Data: 30/03/2019 06:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - È configurabile il nesso causale tra il comportamento omissivo del medico e il pregiudizio subito dal paziente qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l'opera del sanitario, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie e apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi.

Laddove il danno dedotto sia costituito anche dall'evento morte, sopraggiunto in corso di causa e oggetto della domanda in quanto riconducibile al medesimo illecito, il giudice di merito, dopo aver provveduto alla esatta individuazione del petitum, dovrà applicare la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non" al nesso di causalità fra la condotta del medico e tutte le conseguenze dannose che da essa sono scaturite.

È il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 8461/2019 (qui sotto allegata).

Il caso

Alla base del ricorso vi è la domanda dei figli di una donna che avevano chiesto il risarcimento dei danni subiti, iure proprio e iure aereditatis, a causa della malattia e del successivo decesso della madre, avvenuto in corso di causa.

Circostanze che, secondo i ricorrenti, andavano iscritte alla ritardata diagnosi di un carcinoma mammario (inizialmente ritenuto di natura benigna) da parte del medico chirurgo e alla ASL presso la quale egli prestava servizio.

La Corte d'appello, riformando la decisione di rigetto del Tribunale, aveva accolto solo in parte le pretese risarcitorie degli attori, considerando che, anche in caso di diagnosi tempestiva e stante la natura della patologie, la signora avrebbe potuto godere solo di due anni di vita in più. Una decisione contrastante con gli accertamenti peritali che indicavano un margine di sopravvivenza molto più ampio.

Nesso causale se l'azione corretta del medico avrebbe evitato il danno

I giudici di legittimità richiamano i principi che governano il nesso causale nella responsabilità civile e ribadiscono la necessità di fare uso di un criterio probabilistico per valutare se l'opera del medico, se correttamente e tempestivamente prestata, avrebbe avuto serie e apprezzabili possibilità di evitare il danno poi verificatosi.
Con riguardo alla responsabilità professionale del medico, essendo questi tenuto a espletare l'attività secondo canoni di diligenza e perizia scientifica, il giudice, accertata l'omissione di tale attività, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'evento lesivo e che, per converso, se fosse stata tenuta la condotta doverosa si sarebbe potuto impedire il verificarsi dell'evento stesso.
Inoltre, rammentano gli Ermellini, anticipare il decesso di una persona già destinata a morire perché affetta da una patologia, costituisce pur sempre una condotta legata da nesso di causalità rispetto all'evento morte e obbliga chi l'ha tenuta al risarcimento del danno.
Ha dunque sbagliato la Corte d'appello, pur enunciando il principio del "più probabile che non", a statuire che la morte della signora non sarebbe stata evitata dalla diagnosi tempestiva del medico, la quale avrebbe consentito soltanto una sopravvivenza di due anni più lunga.
Il giudice a quo ha applicato il principio di causalità esclusivamente in relazione al lasso temporale di vita non vissuta e la sua decisione, che focalizza il danno non sull'evento morte, ma sul probabile tempo di sopravvivenza, configura il vizio denunciato dai ricorrenti.

La CTU va valutata nel suo complesso

La decisione della Corte territoriale in punto di nesso causale presenta profili criticità anche per non aver adeguatamente tenuto conto delle maggiori percentuali di sopravvivenza indicate nell'accertamento peritale, ben superiori ai due anni prospettati dai giudici.
In contrasto con il complessivo esito della CTU, il giudice a quo ha effettuato una valutazione solo parziale dell'accertamento peritale rinnovato, soffermandosi esclusivamente sul dato percentuale riferito all'evento morte (verificatosi dopo 10 anni di tardiva diagnosi) e affermando che, in considerazione delle caratteristiche del tumore riscontrato, un accertamento tempestivo della malattia avrebbe garantito una suprovvivenza ulteriore di due anni.
Gli Ermellini precisano che la decisione del giudice sia fondata sulle risultanze di una CTU, l'accertamento tecnico svolto deve essere valutato nel suo complesso, tenendo conto anche dei chiarimenti integrativi prestati sui rilievi dei consulenti di parte.
Il mancato e completo esame delle risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di Cassazione, ai senti dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., risolvendosi nell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

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