vi è sottomessa anche tutta la spesa pubblica degli Stati membri e, in generale, le loro scelte politiche.

Al cittadino italiano (o europeo) non è mai stato chiesto, in nessun momento dell'iter di sottoscrizione dei sèdicenti "Trattati" se volesse abdicare alla libertà di decidere se le banche potevano abbindolarlo e truffarlo, e se la spesa dello Stato italiano dovesse essere decisa da altri. Eppure, di questo si tratta: di una rinuncia forzata a decidere in casa propria, come se il capofamiglia dovesse dipendere dal portinaio se comprare i biglietti del concerto oppure se rifornire il frigorifero. La volontà politica del cittadino è stata eliminata tout court.Chi può aver voluto in buona fede tutto questo?

Gli aspetti concreti

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Chiamare tutto questo "Europa" è semplicemente una falsificazione grossolana. Ed i peana che, ad ogni occasione, vengono intonati perché "finalmente, dopo due guerre sanguinose", ora si può vivere nella pace (grazie a questo imbroglio), sono ipocriti e farisaici. Sappiamo tutti che la tecnologia renderebbe oggi una guerra tanto devastante da cancellare ogni traccia di vita sul continente. Oggi la guerra si fa con altri mezzi, non con le armi (oppure in aree circoscritte del Terzo mondo).

La particolare devozione agli interessi della finanza è evidenziata anche dal recente fallimento di tutti i tentativi parlamentari europei per contrastare la concorrenza fiscale sleale di alcuni Paesi Ue. Come pure l'inchiesta parlamentare sui paradisi fiscali europei (Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio Malta, Irlanda, Cipro, oltre a Cayman e Isole Vergini, territori oltremare del Regno Unito), i cui documenti sono stati, irritualmente, secretati, sollevando commenti sarcastici: "Sono i paradisi fiscali europei che decidono ciò che la pubblica opinione può sapere" (deputato De Masi).

Non è neppure un caso se il Consiglio dei Ministri italiano ha recentemente impiegato otto minuti per approvare il decreto legge di salvataggio della banca Carige. Neppure il tempo di leggere, anzi, di sfogliare il dossier (già predisposto – al solito - da Bankitalia). D'altronde, al padrone che comanda non si può dire di no.

Questa vicenda della Carige sottolinea la pressante esigenza di rinnovare al più presto, radicalmente, la legge bancaria. Quello bancario è un servizio irrinunciabile di ogni collettività moderna. Come tale è intrinsecamente pubblico e deve essere rigorosamente regolamentato a tutela dei preziosi risparmi dei cittadini. E' inaccettabile che il denaro della collettività venga consegnato a dei privati perchè ne facciano strumento di speculazioni, spesso azzardate, o di favori ad "amici".

E' il momento, per la politica, di riappropriarsi della potestà di regolare anche i rapporti finanziari, finora esclusiva, ed inaccettabile, riserva degli stessi interessati.

L'episodio della Carige segue quelli analoghi, per origini e cause, di Banca Marche, Banca Etruria, CariFerrara, CariChieti, Veneto Banca, Popolare Vicenza, Mps, mentre sembrano formarsi identiche preoccupazioni su Popolare di Bari, Ubi, Banco Bpm, Bper. Queste voci non sono confermate ma, complessivamente, emerge comunque un quadro molto allarmante su di una situazione del sistema bancario piuttosto traballante e che ribadisce come la normativa attuale non sia in grado di fornire ai cittadini sufficienti garanzie di tutela dei loro risparmi e debba perciò essere urgentemente riscritta.

L'assenza di democrazia

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Chiarito che la firma sui Trattati a nome dell'Italia, è stata apposta abusivamente dal governo, ancor più scandaloso è constatare quali ne sono i contenuti. Fatta eccezione per il Parlamento europeo, che ha peraltro solo una funzione decorativa, le strutture e i vertici di questa anomala entità non hanno alcun rapporto di legittimazione con i cittadini e sono perciò totalmente prive di qualunque fondamento democratico. Nessuna di esse è eletta e nessuna risponde di ciò che fa e decide. Non sono neppure presenti i contropoteri normalmente previsti a garanzia.

Dicevamo del Parlamento, l'unico organo eletto dai cittadini. Ad esso non è attribuito nessun potere (se non quello di stabilire la lunghezza delle banane o la dimensione delle vongole da mettere in commercio). E' privo di un vero ruolo legislativo. Non ha l'iniziativa delle leggi (!) e non può modificare le norme emesse da altri "organi". Non può decidere neppure sul sistema fiscale da adottare, pur costituendo, questa, una facoltà essenziale per un Parlamento. Ma, sopratutto, è estromesso formalmente dalla possibilità di legiferare in alcune specifiche materie, che sono riservate ad altri sèdicenti "organi" (!!).

