Data: 16/03/2019 07:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - La sentenza n. 3709/2019 (sotto allegata) della Cassazione fa discutere. Non tanto per la complessa questione esecutiva relativa a un immobile sequestrato alla mafia, ma per il principio affermato sulle notifiche via PEC. La Corte infatti sancisce che le notifiche effettuate a indirizzi PEC diversi da quelli contenuti nel ReGindE sono da considerarsi nulle, comprese quelle compiute ai recapiti presenti nell'INI-PEC. Il CNF con lettera del 5 marzo 2019 fa notare però alla Corte l'evidente errore materiale in cui è incorsa, confondendo l'INI-PEC con l'iPA, utilizzata per meri scopi amministrativi. Per il Consiglio Nazionale degli Avvocati gli Ermellini devono intervenire con modalità idonee a questa correzione, stante le inevitabili conseguenze negative di tale pronuncia sulle notifiche telematiche.

La vicenda processuale

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Oggetto di una complessa procedura esecutiva pendente al Tribunale di Roma, un immobile che, ai sensi dell'art. 2-bis della legge n. 575 del 1965 "Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso", è stato sequestrato e poi confiscato. Il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei sequestrati e confiscati depositano due ricorsi in opposizione (art. 619 c.p.c), per far valere l'inopponibilità all'erario dei crediti e dei diritti reali di garanzia vantati sull'immobile da due banche. Il giudice dell'esecuzione rigetta la richiesta di sospensione della procedura esecutiva con decreto, confermato con ordinanza, avverso la quale viene proposto reclamo (artt. 624 e 669- terdecies c.p,c), che si conclude con ordinanza che dispone la sospensione della procedura esecutiva opposta.

Intanto con atto di citazione notificato, gli enti opponenti introducono nel merito due opposizioni di terzo. Le cause di merito vengono rigettate dal Tribunale di Roma con sentenze, avverso le quale il MEF e I'ANBSC ricorrono in Cassazione. Le Sezioni Unite con due sentenze "gemelle" cassano con rinvio i provvedimenti impugnati. I giudizi vengono riassunti davanti al Tribunale di Roma che, riunite le due cause, rigetta l'opposizione. Contro questa decisione il MEF e I'ANBSC propongono un altro ricorso per Cassazione, articolato in sette motivi.

Il domicilio digitale è solo quello della PEC inserita nel ReGindE

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In questa vicenda processuale decisamente complessa la Cassazione affronta la questione preliminare della notifica a mezzo PEC, perché collegata al decorso del termine e alla tempestività dell'impugnazione. Questione che gli Ermellini risolvono, affermando il seguente principio di diritto: "Il domicilio digitale previsto dall'art. 16-sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. in l. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., in l. n. 114 del 2014, corrisponde all'indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest'ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGindE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l'effettiva difesa, sicché la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile - a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGindE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC). Facendo applicazione del principio nel caso di specie, si deve concludere che la notificazione della sentenza impugnata presso un indirizzo di posta elettronica dell'Avvocatura dello Stato diverso da quello inserito nel ReGindE non è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 326 cod. proc. Civ. (…)."

La lettera del Consiglio Nazionale Forense alla Cassazione

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Il Consiglio nazionale Forense, preoccupato per le conseguenze del principio sancito dalla sentenza suddetta invia una lettera (sotto allegata) al presidente della Corte di Cassazione, per rilevare l'evidente errore materiale in cui è evidentemente incorsa. Il CNF osserva infatti che, contrariamente a quanto sostenuto dagli Ermellini, l'INI-PEC è qualificato dal Codice dell'Amministrazione Digitale come un elenco pubblico, da cui si possono estrarre gli indirizzi PEC. Operazione non consentita dall'elenco iPA, ovvero l'indice delle Pubbliche Amministrazioni, utilizzato non per scopi giudiziari, ma amministrativi. L'errore materiale quindi, secondo il CNF, è frutto della confusione tra iPA e INI-PEC.

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