Data: 01/04/2019 15:50:00 - Autore: Cecilia Marani

di Cecilia Marani - Il 3 febbraio 2016, al Cairo, nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani, venne ritrovato il corpo senza vita di Giulio Regeni, 28enne dottorando italiano dell'Università di Cambridge. Il corpo denudato e mutilato presentava evidenti segni di tortura: oltre ventiquattro fratture, ecchimosi, denti rotti, lesioni, bruciature e numerosi tagli probabilmente causati da una lama simile ad un rasoio, sette costole rotte; in seguito l'autopsia rivelerà un'emorragia cerebrale ed una vertebra cervicale fratturata a seguito di un violento colpo al collo, quest'ultimo causa del decesso.

Il caso

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Il direttore del dipartimento investigativo di Giza, Khaled Shalabi, sostenne che la causa della morte del giovane, fosse da ricercarsi in un presunto violento incidente stradale. La polizia avallò varie ipotesi per giustificare le condizioni del corpo, chiaramente incompatibili con uno scontro stradale: omicidio per motivi personali non meglio identificati, omicidio a causa di implicazioni nello spaccio di stupefacenti... Ma Giulio Regeni con quel mondo non aveva nulla a che vedere, era in Egitto per dedicarsi allo studio ed alla ricerca.

Proprio per tali motivi , il giovane si sarebbe avvicinato al movimento sindacale che si oppone al governo del generale Al-Sīsī. Si accertò che Mohamed Abdallah, leader del sindacato degli ambulanti a cui Giulio si era avvicinato, lo avesse denunciato alla polizia di Giza e che quest'ultima lo avesse seguito nei 3 giorni precedenti la scomparsa avvenuta il 25 gennaio 2016. Tuttavia altri sarebbero i nomi di chi avrebbe potuto tradirlo, tra cui Hoda Kamel, direttrice dell'Egyptian Center for Economics and Social Rights, che stava aiutando Giulio nelle sue ricerche.

Da allora la polizia egiziana ha iniziato un rimpallo tra un'apparente disponibilità alla collaborazione e grossolane bugie: si è passati dal fortuito ritrovamento dei documenti di Giulio nelle mani di un gruppo di malviventi uccisi dalla polizia in un'inesistente sparatoria, all'attribuzione del crimine ai "Fratelli Musulmani", organizzazione islamista internazionale, che, a detta del governo egiziano, avrebbe agito per destabilizzare i rapporti diplomatici tra Egitto ed Italia.

Le reazioni

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Si sono susseguite numerose indagini, manifestazioni, appoggi diplomatici, pressioni, ma nessuna giustizia ancora, se non che, dopo oltre tre anni, un colpevole non esiste: nessuno avrebbe torturato Giulio Regeni, nessuno lo avrebbe ammazzato, nessuno ne avrebbe denudato il cadavere per poi gettarlo in un fosso. Così come nessuno era Giulio Regeni, eppure lo siamo tutti, ogni volta che esercitiamo il nostro diritto a essere liberi e vivi, senza abbassare la testa davanti alle prepotenze, lo siamo quando investighiamo sul perché delle cose, quando rifiutiamo di barricarci dietro al silenzio.

Fino a quando non vi sarà verità, l'unica amara certezza che avremo è che nessuno sarà colpevole di aver rapito, torturato e ucciso Giulio Regeni e che ogni volta che accetteremo di fermarci inermi in questa ricerca, Giulio Regeni morirà ancora una volta e con lui un tassello di umanità.

Caso Regeni: la risoluzione europea

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Intanto, dall'Eurocamera arriva proprio in questi giorni una risoluzione sulla situazione dei paesi del medio Oriente e del nord Africa. E' stata approvata, con 408 sì, 108 no e 90 astenuti, la risoluzione sulla situazione dopo la primavera araba e le prospettive future al cui paragrafo 18 si parla proprio del caso Regeni. Il Parlamento europeo, si legge, "deplora che in alcuni casi la cooperazione investigativa e giudiziaria bilaterale" con i suddetti paesi "sui casi di detenzione, violenza o morti di cittadini Ue sia stata inadeguata, come nel caso di Giulio Regeni".

"Non possiamo pensare di proseguire nei prossimi anni una relazione come Europa con Paesi che ignorano e calpestano il nostro diritto di vedere rispettata la sicurezza dei nostri concittadini, e la verità nel caso di violenze essere riportata a galla" ha annunciato il relatore del testo, Brando Benifei (Pd) prima del voto. "Il caso Regeni è una grave ferita nei rapporti con l'Egitto, che io credo non possa essere ignorata" affermando di voler "portare avanti la richiesta di verità per Giulio".


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