E' bensì previsto che il Parlamento possa esprimere mozione di censura contro la Commissione. Ma si tratta di un potere solo apparente perchè, allo scopo, occorre il consenso dei due terzi dei componenti: una maggioranza estremamente difficile da ottenere nella pratica per i macchinosi labirinti regolamentari esistenti, che accentrano nei capigruppo dei partiti anomali poteri di gestione dei gruppi.

Sopratutto, però, questa mozione può essere presentata solo per atti riguardanti la "gestione". Termine ambiguo, che sembra di per sé escludere la censura politica.

Si riconosce dunque come autentica funzione del Parlamento europeo quella di specchietto per le allodole.

I c.d. "Trattati" prevedono infatti degli "atti non legislativi", (sulle materie che contano davvero) che non sono emessi dal Parlamento ma dalla Commissione, dal Consiglio dei Ministri, e dalla Bce, ed aventi piena efficacia erga omnes.

Ora, che una banca centrale (denominazione peraltro abusiva in quanto sarebbe "centrale" di una entità politica che non esiste, mentre è invece emanazione diretta del sistema bancario privato europeo), priva completamente di alcun controllo tecnico o politico, possa dettare regole vincolanti per tutti cittadini (senza che neppure siano stati chiaramente definiti i limiti entro i quali ciò possa avvenire), costituisce un'enormità inconcepibile: siamo di fronte ad un ente dotato di sovranità propria. Queste attribuzioni incredibili forniscono la misura della mostruosità giuridica ed etica della struttura creata con i "Trattati": una banca privata, la cosiddetta Bce, che decide da sola la politica monetaria dei Paesi aderenti, che può fare ciò che vuole, quando vuole e senza rispondere a nessuno. E che può anche dettare norme vincolanti per tutti i popoli, a suo piacimento.

Siamo al di fuori del mondo del diritto: una entità che è espressione di una ristretta categoria di interessi particolari, è stata posta in grado di imporre la sua volontà alla generalità dei cittadini. Questa Bce, alla quale nessuno può dare ordini, viene di fatto ad essere il vero monarca assoluto dell'organismo deviato chiamato Europa unita.

Parliamo di Europa?

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Peraltro, qui non è dato rinvenire alcuna "Europa": cosa c'è infatti di europeo in questo magma di vincoli, legami e catene cui sono stati sottoposti i popoli europei, soggiogandoli al servizio ed agli ordini di interessi specifici? Quali elementi storici, culturali, tradizionali, ritroviamo in questa artificiosa costruzione, che richiamino legami con la realtà europea?

Osserviamo anche l'inesistenza di qualunque spirito "europeo": ogni Stato membro persegue i suoi interessi a scapito degli altri. Lo vediamo già quando si tratta di redistribuire i migranti sbarcati in Italia: nessuno li vuole e tutti cercano di scaricarli su altri. La Francia, per tacer d'altro, ha scatenato una guerra destabilizzante, facendo anche assassinare Gheddafi, al fine di sottrarre all'Eni i pozzi di petrolio libici. E tenta di appropriarsi delle zone di pesca migliori del Mediterraneo, a scapito dei pescatori nostrani.

Non è da meno la Germania, che persegue una politica economica basata sull'incremento ossessivo delle esportazioni (ben al di là degli stessi limiti previsti dai "Trattati") e la limitazione dei consumi interni, così creando serie difficoltà ai partner europei. Quella stessa Germania che, per ordine della Bundesbank, quando la Grecia chiese di ristrutturare il suo debito (una diluizione che avrebbe sollevato il Paese dal disastro creato ad arte), si oppose con violenza.

Dimenticando però, sia di averla ridotta in macerie durante la seconda guerra mondiale, sia che, nel 1953, aveva ottenuto dai Paesi europei la cancellazione di gran parte dei suoi debiti, assai più imponenti del piccolo importo chiesto dalla Grecia. Il principio liberista della "tosatura del gregge" ha avuto, nel caso greco, una applicazione esemplare.

Sono questi i contenuti che esprimono lo spirito "europeo" dei "Trattati"?

Il testo delle disposizioni è poi del tutto anonimo: appare redatto da soggetti legati ad organismi e istituti finanziari internazionali, completamente svincolati da qualsivoglia collegamento europeo.

Gli euroburocrati

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E lo sono parimenti i soggetti che siedono sulle poltrone di vertice.

