Data: 17/03/2019 14:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Si avvia verso l'approvazione dell'Aula il testo di riforma della class action, licenziato dalla commissione Giustizia del Senato senza modifiche. Il provvedimento, d'iniziativa M5S, era stato approvato lo scorso ottobre dalla Camera e ora si avvia verso il sì definitivo con un impianto che le imprese, in particolare Confindustria, avevano in più punti contestato.

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La riforma della class action

La riforma mira al potenziamento e all'estensione dell'azione di classe, attualmente disciplinata dall'art. 140-bis del Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005), sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo: in sostanza, rispetto all'assetto attuale, cambia in primis la collocazione della class action, ma anche i soggetti che possono accedervi e le situazioni giuridiche che potranno farsi valere in giudizio.

La class action nel Codice civile

L'approvazione del provvedimento, in prima battuta, consentirebbe il traghettamento della class action dal Codice del consumo al Codice civile. La nuova collocazione non è di poco rilievo, in quanto consentirà di estendere l'ambito di applicazione dell'azione di classe.
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Abbandonato ogni riferimento a consumatori e utenti, l'azione sarà sempre esperibile da tutti coloro che avanzino pretese risarcitorie in relazione a lesione di "diritti individuali omogenei". La legittimazione a proporre l'azione sarà altresì attribuita a organizzazioni e associazioni iscritte in un elenco pubblico istituito presso il Ministero dello sviluppo economico.
Destinatari dell'azione di classe, invece, saranno imprese ed enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle rispettive attività.

Dal punto di vista oggettivo, l'azione sarà esperibile a tutela delle situazioni soggettive maturate a fronte di condotte lesive, per l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. La proponibilità, dunque, è ammissibile sia in caso di responsabilità contrattuale che extracontrattuale.
La riforma dovrebbe entrare in vigore trascorsi 12 mesi dall'approvazione della legge. Sino ad allora, agli illeciti commessi anteriormente continueranno ad applicarsi le disposizioni del Codice del consumo.

Il procedimento della class action

La riforma affida la competenza a decidere sull'azione di classe al Tribunale delle imprese, ovvero alla sezione specializzata in materia competente per il luogo ove ha sede la parte convenuta. La domanda si proporrà con ricorso e il procedimento sarà quello del rito sommario di cognizione, definito con sentenza. Non sarà consentito disporre il mutamento del rito.
A fini di pubblicità, sia il ricorso che l'ordinanza che decide sull'ammissibilità della domanda saranno pubblicate nell'area pubblica del portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della giustizia.
Il procedimento della nuova class action delineata dalla riforma si articola in in tre fasi: la prima e la seconda relative, rispettivamente, all'ammissibilità dell'azione e alla decisione sul merito, di competenza del Tribunale delle imprese, e l'ultima, affidata ad un decreto del giudice delegato, relativa alla liquidazione delle somme agli aderenti alla classe.

Class action: l'adesione all'azione

L'adesione alla class action potrà effettuarsi entro un termine perentorio fissato dal Tribunale (non inferiore a 40 e non superiore a 150 giorni) mediante inserimento della relativa domanda nel fascicolo informatico, avvalendosi di un'area del portale dei servizi telematici che verrà predisposto e gestito dal Ministero della Giustizia.
In particolare, si potrà aderire all'azione di classe nella fase immediatamente successiva alla pubblicazione dell'ordinanza che ammette l'azione, ma anche in una fase successiva, ovvero dopo la pronuncia della sentenza che definisce il giudizio, e che dunque accerta la responsabilità del convenuto. Anche in questo caso sarà il Tribunale, con la sentenza che accoglie l'azione, ad assegnare un termine per l'adesione.
Proprio su questa doppia fase di adesione si sono soffermate le critiche di Confindustria: il meccanismo è accusato di alimentare una costante incertezza sulla dimensione della class action e sull'impatto che questa potrebbe avere sull'impresa. Senza contare i comportamenti opportunistici di coloro che potrebbero scegliere di aderire solo dopo aver sondato il successo dell'azione.
Quanto all'aderente, questi non assumerà la qualità di parte, ma avrà diritto di accesso al fascicolo informatico e al ricevimento di tutte le comunicazioni a cura della cancelleria. Inoltre, qualora sia nominato un consulente tecnico d'ufficio, l'obbligo di anticipare le spese, l'acconto e il compenso a quest'ultimo spettanti sono posti, salvo che sussistano specifici motivi, a carico del convenuto.

L'azione inibitoria collettiva

Ampliando gli strumenti di tutela, la riforma punta a introdurre, accanto alla class action, anche un'azione inibitoria collettiva verso gli autori di condotte lesive, ovvero esperibile nei confronti di imprese o di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità relativamente a fatti commessi nello svolgimento delle loro rispettive attività.
Chiunque vi abbia interesse, oltre alle organizzazioni e associazioni (iscritte nel citato elenco), potrà chiedere al giudice di ordinare a imprese o enti gestori di servizi di pubblica utilità la cessazione di un comportamento lesivo o il divieto di reiterare una condotta commissiva o omissiva.
Sempre innanzi al Tribunale delle imprese, come individuato per la class action, si potrà proporre la relativa domanda con le forme del procedimento camerale (ex artt. 737 c.c. e ss. in quanto compatibili) e il ricorso sarà altresì notificato al pubblico ministero.
In caso di condanna alla cessazione della condotta omissiva o commissiva, il Tribunale potrà, su richiesta del P.M. o delle parti, ordinare alla parte soccombente di adottare le misure idonee a eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate. Qualora l'azione inibitoria collettiva sia proposta congiuntamente all'azione di classe, il giudice disporrà la separazione delle cause.

Il patto di "quota lite"

Altra disposizione che ha preoccupato le imprese è quella che riconosce la c.d. quota lite a coloro che svolgono la funzione di rappresentanti della classe e ai difensori: si tratta di un compenso ulteriore rispetto alla somma che il convenuto dovrà pagare a ciascun aderente alla classe a titolo di risarcimento.
L'ammontare della quota lite sarà determinato a scaglioni calcolando una percentuale rispetto dell'importo complessivo che il convenuto dovrà pagare. Al giudice sarà consentito correggere gli automatismi dettati dagli scaglioni utilizzando una serie di criteri specifici (complessità dell'incarico, ricorso a coadiutori, qualità dell'opera, sollecitudine nella conduzione delle attività, numero di aderenti).
Secondo le imprese, questo compenso "premiale" potrebbe di fatto incentivare l'azione di classe in maniera spregiudicata e contribuire a una moltiplicazione esasperata del contenzioso.

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