Data: 11/03/2019 18:00:00 - Autore: Matteo Santini
Avv. Matteo Santini - Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà.

Il godimento della casa familiare

Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643.
In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.
La suddetta disposizione si applica nel caso che i genitori siano coniugati sia ai conviventi more uxorio con figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti.
Il diritto alla conservazione dell'abitazione in cui i figli sono cresciuti si configurerebbe addirittura come un diritto Costituzionalmente garantito rientrando esso tra i diritti tesi allo sviluppo della personalità.
E' bene sottolineare che per casa familiare si intende solo quell'immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altra abitazione di cui i coniugi / genitori avessero la disponibilità o che comunque usassero in via saltuaria o temporanea.

Presupposti per l'assegnazione della casa familiare

Affinché si possa procedere ad assegnazione della casa familiare è necessaria la presenza di figli minorenni o maggiorenni non economicamente indipendenti. La Corte di Cassazione ha più volte precisato che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è subordinato alla presenza di figli, minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, conviventi con i coniugi / genitori. In assenza di tale presupposto, il giudice non può assegnare la casa in comproprietà in sostituzione o quale componente dell'assegno di mantenimento: questa resta soggetta alle norme sulla comunione, salva l'esistenza di eventuali accordi di natura negoziale intercorsi tra le parti in sede di separazione personale.
Pertanto, in caso di separazione di coniugi senza figli o con figli maggiorenni ed autonomi, non potrà in alcun modo disporsi l'assegnazione della casa familiare. In tali ipotesi caso nulla dovrà indicare la sentenza in ordine all'assegnazione.
Come si evince chiaramente dalla norma, il diritto all'assegnazione della casa prescinde dalla titolarità di diritti reali sul bene.
Ove l'immobile sia di proprietà del genitore non collocatario del figlio/i minore o maggiorenne non economicamente indipendente, il diritto subirà una limitazione in relazione all'uso, pur rimanendo allo stesso proprietario la possibilità di procedere alla vendita dell'immobile a terzi salvo il diritto per il coniuge/genitore assegnatario di continuare a viverci considerato che il provvedimento di assegnazione, seppur non trascritto, è opponibile al terzo acquirente per 9 anni dall'emissione del provvedimento di assegnazione e, oltre il novennio, se trascritto. Con l'assegnazione si costituisce e configura in capo all'assegnatario un diritto atipico di godimento di natura personale (e non un diritto reale di uso o di abitazione)

Modifica o revoca assegnazione casa familiare

Il diritto di assegnazione della casa familiare può essere oggetto di modifica da parte del Tribunale ogni qualvolta emergano "fatti nuovi e rilevanti" che possano legittimare la richiesta di modifica.
Tipico caso che legittima la richiesta di modifica o di revoca dell'assegnazione della casa familiare è quello del figlio maggiorenne non economicamente indipendente che sceglie di andare a vivere con il genitore non collocatario. In tal caso, il provvedimento di assegnazione andrà revocato o modificato e si applicheranno ai fini dell'accertamento del diritto al possesso e all'uso della casa le norme del codice civile (in particolar modo quelle in materia di diritti reali).
L'assegnazione della casa familiare andrà revocata anche nel caso in cui il genitore affidatario o collocatario cessi di viverci con i figli.
Allo stesso modo astrattamente modificabile è il provvedimento di assegnazione ove il genitore assegnatario intraprenda una convivenza more uxorio nella casa familiare ovvero contragga nuovo matrimonio; la ratio della revoca si fonda sul presupposto che il nuovo convivente o coniuge andrebbero ad alterare la struttura familiare del minore o maggiorenne economicamente non indipendente con conseguente venir meno della tutela. In questo caso la revoca dell'assegnazione della casa familiare non è automatica, ma la situazione deve essere valutata caso per caso dal Giudice il quale avrà il delicato ruolo di contemperare l'interesse del figlio a continuare a vivere nella residenza familiare con il diritto del proprietario.
Quindi, la convivenza more uxorio o il nuovo matrimonio dell'assegnatario della casa non sono circostanze, di per se stesse, idonee a determinare la cessazione dell'assegnazione, dovendo l'eventuale revoca dell'assegnazione essere subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore.