Prendiamo i più noti, e cominciamo dal Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, noto come "il dinosauro". Costui ha svolto incarichi apicali nei principali enti che si occupano della finanza globale, dalla Banca Mondiale alla Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, al Fondo Monetario Internazionale. Quale Primo Ministro, (dal 1995 al 2013), del Lussemburgo, ha favorito accordi fiscali segreti di elusione fiscale con multinazionali di tutto il mondo, consentendo loro una imposta sui profitti tra l'uno per cento e lo 0,25%, a scapito degli Stati dove questi profitti erano stati realmente realizzati. Nel 2017 (dati Icrict), Facebook ha pagato 7,4 milioni di sterline di imposte nel Regno Unito, a fronte di ricavi per 1,3 miliardi. Amazon, nel 2016, attraverso il Lussemburgo, ha versato all'erario 16,5 milioni di euro di tasse su un totale di ricavi europei per 21,6 miliardi. Vodafone mostra, nei rendiconti finanziari 2016/2017, che quasi il 40% dei profitti sono assegnati a paradisi fiscali, con 1,4 miliardi di euro dichiarati in Lussemburgo, dove è soggetta ad un'aliquota fiscale dello 0,3%.

"Nella sua posizione, Juncker ha sfruttato i cittadini di tutti Paesi europei per decenni", ha denunciato la deputata laburista Margaret Hodge.

Un curriculum professionale perfetto, dunque, per farne un grand commis della finanza. Non certo di tutore degli interessi dei popoli.

E così, il Lussemburgo è diventato, ed è rimasto, una vera Mecca della elusione organizzata. Una attività molto redditizia se si osserva che, in pochi anni, il Pil pro capite è salito 120 a mila dollari, sia pure a vantaggio di pochi, mentre in Italia siamo a 36 mila. Non a caso, risultano rifugiati nel Granducato, tra il 2008 ed il 2015, oltre 360 miliardi di dollari.

Ben 170 delle 500 maggiori società Usa hanno un "punto d'appoggio" nel Granducato, ma non mancano certo quelle europee, come Ikea, Deutsche Bank, la tedesca Eon, Amazon, Credit Suisse, Credit Agricole, ecc. Non è un caso se lo studio americano di revisione contabile Pricewaterhouse Coopers (uno dei maggiori del pianeta) mantiene in Lussemburgo oltre 2000 dipendenti.

Nessun provvedimento sanzionatorio è stato preso in proposito, anche perchè i paradisi fiscali nella c.d. Europa unita non mancano (Belgio, Malta, Paesi Bassi, Guernsey, Jersey, Isole del Canale, ecc.). Complessivamente, fanno sparire oltre mille miliardi annui di tasse eluse. Una somma imponente, che potrebbe migliorare notevolmente il livello di benessere dei popoli europei (ma la sua riscossione danneggerebbe gli "amici"; quelli che contano per l' "Europa unita"). Ecco dunque Juncker ancora al suo posto, nonostante che tutte queste poco edificanti vicende siano venute a galla (v.: Leo Sisti, Il paradiso dei ricchi, Chiarelettere): d'altronde per qualcuno è proprio l'uomo giusto al posto giusto. Da ultimo, (approssimandosi le elezioni europee) ha avuto la faccia tosta di dichiarare che "nel caso della Grecia non dovevamo seguire il FMI...".

Passiamo a Pierre Moscovici, Commissario agli affari economici. Detto "il bracconiere", epiteto non certo consonante con incarichi pubblici, già Ministro delle Finanze in Francia, è discepolo del noto produttore di scandali Dominique Strauss-Kahn, ex direttore del Fondo Monetario Internazionale: dunque, un altro sicuro esperto di affari finanziari, (siamo sempre in famiglia), ma non certo di problemi sociali .

Quanto a Martin Selmayr, il potentissimo Segretario Generale della Commissione, (tedesco, abile manovratore sotterraneo, fedele custode degli interessi della madrepatria), significativamente noto, nell'ambiente, come il "Rasputin", e già Capo di Gabinetto di Juncker, proviene anch'egli dal florido vivaio dei virgulti della finanza, nella quale si è sperimentato a lungo come dirigente della Bce.

L' insano intreccio contro natura dei vertici delle istituzioni pseudo "europee" con la cupola finanziaria mondiale è ancora confermato dalle vicende dell'ex Presidente della Commissione Barroso che, lasciato l'incarico, è diventato subito, per meriti speciali, Presidente della Filiale europea di Goldman Sachs, la più disinvolta ed discussa banca d'affari del mondo. Fra amici, insomma, funzionano le "porte girevoli".

