Data: 18/03/2019 19:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Il lavoratore che assiste una persona disabile, ai sensi della L. n. 104/1992 (c.d. caregiver), avrà diritto al trasferimento in una sede più vicina al domicilio dell'assistito. La possibilità di scegliere di lavorare più vicino al familiare da assistere, infatti, non vale solo all'inizio, ma anche durante lo svolgimento del rapporto di lavoro e a seguito di domanda di trasferimento.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nell'ordinanza n. 6150/2019 (qui sotto allegata).

Il caso

A seguito di domanda di trasferimento, un lavoratore aveva chiesto di poter scegliere la sede di lavoro più vicina al Comune presso il quale era domiciliata la sorella, necessitante di assistenza. Diritto che gli era stato riconosciuto dalla Corte d'Appello, difformemente dal primo che giudice, che aveva dunque ordinato alla datrice di lavoro il trasferimento del dipendente presso una sede, tra quelle disponibili, in prossimità del suddetto Comune.
Il giudice ha ritenuto integrati sia il requisito soggettivo, cioè la condizione di handicap grave della sorella del ricorrente, sia il requisito oggettivo della disponibilità di posti per lo svolgimento delle mansioni di recapito in uffici vicini alla residenza del predetto familiare.
Secondo la Corte territoriale, infatti, l'art. 33, comma 5, della L. n. 104/1992 (modificato dalla L. n. 53/2000 e poi dalla L. n. 183/2010) deve trovare applicazione non solo nella fase genetica del rapporto quanto alla scelta della sede, ma anche in ipotesi di domanda di trasferimento proposta dal lavoratore.

Assistenza al parente portatore di handicap e scelta sede di lavoro

Una interpretazione confermata dalla Corte di Cassazione, la quale rammenta che la ratio dell'art. 33, comma 5, nel testo anteriore alle modifiche di cui alla L. 53/2000, "è quella di favorire l'assistenza al parente o affine handicappato, ed è irrilevante, a tal fine, se tale esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all'epoca dell'inizio del rapporto stesso".
Dunque, il genitore o familiare lavoratore che svolga tale assistenza con continuità avrà diritto, ove possibile, di scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio dell'assistito, non solo all'inizio del rapporto di lavoro mediante la scelta della sede ove viene svolta l'attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto mediante domanda di trasferimento.
E ciò si impone a maggior ragione dopo le modifiche introdotte con la L. n. 53/2000, che ha eliminato il requisito della convivenza tra il lavoratore e il familiare handicappato, e con la L. n. 183/2010 che ha eliminato i requisiti della "continuità ed esclusività" dell'assistenza.

Caregiver: il trasferimento in sede più vicina all'assistito con 104

Dal punto di vista letterale, la disposizione in esame non contiene un espresso e specifico riferimento alla scelta iniziale della sede di lavoro e risulta quindi applicabile anche alla scelta della sede di lavoro fatta nel corso del rapporto, attraverso la domanda di trasferimento.
Il diritto alla salute psico-fisica, comprensivo della assistenza e della socializzazione, va dunque garantito e tutelato, al soggetto con handicap in situazione di gravità, sia come singolo che in quanto facente parte di una formazione sociale per la quale, ai sensi dell'art. 2 Cost., deve intendersi "ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico", ivi compresa appunto la comunità familiare.
La previsione di cui al citato comma 5 dell'art. 33, al pari delle disposizioni sui permessi mensili retribuiti riconosciuti sempre dalla L. 104, rientra nel novero delle agevolazioni e provvidenze riconosciute, quale espressione dello Stato sociale, in favore dei caregivers, e ciò sul presupposto che il ruolo delle famiglie "resta fondamentale nella cura e nell'assistenza dei soggetti portatori di handicap".
Circoscrivere l'agevolazione in favore dei familiari della persona disabile al solo momento della scelta iniziale della sede di lavoro, come preteso dalla società ricorrente, equivarrebbe a tagliare fuori dall'ambito di tutela tutti i casi di sopravvenute esigenze di assistenza, in modo del tutto irrazionale e con compromissione dei beni fondamentali richiamati dalla giurisprudenza costituzionale.


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