Le spese della casa assegnata

Le spese per l'uso, godimento e la conservazione ordinaria della casa familiare sono a carico della parte assegnataria. In sostanza il genitore assegnatario oltre al pagamento delle utenze dovrà corrispondere le rate condominiali ordinarie (con esclusione delle rate condominiali che si riferiscono ad interventi straordinari).
Per quanto attiene alle imposte comunali sull'immobile assegnato, il genitore che ha il godimento della casa di proprietà dell'altro genitore non è tenuto alla corresponsione di alcuna imposta in quanto, il diritto di assegnazione della casa familiare non costituisce un diritto reale bensì un atipico diritto personale di godimento e pertanto nulla è dovuto ai sensi dell'art. 3 del Decreto Legislativo 504/1992 (Cassazione Civile, sez. Trib. del 20/10/2008 n. 25486).

Casa familiare in locazione o in comodato

Ove al momento della crisi familiare l'abitazione sia condotta in locazione dal genitore non collocatario dei figli, l'art. 6, comma 2, della legge 27 luglio 1978, n. 392, prevede che, nel caso in cui essa casa sia stata assegnata dal Giudice al coniuge non intestatario del contratto ma convivente con i figli minori, lo stesso contratto si trasferisce per legge al coniuge convivente con i figli stessi; in tal caso si trasferiranno su di esso tutte le obbligazioni derivanti dal contratto, dal pagamento del canone alla naturale durata del contratto stesso.
Con il provvedimento di assegnazione il coniuge a cui viene assegnata la residenza familiare diviene il conduttore della stessa E il precedente rapporto non potrà più tornare in vita, anche in caso di rilascio spontaneo da parte del coniuge assegnatario (Cass. civ., sez. III, 17 luglio 2008, n. 19691). La stessa disciplina si applica anche in caso di convivenza more uxorio con figli minori o maggiorenni non autosufficienti.
Nel caso in cui al momento della dissoluzione del matrimonio/convivenza il contratto di locazione fosse scaduto, il genitore convivente con i figli minori o maggiorenni ma non economicamente indipendenti non succederà nel contratto di locazione scaduto bensì verrà trasferita ad esso una situazione di mera occupazione.
Più complessa la questione nelle ipotesi tutt'altro che rare in cui la casa familiare sia di proprietà di un terzo (spesso i genitori di una della parti) che la concede in uso alla coppia al fine di destinarla a casa familiare. In questi casi il rapporto tra il proprietario e chi usa l'immobile è configurabile come un comodato. La Cass. S.U. con sentenza 29 Settembre 2014 n. 20448 ha stabilito che:" Ai sensi dell'art. 1809, secondo comma, cod. civ., il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene non deve essere grave ma imprevisto (e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato) ed urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o solo astrattamente ipotizzabili. Ne consegue che non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d'un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante - che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione - consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione sia quella di casa familiare, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante".
Si tratterebbe pertanto di un comodato che non può ritenersi "precario" ex art. 1810 cc bensì deve considerarsi "ordinario" e quindi regolato dagli artt. 1809 e ss cc, conseguentemente il comodante, al verificarsi della frattura dell'unione ed in presenza di un provvedimento di assegnazione della casa familiare concessa in comodato, non ne può richiedere la restituzione, salvo che non provi un imprevisto bisogno sopravvenuto successivamente rispetto alla stipula del contratto di comodato e urgente che ai sensi dell'art. 1809 c.c. legittimerebbe la richiesta restituzione.
Di fatto sull'immobile si imprime un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari non soltanto a titolo personale del comodatario, ma dell'intera famiglia. Quindi il comodato senza determinazione di durata deve considerarsi sorto per un uso determinato e dunque per un tempo determinabile per relationem, da individuarsi in considerazione della destinazione a casa familiare, indipendentemente dall'insorgere di una crisi coniugale.
Il proprietario comodante sarà quindi tenuto a consentire la continuazione del godimento, anche oltre l'eventuale crisi coniugale, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c".
Avv. Matteo Santini (AVVOCATO DEL FORO DI ROMA)
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