Le responsabilità della politica

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Tutto ciò può anche non sorprendere, atteso che i politici sono al servizio di chi li paga e li ha fatti eleggere, finanziandone il partito e la campagna elettorale. Le elezioni, è noto, sono un sistema di compravendita (Chomsky).

Tanto che, sfogliando l'elenco dei finanziatori dei partiti si può preventivamente conoscere quali provvedimenti normativi saranno adottati. I comuni cittadini (cioè la maggioranza), che non pagano, non sono concretamente rappresentati politicamente. E il "distacco" (quando non contrarietà) sovente rilevato e stigmatizzato, tra volontà popolare e azione del governo, trova qui la sua precisa spiegazione.

E così, è forse illusorio sperare che un improvviso rigurgito di dignità e di responsabilità induca i futuri governanti a denunciare questo obbrobrio, cancellandolo meritoriamente dalla Storia.

Gli organi decisionali

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Detto del Parlamento e della Bce, non degni di migliore considerazione sono gli altri istituti apicali previsti.

La Commissione, altro organo completamente indipendente e non responsabile, (e perciò in realtà non "organico" al sistema), è nominata dal Consiglio dei Ministri.

Quest'ultimo, è semplicemente composto da membri dei governi sottoscrittori. Si tratta quindi di personaggi non eletti dai popoli europei.

Il fatto è che costoro elaborano leggi che poi vengono applicate nei loro Paesi. In altri termini, dei membri degli esecutivi nazionali, vengono abilitati a livello "europeo" a emanare leggi, scavalcando i loro Parlamenti. E' inquietante pensare che le disposizioni che costoro non riuscirebbero a far approvare dai loro organi legislativi nazionali, vengano elaborate ed applicate come leggi "europee". Emergono delle confusioni funzionali e di ruolo del tutto estranee ai più elementari principi giuridici di Diritto costituzionale.

Si nota poi una precisa propensione all'autoritarismo: un membro della Commissione, appositamente da questa incaricato, può intervenire con pieni poteri e senza rendere conto (al solito) a nessuno, per imporre a sua discrezione la deregolamentazione dei servizi pubblici negli Stati membri, sottraendoli al controllo delle relative collettività. Un potere dittatoriale assoluto esercitato, senza controllo, in via personale, situazione che si verifica anche quando un membro della Commissione può essere deputato a redigere accordi commerciali con altre nazioni, a nome di tutti gli Stati membri.

Incidentalmente, si osservi che la deregolamentazione (posta al centro dell'insieme di norme chiamate "Trattati"), significa la messa al bando dell'intervento socio-economico dello Stato, quale tutore dell'interesse collettivo, per dare preminenza al potere privato.

In definitiva, è formalmente previsto che tutti gli organi decisionali non debbano rendere conto di ciò che fanno e decidono, e possano orientarsi in modo totalmente autonomo. La volontà dei popoli, come già abbiamo sottolineato più volte, non è considerata in alcun modo. Anzi, questa abolizione appare proprio lo scopo primario di tutto l'apparato. Ad ogni livello decisionale e operativo è attribuito un carattere impositivo, che non lascia spazio a proposte, critiche o anche semplici dibattiti.

Qualcuno contesta che la volontà popolare è invece tenuta in conto in quanto è previsto un referendum popolare. Si noti, tuttavia che il detto referendum deve essere presentato da almeno ...un milione di firme, rappresentanti un "numero significativo di Stati membri", e tutto ciò serve solo per proporre alla Commissione un intervento su determinate materie. Cioè un semplice invito, non vincolante né impegnativo...

E passiamo ora alla Corte Europea di Giustizia (GUE). La Corte, oltre a vagliare l'inerzia o le omissioni delle istituzioni dell'Unione, è incaricata di controllare il rispetto degli obblighi sanciti nei c.d. "Trattati"e di dirimere ogni controversia insorta fra gli Stati membri fornendo l'interpretazione autentica dei testi. Si occupa altresì dei ricorsi per l'annullamento di atti legislativi viziati da violazione delle normative europee.

Il potere attribuito è considerevole e molto delicato. E' perciò anomalo e incomprensibile che sia stato affidato a "giudici" nominati dai singoli governi membri e, quindi, totalmente privi di quella autonomia che ne garantirebbe l'imparzialità.

A nessuno di questi "organi" non organici è comunque attribuita una formale rappresentanza della pretesa "Unione". Chi è l' "Europa"?

Il contratto sociale

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Parlare di "Europa", comunque, è una contraffazione mistificatoria. Europa, è solo il tessuto vivo del continente: i popoli europei, dei quali però è stata qui cancellata ogni minima traccia.

