Data: 31/03/2019 18:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - La Cassazione, con la sentenza n. 13363/2019 ribadisce che affinché si configuri il reato di molestia e disturbo alle persone non rileva che le telefonate siano mute e che l'intento sia scherzoso. Inoltre, se il soggetto agente non è nuovo a tali comportamenti, non può invocare l'esclusione della punibilità per tenuità del fatto.

La vicenda processuale

Il Tribunale di Lanciano condanna un soggetto alla pena di euro 200,00 di ammenda, per il delitto di molestia e disturbo alle persone (art. 660 cod. pen.), perché "per mezzo del telefono e per biasimevole motivo, recava molestia a F.V, effettuando numerosissime telefonate, di giorno e di notte, molte delle quali pervenivano sul cellulare della stessa e risultavano "mute" e anonime." L'imputato aveva già riportato condanne penali per fatti simili ed era stato identificato dai tabulati della persona offesa, che nella denuncia aveva indicato dettagliatamente gli orari in cui aveva ricevuto le telefonate moleste sul proprio cellulare. I continui squilli e le telefonante, anche se mute, avevano turbato emotivamente la vittima, come era emerso nel corso della sua deposizione.

L'imputato ricorre quindi in Cassazione perché, a suo giudizio, dalle testimonianze non sono emerse interferenze alla libertà della vittima o cambiamenti delle sue condizioni di vita, così come non è stato provato il suo disagio psichico o un timore giustificato per la sua sicurezza, come richiede la fattispecie di cui all'art. 660 cod. pen. Egli lamenta inoltre il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto previsto dall'art. 131 bis cod. pen., visto che i contatti telefonici erano solo il frutto di scherzi tra amici.

Non rileva la finalità scherzosa della telefonata se reca molestia o turba la vittima

La Cassazione però rigetta il ricorso dell'imputato con sentenza n. 13363/2019. Per la configurazione del reato di molestia infatti "gli intenti scherzosi o persecutori dell'agente sono del tutto irrilevanti, una volta che si sia accertato che, comunque, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso è connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone."

Gli Ermellini ritengono inoltre che il Tribunale abbia fatto corretta applicazione dei principi già sanciti dal giudice di legittimità, secondo i quali "anche i semplici squilli, se idonei a cagionare un turbamento o una molestia, integrano il reato contestato ed ha coerentemente disatteso la richiesta di applicazione dell'art. 131 bis cod. pen., evidenziando il numero delle telefonate e degli squilli accertati sulla base dei tabulati, lo stato di sofferenza della vittima, manifestato anche durante la deposizione in aula e soprattutto che il condannato «non è nuovo a simili fatti», così prendendo atto che non ricorre il caso di particolare tenuità di cui all'art. 131 bis cod. pen., che può essere ravvisato solo quando il comportamento non è abituale e non è stato posto in essere con condotte plurime, abituali e reiterate."

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