Ciò che è stato costruito e che abbiamo di fronte è un sistema eversivo, creato ed imposto solo per favorire gli interessi della grande finanza e garantirne stabilmente i profitti grazie ad una posizione dominante privilegiata che esclude interferenze e disturbi da parte dei popoli, totalmente accantonati.

L'ordine sociale, anzi il contratto sociale di ogni nazione, è stato svuotato e sovvertito radicalmente, senza essere sostituito da un altro, diverso e dai confini più ampi. Qui troviamo una incongruenza di base che svuota di qualsiasi legittimità l'abusiva costruzione.

I popoli europei, peggio degli aborigeni colonizzati di altri tempi, si sono trovati costretti in una (apparente) società senza esserne "soci", senza cioè aver mai maturato alcun corrispondente animus sociale e senza aver concordato e accettato un modello comune di convivenza e di rapporti sociali. E' il popolo europeo che potrà formare una comunità europea. Non i banchieri.

Oggi, non esiste nessuna "collettività" europea: i popoli del continente si sono trovati in una società che tale non è, e tuttavia soggetti a norme che prevalgono su quelle delle comunità da essi formate. Addirittura perfino le regole delle loro Carte costituzionali, base e fondamento della loro convivenza specifica, sono state subordinate alle estemporanee disposizioni di autorità da altri artificiosamente costruite e imposte. La società, come tale, è stata cancellata, rimettendo ogni decisione alla Commissione europea, che è la portavoce del sistema finanziario, e così abolendo, per il mondo degli affari, la minaccia della democrazia,

Parlare di sovversione è probabilmente un benevolo eufemismo: qui ci troviamo di fronte ad una svolta epocale che segna la fine del concetto stesso di Diritto, a livello individuale e collettivo.

La piovra finanziaria

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Pur nella sua enormità eversiva, comunque, la sèdicente Unione non costituisce che un episodio di un fenomeno ben più vasto, e già sopra accennato, al quale conviene dedicare una meditata riflessione.

Viviamo in un'epoca nella quale il potere economico va espandendosi nella società con ritmo accelerato, assai più che nei tempi passati, sottraendo ai cittadini libertà ed autodeterminazione. Sembra ora emergere un mutamento strategico, più decisamente rivolto, anziché ad influenzare, ad occupare direttamente nelle istituzioni le posizioni cardinali, che consentono di dettare le regole della convivenza.

E' la realizzazione del principio per il quale "chi possiede il paese, deve governarlo", enunciato da John Jay, presidente del Congresso americano allorchè si trattava di redigere la Costituzione.

Altrimenti detto da Madison, altro padre della suddetta Costituzione, lo stesso principio suona: "il potere deve essere detenuto dai ricchi della nazione", i quali "debbono essere protetti dal popolo", che – allo scopo - deve essere addomesticato, tramite una apposita industria delle pubbliche relazioni, affinchè non crei fastidio.

Sono state così introdotte, anche nel nostro ordinamento giuridico, delle norme, contrarie ai principi fondamentali, che stanno delineando una sorta di legislazione speciale per le istituzioni finanziarie. Ne sono un esempio le disposizioni sui salvataggi, riservati alle sole imprese bancarie (!), nonché quelle che introducono l'inedito principio della partecipazione dei creditori al pagamento dei debiti (il c.d. "bail in").

La normativa, poi, che obbliga le banche popolari a trasformarsi in società per azioni, è un insulto al diritto inalienabile della libertà individuale e di scelta, garantito anche dalla Costituzione.

La vera finalità di questa perversione giuridica è di consentire alla finanza il controllo di queste banche (e delle relative disponibilità liquide) entrando massicciamente nel loro capitale. Non più: "una testa, un voto", ma prevalenza del capitale. Identica nefandezza giuridica il decreto che impone alle banche di credito popolare di confluire in una Capogruppo, le cui azioni potranno essere acquisite da altre entità (estere) già pronte, che saranno così in grado di mettere le mani su un'altra fetta del risparmio nazionale.

Questa deriva, che assume anche tinte autoritarie inquietanti (sopratutto per i possibili futuri sviluppi), è densa di pericoli per i cittadini i cui diritti vengono messi seriamente in pericolo, dalla creazione di una diseguaglianza giuridica. L'erosione, anzi, la cancellazione della democrazia è già in atto: si tratta di arrestare questa degenerazione, evitando l'instaurazione di quella cleptocrazia che si va profilando.

E' compito dei cultori del Diritto, nella loro maggiore consapevolezza specifica, di lanciare un preciso allarme che risvegli le coscienze e contribuisca a formare una decisiva reazione della opinione pubblica.


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